Il vicepresidente del Csm: col governo Monti superate le tensioni con la politica
Una legge anticorruzione subito e, adesso che col governo Monti sono uscite di scena rivalse e competizioni nel rapporto con la politica, una riforma che renda la giustizia un servizio efficiente per il cittadino. Per capire quanto tutto ciò sia importante per il futuro dell’ Italia, Michele Vietti che guida l’organo di governo autonomo della magistratura affiancando il presidente, Giorgio Napolitano, spiega che occorre riflettere sul passato.
Non si fa il futuro, e nemmeno il presente, senza la storia. E «non c’è nulla che abbia unificato il Paese più dell’applicazione concreta e uniforme del diritto», dice Vietti.
Per questo, il convegno sui 150 anni del diritto organizzato dal Csm, e che si apre domani a Torino alla presenza del Capo dello Stato, ripercorrerà le vicende delle sentenze che hanno fatto l’Italia. Da quella con la quale nel 1906 Mortara riconobbe il voto alle donne all’abolizione della pena di morte, dai pronunciamenti sulla libertà religiosa a quelli che dagli anni Settanta in avanti affermarono i diritti civili e del lavoro, la salute e l’ambiente.
La lezione «è che la tanto vituperata magistratura ha svolto un ruolo insostituibile non solo come presidio di legalità, ma a tutela dei diritti dei cittadini».
Eppure forse proprio la scelta della Costituente di fare della magistratura un ordine dello Stato, un potere autonomo ed equiparato a governo e parlamento, è alla base del conflitto dell’ultimo ventennio, quello con la politica.
«I Costituenti, a differenza di quanto avveniva con lo Statuto Albertino, e poi col fascismo, scelsero l’autonomia e l’indipendenza della magistratura proprio perché la delicata materia dei diritti dei cittadini doveva essere gestita, e vorrei dire protetta, da un organo imparziale. Sganciato dal consenso, il giudice è sottoposto solo alla legge, e amministra la giustizia in nome del popolo. Il giudice fa il diritto vivente. Ma nel momento in cui si cala la legge nei casi concreti, interpretando nella propria autonomia quel che il legislatore ha scritto, occorre essere credibili. Occorre essere rigorosamente imparziali e professionali. Il convegno ci aiuterà a ricordare che le frizioni tra magistratura e politica durano da 150 anni. Gli ultimi venti sono stati certo i più caldi. Oggi però il clima è differente, è sgombro, rasserenato».
Come ha notato Napolitano al plenum del Csm. Tuttavia, si continua a discutere di giustizialismo e garantismo, concetti che esistono solo nel dibattito pubblico italiano.
«C’è stata una forte componente ideologica in questi vent’anni, alimentata in parte da personalismi e anche da un’insofferenza tutta italiana del rispetto delle regole. Ma proprio perché la giurisdizione è importante e delicato il rapporto con la politica, che non è esente dal controllo di legalità, la magistratura deve ricordare di muoversi con grande attenzione. Vede, paradossalmente in questi anni da un lato una politica debole, mentre polemizzava con la magistratura, ha finito per demandarle tutte le criticità socio-economiche, risolte spesso introducendo nuovi reati e, per effetto dell’obbligatorietà dell’azione penale, affidandosi ai pubblici ministeri. E un altro effetto è stato quello di delegare alla magistratura la selezione delle classi dirigenti, accusando pure Mani Pulite di farlo per via giudiziaria. D’altra parte la magistratura, come ricorda Giorgio Napolitano, talora si è sentita investita da missioni improprie, anche con qualche eccesso di personalismo».
Cosa si fa con il corpus delle leggi ad personam, varate proprio quando il capo del governo, Berlusconi, aveva quei precisi problemi con la giustizia? Lei sa che c’è chi chiede di eliminare la prescrizione breve…
«Dobbiamo abbandonare il braccio di ferro tra poteri su cui ci siamo incagliati negli ultimi vent’anni. E pensare alla giustizia come servizio al cittadino. Se non devo rimettere in discussione i capisaldi della Costituzione è più facile discutere della tutela dei diritti e della loro celere affermazione. Lo so che vado controcorrente, ma credo che occorra rivedere il sistema delle prescrizioni. Così come è oggi ammazza i processi, frustra lo Stato, il diritto della vittima e anche quello dell’imputato. Così muoiono 170mila processi all’anno, e si incentiva pure la loro durata».
Ma è possibile superare la torsione rappresentata da quelle leggi?
«Ci sono le condizioni, oggi, per ripensare anche quei temi che in un altro contesto politico venivano guardati con sospetto. Possiamo ragionare con animo sgombro. Anche l’Europa ce lo chiede, dicendoci che sono troppo brevi i tempi di prescrizione per i reati di corruzione, e troppo lunghi in genere i tempi di tutti i processi. Non pensando ai casi di Tizio, Caio e Sempronio, la ragionevole durata è un diritto di tutti gli italiani».
Da dove si comincia, secondo lei?
«Con la riforma delle circoscrizioni giudiziarie che è in dirittura d’arrivo e mi auguro non trovi ostacoli nei campanilismi: non possiamo mantenere 2mila uffici in 3mila edifici, occorre razionalizzare. E fare subito la legge sulla corruzione nella Pubblica Amministrazione, o in Europa rimarremmo sempre gli ultimi della classe. E accelerare i processi: la giustizia non è una variabile indipendente dell’economia, la certezza del diritto e dei suoi tempi è una condizione indispensabile per gli investimenti, anche stranieri. Così la magistratura potrà tornare ad essere un potente collante per la crescita del Paese».
Intervista di Antonella Rampino, pubblicata su La Stampa del 5 marzo 2012