Le garanzie questa volta arriveranno dall’America ovvero dal paese nel quale il Lingotto ha messo mano tre anni fa al salvataggio di quella Chrysler che ora potrebbe trasformarsi curiosamente nella carta della sopravvivenza della Fiat italiana sotto forma di soldi e produzione. Al rientro da Detroit Sergio Marchionne andrà da Monti a prospettare questa ipotesi per tentare di gettare acqua sulle polemiche che hanno infiammato l’autunno caldo di Mirafiori e dintorni.
Sul tavolo di Palazzo Chigi farà calare anche la rassicurazione che non saranno chiusi stabilimenti in Italia, ma è certo che non tornerà indietro su Fabbrica Italia, il piano da 20 miliardi che in casa Fiat considerano morto e defunto e non da oggi. Dopodiché proverà a chiarire come arriverà al 2014 se è vero che non pensa che prima possa esserci una ripresa dei mercati, italiano ed europeo.
Dei 190 mila dipendenti del gruppo sparsi nel mondo 25 mila sono gli operai occupati nei quattro stabilimenti italiani (Mirafiori, Cassino, Pomigliano e Melfi) e Marchionne dovrà spiegare al governo come intende portarli fuori dal lungo purgatorio della cassa integrazione con la quale da mesi stanno cercando di resistere alla crisi. In attesa di nuovi modelli che al momento non esistono neppure sulla carta salvo qualche restyling.
Nei giorni scorsi si era fatta strada l’ipotesi che, sulla scia di quanto fatto a suo tempo per Pomigliano col trasferimento della produzione Panda dalla Polonia allo stabilimento campano, potesse essere dirottato in Italia qualche modello dal Brasile. Non sembra essere però questa l’intenzione di Marchionne e ad escluderla vale anche il fatto che in Brasile è in costruzione un nuovo stabilimento che verosimilmente assorbirà la maggiore produzione destinata alla copertura dei mercati di quel paese e più in generale dell’America Latina.
La strategia che Marchionne ha in testa per resistere alla crisi in Italia e in Europa è un’altra e ad essa ha lavorato negli ultimi giorni passati in America mentre in Italia saliva la tensione sul destino di Fabbrica Italia. A proposito del quale il ceo di Fiat e Chrysler, a Monti e ai ministri Fornero e Passera che a quanto si sa faranno di tutto per tenere separate le responsabilità del governo da quelle della Fiat, ripeterà che quel piano non esiste più dall’ottobre del 2011 essendo stato mandato in archivio già allora con una decisione messa nero su bianco in una nota diretta alla Consob e successivamente ripetuta ai sindacati in alcuni incontri l’ultimo dei quali a Torino nell’agosto scorso.
Dunque è del dopo-Fabbrica Italia che Marchionne parlerà sabato. Per dire che, in attesa della ripresa, gli impianti italiani potranno resistere anche con pezzi di produzioni dirottate dagli Stati Uniti dove Fiat-Chrysler non ha in programma incrementi della capacità produttiva. Ciò vuol dire che qualche modello, anche di quelli presentati alcuni giorni fa a Los Angeles potrebbe essere realizzato negli stabilimenti italiani per poi essere venduto, oltre che in Europa, negli Stati Uniti dove il mercato almeno per ora continua a crescere più di quanto non accada nel Vecchio Continente.
Sui particolari di questo “salvataggio alla rovescia”, di cui al momento al Lingotto non lasciano trapelare nulla, probabilmente sarà Marchionne a dire di più sabato. Così come provvederà a fare il punto su come si potrà tenere “la luce accesa” negli stabilimenti italiani prima di riallacciare il filo tagliato con l’azzeramento di Fabbrica Italia. A cominciare da Mirafiori dove sono ancora previsti due piccoli suv, uno della Jeep e uno della Fiat (la 500X) che però entreranno in produzione uno nel 2013 e un altro nel 2014, per essere venduti in Europa e nel resto del mondo. Oggi però, oltre a questi due modelli, c’è ancora poco o nulla se si considera che i progetti delle vetture che dovranno sostituire la Punto e la Bravo non sono state ancora deliberati e che comunque dalla fase di avvio alla produzione ci vogliono non meno di diciotto mesi.
In ogni caso si porrà anche un problema di risorse finanziarie che Marchionne lascia intendere ritaglierà dagli utili realizzati in Usa e in Brasile. Gli 800 milioni per Pomigliano e il miliardo per la produzione di una Maserati in un pezzo dell’ex Bertone di Grugliasco (Torino) è ciò che sinora la Fiat ha realmente investito in Italia. Il resto se n’è andato con Fabbrica Italia e, stando così le cose, al di là della “fiducia sul futuro della società” ribadita ieri dal presidente John Elkann, Marchionne avrà qualche difficoltà a rispondere alla richiesta del governo sul rispetto degli accordi sottoscritti tra l’azienda e le parti sociali.
Salvatore Tropea, La Repubblica