Intervista a Luciano Violante
Il terzo Rapporto della Fondazione Italia decide (ed. il Mulino) tocca uno dei grandi temi del nostro tempo. La crisi ha forse per troppo tempo distolto l’attenzione da un tema strategico, di cui la politica dovrà riappropriarsi a tempo pieno. Il mondo ha, infatti, sempre più fame di energia, come dimostra la richiesta sempre più forte, che proviene dai paesi emergenti. Luciano Violante, che presiede la Fondazione, spiega natura e finalità del Rapporto.
Presidente, l’energia è una questione cruciale di cui si parla ad intermittenza. Possiamo dire che grazie a Italia-decide il problema è ritornato nell’agenda di governo?
Compito della Fondazione è quello di occuparsi delle principali questioni che attengono alla decisione politica. Ci siamo occupati nel passato delle infrastrutture strategiche, delle reti che tengono insieme l’Italia, dalla scuola al Welfare; quest’anno abbiamo lavorato sull’ energia che costituisce oggi un fattore cruciale per le famiglie e le imprese e per la stessa sovranità nazionale.
Obiettivo precipuo di Italiadecide è «formulare delle proposte per migliorare il funzionamento delle politiche pubbliche». Il prossimo 26 marzo è previsto un confronto a «porte chiuse» quali richieste farete al ministro Passera e più in generale all’esecutivo, su una questione che, come ha detto il presidente della Camera in apertura, «deve tornare a far parte delle questioni strategiche da cui dipenderà il futuro del paese»?
Non tocca a noi fare richieste. In quell’occasione si terrà un confronto con i maggiori esperti, studiosi e stakeholders per concorrere alla definizione del Piano Energetico Nazionale.
Nel corso della presentazione Lei ha detto: «Occorre far crescere una cultura delle infrastrutture». Vicende come quella della TAV cosa possono insegnare?
È sbagliato imporre una grande infrastruttura sul territorio senza consultare preventivamente coloro che vivono e amministrano in quel territorio. Ma bisogna anche sconfiggere la cultura del «non si fa nulla in casa mia». Le infrastrutture servono a tutti e tutti devono ragionevolmente cooperare alla loro realizzazione. La solidarietà non è solo quella dello Stato verso i territori, ma anche quella dei territori verso lo Stato.
Il Rapporto individua in maniera chiara alcune «palle al piede dell’Italia» in tema di energia, quali: la dipendenza dall’estero, i prezzi alti dell’elettricità, l’elevato consumo di petrolio nel settore dei trasporti. In un puntuale decalogo, vengono enucleati alcuni importanti suggerimenti per costruire una strategia nazionale dell’energia. Quali sono le priorità cui l’esecutivo deve far fronte?
Una sola autorità politica alla guida del settore, come accaduto con il governo Monti; é un metodo che deve continuare con i governi successivi.
Rimettere ordine nel settore delle energie rinnovabili. Impegnarsi per linee transeuropee e per costruire i rigassificatori necessari.
«Policentrismo anarchico» e «partecipazioni opposi-tive» sono i passaggi più incisivi del suo intervento, che ha tratteggiato quello che è avvenuto in materia di energia, per effetto dei processi di europeizzazione della politica. Come si fa ad ottenere una governance unitaria, che possa limitare quella polverizzazione dei poteri e delle decisioni, che il vostro studio denuncia in maniera molto netta?
Occorre riformare l’articolo 117 della Costituzione portando alla esclusiva competenza dello Stato la materia delle grandi reti nazionali e dell’energia, oggi divisa tra Stato e Regioni. Far precedere la decisione sulle grandi opere dalla consultazione del territori interessati.
Il governo tecnico in materia di energia sta operando bene al suo giudizio? L’authority dell’energia può essere un punto di forza del sistema della governance?
L’Autorità sta facendo molto bene. Occorre concentrare tutta la regolazione indipendente in capo all’Autorità per l’energia con il compito di semplificare radicalmente il quadro delle regole e delle autorizzazioni.
Il ministro Passera ha enunciato alcuni punti fermi su cui costruire la politica energetica: sicurezza e indipendenza dell’approvvigionamento, riduzione dei costi, crescita del settore ecosostenibile. L’eccessiva dipendenza dai paesi dell’ex URSS e da paesi politicamente instabili che conseguenze potrà avere sul piano geo-politico oltre che economico?
Bisogna cominciare a realizzare subito quell’eccellente programma partendo dalla riduzione dei costi. Poi, passo dopo passo, si farà tutto il resto.
Obbiettivo italiano é ridurre la dipendenza energetica; ma occorre che l’Italia intera sia convinta di questa priorità e che non ostacoli irragionevolmente la costruzione delle infrastrutture necessarie.
L’Italia dovrebbe, nel disegno del governo, diventare un hub per l’approvvigionamento del Gas in un asse Nord-Sud. Lei conosce molto bene la realtà del Mezzogiorno. Ritiene che la Sicilia e il Sud possano avere un ruolo nella prospettiva di creare una leadership industriale in grado di collocare la cultura dell’ambiente e lo sfruttamento delle energie pulite al centro di un progetto di sviluppo?
La Sicilia e l’intero Mezzogiorno hanno una vocazione geopolitica in questa direzione. Devono esserne consapevoli, però, tutti i governi regionali che hanno il dovere di operare di conseguenza. Non siamo l’unico Paese del Mediterraneo che può svolgere questo ruolo e tra un pò potrebbe essere troppo tardi. Oggi ci sono le condizioni per recuperare il ritardo, ma bisogna far presto. Il fallimento del rigassificatore di Brindisi, dopo 11 anni deve restare un caso isolato. Rischia, Invece, di ripetersi in Sicilia.
A Priolo è in fase di realizzazione un rigassificatore, ma il Presidente Lombardo ha fermato i lavori. Qual è la sua riflessione in merito?
Non posso commentare la situazione di Priolo, perché non conosco il caso specifico. Posso dire con certezza però che le pregiudiziali ideologiche sui rigassificatori sono sbagliate. Trasformano il metano liquido in metano gassoso che così può essere immesso nella rete di distribuzione attraverso condutture. Senza rigassificatori l’approvvigionamento di energia è in bilico.
Il rischio é praticamente inesistente. L’unica esplosione si é avuta nel 1944 a Cleveland negli Stati Uniti. Ma si trattava di una tecnologia che risaliva a settanta anni fa, quindi del tutto incomparabile con le tecnologie moderne. D’altra parte, bisogna dire che ce ne sono in tutti i paesi civili.
Massimiliano Cannata, Il Giornale di Sicilia, 19 marzo 2012