Dalla Somalia al Sudan, l’Africa ci ha ormai abituato alle cattive notizie. Che però, generando scarsa emozione, ci giungono con parsimonia e solo quando i fatti sono davvero eclatanti. In queste settimane è di scena la Nigeria, dove, trascurati per il momento i pirati del delta del Niger e smarcato rapidamente l’incidente all’ MD80 della Dan Air, l’attenzione si va soffermando sulle stragi dei cristiani. Fino a quando continueranno a meritarsela, questa attenzione? “Domenica di sangue in due chiese nigeriane”, recitavano la settimana scorsa le agenzie su un copione purtroppo assai noto.
Anche la narrazione, ormai, è scontata: uomini armati sono entrati in una chiesa di Biu, nel nord del paese e hanno aperto il fuoco durante una funzione religiosa.
Una donna è morta e varie persone sono rimaste ferite, due delle quali in gravi condizioni. Un’autobomba è invece esplosa a Jos, nel centro, davanti a un’altra chiesa. Il bilancio è di tre morti, tra cui l’attentatore e 41 feriti. Questo è il tenore delle cronache, condite da scarsissimi commenti, di solito senza contesto.
È rituale anche la frase che chiude la notizia: “Nessuna rivendicazione, ma i sospetti sono diretti sulla setta islamica Boko Haram”. Ormai ogni domenica sarà così, e continuerà fino a quando queste stragi non faranno più notizia. Cioè, almeno per quanto riguarda le cronache, non per molto.
Organizzazioni internazionali silenti
Solo il Papa reagisce deplorando, ma le organizzazioni internazionali in materia sembrano piuttosto fredde. Persino l’Unione africana, per le cui “operazioni di pace” la Nigeria fornisce il grosso delle truppe, sinora non si è sentita. L’Onu, così sensibile e solerte di fronte ai quotidiani annunci di crimini contro l’umanità denunciati dai vari Consigli e Comitati di “liberazione nazionale” quando si tratta di tutelare “primavere” e di abbattere dittatori dinastici nei paesi arabi – i soli che, assieme ai monarchi, riescano con i loro metodi spicci a mantenere una parvenza d’ordine – di fronte alle stragi di cristiani non ha niente da dire, o quasi.
Spulciando le risoluzioni dell’Assemblea generale o del Consiglio di sicurezza dal 2011 ad oggi, non se ne trova una che accenni ai fatti in Nigeria. A dire il vero, una ce ne sarebbe, ma con molta circospezione si riferisce solo ai misfatti dei pirati del delta del Niger, non ai massacri perpetrati – qui come altrove e, finalmente lo si comincia ad ammettere, anche in Siria – dai fondamentalisti islamici. Evidentemente, la “pace e la sicurezza internazionale” non sono in pericolo, visto che la Nigeria ha un governo democraticamente eletto, requisito che sembra soddisfare la coscienza politicamente corretta cui aspira la comunità internazionale.
Eppure – la fonte è l’Unità di crisi del ministero degli affari esteri (Mae) italiano, “…si stima che le violenze settarie e di matrice terrorista abbiano causato circa mille morti nel 2011, e che centinaia di vittime all’anno siano causate da episodi di violenza interetnica”. Che, guarda caso, ultimamente hanno sempre nel mirino i cristiani. I lettori – non necessariamente solo i viaggiatori in procinto di partire – sono invitati ad andare a guardare il sito “Viaggiare Sicuri – Nigeria” del Mae per scoprire accadimenti molto interessanti in questo paese democratico. L’ultimo comunicato, quello in corso di validità, è dello scorso 5 giugno.
Paese in bilico
La Nigeria è grande tre volte l’Italia, ha oltre 150 milioni di abitanti, ha come confinanti Stati prevalentemente islamici e per questo è una Repubblica federale con scarsa possibilità, capacità e forse volontà di controllo sulle entità governative regionali e sulle Aree di governo locale (Lga), autorizzate a legiferare e a provvedere con decisioni autonome in caso di eventi terroristici o di violenze settarie. Le religioni professate sono quella musulmana sunnita – circa il 50 per cento della popolazione, prevalentemente nell’area nord – mentre il 40 per cento professa vari culti cristiani ed il 10 per cento segue tradizioni locali.
Lo stesso capo dello Stato nigeriano, il pittoresco presidente cristiano Goodluck Jonathan – il primo “civile” dopo anni di dittature militari – riconosce questa debolezza congenita quando afferma, facendo riferimento alla secessione del Biafra (1967-70, con un milione di morti) che “…durante la guerra civile conoscevamo e potevamo perfino prevedere da quale parte proveniva il nemico, ma la sfida che dobbiamo affrontare oggi è più complicata”. Continuando, si è spinto fino a denunciare la possibile connivenza con i membri della setta fondamentalista Boko Haram di una parte delle forze di polizia e dell’esercito.
Gli fa eco Monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos – la città del centro teatro della strage di domenica – il quale conferma che sulle tradizionali dimensioni etniche, sociali politiche e criminali della lotta intestina si va ormai affermando la dimensione religiosa, “… la più pericolosa, perché attiene all’intimità più profonda delle persone e porta al rischio che si faccia appello agli istinti più irrazionali dell’uomo”. La situazione attuale potrebbe portare ad una trasformazione radicale della configurazione dello Stato nigeriano, che a causa di queste violenze si incammina verso un’inevitabile frammentazione, con i cristiani che cercano di migrare al sud ed i musulmani al nord. Forse è proprio ciò che si vuole.
Tuttavia il governo, con la qualità delle forze disponibili, non sembra in grado di arginare questo stato di cose né sembra si stia seriamente attivando per farlo. La spaccatura, in realtà, si era già prodotta nel 1999, quando un terzo dei 36 stati della Nigeria aveva istituito il codice penale islamico e reso la sharia massima fonte giuridica, creando di fatto una religione di Stato in violazione della Costituzione, che invece ha carattere laico ed è estesa a tutto il territorio nazionale.
Parlamento europeo
Tra tutte le organizzazioni internazionali, stranamente su questo terreno solo l’Unione europea si è mossa. Se, infatti, l’Onu non ha sinora mostrato eccessivo interesse alle stragi dei cristiani in Nigeria, il parlamento europeo una volta tanto si è coraggiosamente deciso ad affrontare il toro per le corna. Dal marzo scorso è infatti all’esame una proposta di risoluzione che, prendendo a riferimento alcune inconfutabili quanto lapalissiane dichiarazioni in Commissione di Catherine Ashton sull’incompatibilità della sharia con le vigenti norme internazionali sul giusto processo e la discriminazione delle donne, impegna il presidente a trasmettere siffatta Risoluzione al Consiglio, alla Commissione, alla stessa Lady Ashton, nonché a tutti i governi e ai parlamenti degli Stati membri. E, naturalmente, al parlamento della Nigeria. L’Ue ha fatto bene ad attivarsi.
Non si sa, tuttavia, quanto i feroci islamisti di Boka Haram ne siano rimasti impressionati.
di Mario Arpino, presidente di Vitrociset S.p.A. (tecnologie avanzate, ingegneria logistica, integrazione di grandi sistemi, difesa, spazio e reti digitali), giornalista pubblicista, membro del Comitato Direttivo dello IAI.