Riforma giustizia: due nuovi reati e pene più severe niente giro di vite sul falso in bilancio

Severino Ecco il piano Severino, inviato ai partiti di maggioranza, sulla riforma della giustizia. Intercettazioni, stop alla pubblicazione dei nastri prima del processo. Per corrotti e corruttori si allunga la prescrizione. Nell’ordinamento la novità del “traffico d’influenze” 

 

Detta con un colpo d’occhio: i reati di corruzione si arricchiscono di fattispecie, aumentano le pene e quindi, ma di poco, la prescrizione. Nascono due nuovi reati, corruzione privata e traffico di influenze. Si allarga il range dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici (ma non abbastanza per il Pd) e della confisca dei beni di chi corrompe. Non c’è la riforma del falso in bilancio, come chiedevano Di Pietro e i magistrati esperti di delitti economici da Davigo a Greco.

Un salto d’argomento, ed eccoci alla responsabilità civile dei giudici, la famosa norma del leghista Pini. Con il testo Severino cade un pericolo, non sarà più diretta, torna indiretta, ma la stretta sulle toghe rimane.

Ancora un salto d’argomento, e siamo alle intercettazioni, il fantasma del bavaglio sulla stampa che ritorna. Qui siamo solo all’inizio, il Pdl spinge per imporre la famosa udienza filtro, prima della quale non si potrà pubblicare alcuna intercettazione, né nel testo integrale, né nel contenuto. Comunque le telefonate registrate, se passa la legge, non si potranno più mettere integralmente sui giornali prima del processo.

La concussione
Cresce la detenzione e arriva l'”indebita induzione”. Concussione, com’era e come sarà. È diventato il fulcro più osservato della riforma Severino. Lei ha fatto la sua proposta. Questa. La concussione perde “l’induzione” che diventa un nuovo reato. L’articolo 317 del codice penale resta lì dov’è adesso. Continua a punire “il pubblico ufficiale che abusa della sua qualità e dei suoi poteri e costringe taluno a dare o promettere denaro o altra utilità”. Pena rafforzata, dagli attuali quattro anni di minima pena si passa a sei, e si confermano i dodici di massima. Ma ecco il nuovo reato, quello destinato a dividere, il 319 quater, “indebita induzione a dare o promettere utilità. “Figlia” da quel verbo, “induce”, che prima stava nel 317. Con una pena minore, dai tre agli otto anni, sarà punito “il pubblico ufficiale che induce taluno a dare o promettere denaro o altra utilità”. Sarà punito fino a tre anni anche chi completa l’operazione e materialmente “dà o promette” denaro o altro. Sarà determinante capire quale sarà l’impatto di una simile modifica sui processi in corso. Di certo, è una potente carta in mano agli avvocati per metterli in crisi.

Pene da 1 a 3 anni
Altolà agli specialisti dei favori tra privati. Nuovi reati di corruzione, che l’Europa, con la convenzione di Strasburgo del ’99 ancora da ratificare in Italia, ci ha chiesto per tempo. Adesso la corruzione tra privati fa assumere una veste del tutto nuova all’articolo 2635 del codice civile e il traffico di influenze illecite, articolo 346 del codice penale, reinventa il vecchio millantato credito. Rischiano il carcere da uno a tre anni (prima c’era un generico “fino a tre anni”) amministratori, direttori generali, dirigenti, sindaci, liquidatori che, in cambio di dazione o della promessa di utilità, compiono o omettono atti violandogli obblighi del loro ufficio e della fedeltà che ciò comporta. La dazione o la sua promessa vale “per sé e per altri”. Punito anche fino a un anno e sei mesi chi è “sottoposto alla direzione o alla vigilanza” e incorre negli stessi comportamenti. Le pene saranno raddoppiate se le società sono quotate in borsa in Italia o all’estero. Punito lo stesso fino a tre anni il faccendiere che si fa pagare per la sua mediazione con il pubblico ufficiale.

Le intercettazioni
L’intesa è ancora lontana si riparte dal testo Alfano. Intercettazioni, l’ossessione di un’intera legislatura che ritorna. Dagli uffici di via Arenula è l’ultimo testo inviato ai partiti. Compare per e-mail solo alle 21 e trenta. Non si può assolutamente definire il disegno di legge Severino. È il vecchio testo Alfano (giugno 2008) rivisitato progressivamente da Bongiorno nelle battaglie con Ghedini e Berlusconi. È quello che, con la sigla 1415-A attende di essere discusso dall’aula della Camera dal settembre 2011. Le forze di maggioranza sono ben lontane da un’intesa sul nodo di fondo, la stretta sulla possibilità di pubblicare intercettazioni. Tant’è che l’ipotesi di Bongiorno – non si pubblicano nella versione integrale, ma nel contenuto quando man mano c’è una discovery degli atti – viene per il momento congelata per tornare, come ha chiesto il pidiellino Enrico Costa, all’attuale articolo 114 del codice di procedura penale, nel quale è scritto che “è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”. Saltano i tribunali collegiali per autorizzare il pm a mettere i telefoni sotto controllo, si torna al solo gip.

Responsabilità civile
Lo Stato paga i danni al cittadino ma la toga rischia metà stipendio. Responsabilità civile dei giudici, si torna parzialmente indietro rispetto all’emendamento del leghista Gianluca Pini. Il quale, con il voto favorevole del Pdl, aveva inserito nella legge Comunitaria alla Camera, la responsabilità diretta per le toghe, non solo “per dolo o colpa grave”, ma anche per “manifesta violazione del diritto”. Adesso il testo Severino, sul quale il Pd vuole che il governo imponga il voto di fiducia per evitare sorprese, torna alla responsabilità indiretta, paga lo Stato per la toga che sbaglia, il quale poi si rivale sulla stessa toga. Rivalsa che cresce in quantità, si passa da un terzo dello stipendio previsto oggi alla “metà”. Il cittadino potrà “agire contro lo Stato” per aver subito “un danno ingiusto per diniego di giustizia o per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento compiuto per dolo o colpa grave”, ma anche “per la violazione manifesta della legge e del diritto comunitario”. Scansione ravvicinata per il tribunale che deve valutare l’ammissibilità della citazione. Sarà misurato “il grado di precisione e chiarezza delle norme violate, la scusabilità o inescusabilità dell’errore in diritto”.

 

Liana Milella, La Repubblica

 

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