In un libro ormai dimenticato del 1929, Ideologia ed Utopia, Karl Mannheim (da non confondere con Renato Mannheimer che è quello che ci racconta a Porta a Porta quello che pensano gli italiani) spiega che ogni uomo vede il mondo a partire da uno specifico angolo visuale, che è quello della sua particolare famiglia, del suo particolare mestiere, della sua particolare collocazione geografica e sociale, in una parola del suo Sitz im Leben, la sua collocazione nel mondo della vita.
Questa visione non è falsa, anzi è certamente vera, ma è altrettanto certamente parziale. Vede molte cose ma non ne vede altre. Vede le cose così come sono ma non come si apprestano a diventare, non coglie cioè i cambiamenti che stanno avvenendo e che pongono nuovi ed inediti problemi.
Esiste però una categoria di uomini che come proprio mestiere e propria specializzazione nella vita ha quella di legare fra loro gli orizzonti degli uomini comuni costruendo orizzonti più ampli e più vasti. Questi sono, nella visione di Mannheim, gli intellettuali. Anche gli intellettuali, naturalmente, non hanno la verità in tasca. Essi però si sforzano di pensare non il frammento ma l’intero (una volta si diceva la totalità) o almeno un frammento più grande di quello che appare all’uomo comune. Soprattutto nei momenti di difficoltà e di cambiamento accelerato il popolo ha bisogno di intellettuali che lo aiutino a capire quello che sta succedendo ed a prendere le decisioni giuste per evitare i disastri incombenti.
Detto in altre parole: il popolo ha bisogno di elites dirigenti, di una classe dirigente. Ha bisogno di politica. La politica è infatti , tipicamente, una arte architettonica che mette insieme saperi e visioni particolari in un insieme coerente. La democrazia rappresentativa si costruisce esattamente su questo legame di popolo e classi dirigenti. La democrazia degli antichi, la democrazia dei greci, non era una democrazia rappresentativa ma una democrazia diretta.
Il popolo riunito in piazza decideva. La critica alla democrazia diretta che pervade la filosofia classica nasce dal fatto che non sempre il popolo decideva bene. Per decidere bene è necessario studiare il problema, disporre di conoscenze specialistiche, riflettere, informarsi etc… Tutte cose che il popolo riunito in assemblea non ha né il tempo né comunque la possibilità di fare. Di qui la necessità di scegliere uomini che condividano con il popolo un comune sentire riguardo ai valori fondamentali ma abbiano il tempo e la possibilità di studiare i problemi e di giungere a decisioni ragionevoli. Questo comporta uno sforzo continuo di misurarsi con gli interessi particolari per riconciliarli fra di loro e trascenderli nella sintesi del bene comune. Valletta era convinto che quello che va bene alla FIAT va bene per l’Italia. Allo stesso modo l’operaio è convinto che quello che va bene agli operai va bene per il Paese, ed il commerciante anche lui è convinto che il suo interesse particolare coincida con l’interesse generale.
Tutte queste pretese, però, non sono vere. L’interesse di ogni gruppo sociale, portato all’estremo, si rivolge contro quello degli altri gruppi sociali concorrenti ed il loro conflitto finisce con il mandare in rovina il Paese. In una democrazia rappresentativa la classe dirigente politica viene selezionata con metodo democratico. Ê questo ciò che vuole dire la nostra Costituzione quando dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla stessa Costituzione, cioè per delega e non direttamente. Accade però a volte che fra classe dirigente e popolo si crei un abisso di diffidenza e di disprezzo.
Pare che questo sia ciò che è accaduto in Italia in questi ultimi anni. È la classe dirigente che ha tradito il popolo o è il popolo che ha tradito la classe dirigente? Forse tutte e due le cose. La classe dirigente è fatta di esseri umani che possono essere avidi o disonesti ed approfittare della loro condizione per creare una condizione privilegiata per se stessi.
Il potere corrompe e la corruzione fa perdere credibilità e prestigio. È raro però che il popolo ripudi una classe dirigente solo a causa della sua corruzione. In genere una classe dirigente viene ripudiata in blocco quando si lascia sorprendere dal cambiamento e si mostra incapace di guida politica. È in questa chiave che dobbiamo leggere anche la crisi della Prima Repubblica.
La classe politica della Seconda Repubblica ha avuto questo di peculiare: non ha preteso di guidare il popolo ma semplicemente di esprimerlo. Il politico si è preoccupato soprattutto di dire agli elettori: io la penso come voi, io sono uno di voi (e mi perdonerete se cedo a delle tentazioni alle quali anche voi, al posto mio, non sapreste resistere). Il sondaggio di opinione è sembrato offrire lo strumento principe per superare la distanza fra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Il sondaggio ci fa sapere qual è l’umore del popolo e quello che il popolo vuole sentirsi dire. Una vera classe dirigente talvolta deve spiegare al popolo che quello che gli appare come vero in realtà non lo è, ma come farlo se è bandito ogni ragionamento troppo complesso per stare in un intervento da talk show televisivo, dove la preoccupazione fondamentale è quella di tenere alti gli indici di ascolto e certo non quella di aiutare il cittadino a comprendere questioni complicate e difficili?
La perdita di prestigio della classe dirigente in quelle condizioni poteva solo crescere a dismisura, come poi in effetti è stato. Poi sono venuti i fatti a smentire senza misericordia le promesse dei politici. Fenomeni come la predica di Celentano in TV non vanno sottovalutati. Celentano esprime il sentimento di tanti cittadini e di tanti fedeli cristiani che rinunciano ad elaborare le loro convinzioni, a paragonarle con i dati di fatto, non si fidano più degli esperti, dei sapienti e dei politici e vorrebbero imporre alla realtà le loro ricette semplicistiche. È una forma di grillismo cristiano.
Nell’ambito tradizionale della sinistra il fenomeno è anche più accentuato. La sistematica sconfitta dei candidati del PD nelle primarie di coalizione della sinistra lancia un segnale del medesimo segno. La base non si fida più dei propri dirigenti.
Nelle forme più estreme questo atteggiamento genera la ricerca di un capro espiatorio nella illusione che qualcuno possa pagare per tutti e quindi esentare noi dalle fatiche e dai sacrifici. È ovvio che questa situazione è pericolosa per la democrazia. Un demagogo può facilmente trascinarsi dietro masse spaventate e deluse precipitando il paese nel baratro della miseria e di un lacerante conflitto sociale. Questo è particolarmente probabile che avvenga in tempi di rapido cambiamento. Il senso comune popolare (che, come ci ammonisce Manzoni, non sempre coincide con il buon senso) cerca di dare risposte alla crisi tratte dalla esperienza del passato, rifiuta le fatiche ed i sacrifici necessari a far fronte ai reali problemi del presente e questo porta il popolo alla catastrofe.
Bisogna non dimenticare che l’avvento delle dittature è sempre il risultato della crisi delle democrazie. Hitler e Mussolini non hanno ucciso democrazie funzionanti ed in buona salute ma, come le iene o gli avvoltoi, hanno divorato democrazie fallite o morenti (diverso è il caso di Lenin che ha fatto abortire una democrazia russa ancora non nata). Oggi in Grecia una èlite screditata cerca di imporre al popolo sacrifici tanto necessari quanto dolorosi e perfino insopportabili.
È forte il rischio che il popolo dica di no precipitando così la crisi della economia greca verso la catastrofe. Il rischio è accresciuto dalla presenza di demagoghi che vanno dicendo che i sacrifici in realtà non sono necessari e sono imposti dalla avidità dei nemici della nazione. Con la parola nemici si identificano poi a scelta l’Unione Europea, la Germania, le banche, insomma tutti i creditori che vogliono essere pagati o tutti quelli che si rifiutano di fare nuovi prestiti senza sufficienti garanzie.
Attenzione! Non sto dicendo che non sia miope o sbagliata una politica avara di solidarietà verso la Grecia in difficoltà. Sto solo dicendo che la crisi non la provoca l’Unione Europea o la Germania ma la classe politica che ha fatto debiti in modo irresponsabile. Come si esce da questa situazione? I demagoghi vogliono in un modo o nell’altro il passaggio da forme di democrazia rappresentativa a forme di democrazia diretta. In questa cornice si inquadra anche la spinta referendaria in Italia.
Bisogna comprendere le ragioni di questa spinta, che va molto al di là dei limiti che al referendum ha posto la costituzione italiana, ma non bisogna colludere con essa. La democrazia diretta finisce sempre nella democrazia plebiscitaria, nel rapporto carismatico fra un leader ed il suo popolo ed infine nella morte della democrazia. Bisogna invece lavorare alla ricostruzione di una classe dirigente politica e del legame fra classe dirigente e popolo. Il governo che abbiamo adesso è un governo di competenti. Per questo da molti viene criticato come antipolitico ed antidemocratico. Noi invece proprio da qui vogliamo ripartire.
La politica demagogica si appoggia alle passioni popolari. Essa è convinta che il popolo abbia sempre ragione. La democrazia rappresentativa si fonda invece sulla convinzione che il popolo abbia sempre ragione se un classe politica responsabile gli prospetta un’alternativa serie e credibile a quanto solo desiderato e sperato. Il popolo può anche credere che i posti di lavoro li crea lo Stato e deliberare che lo Stato assuma tutti i disoccupati. Il risultato sarà che tutte le imprese chiuderanno perché non saranno in grado di reggere un carico fiscale insopportabile e che tutti i disoccupati diventati impiegati statali rimarranno in mezzo ad una strada insieme a tutti gli altri lavoratori impiegati nel settore privato.
Qualcuno deve spiegare al popolo questa spiacevole verità e questo qualcuno è una classe politica responsabile e competente. Bisogna politicizzare i competenti e bisogna anche che i politici divengano competenti. Bisogna selezionare una classe politica nuova credibile perché dotata di senso morale. L’organo che seleziona la classe politica è il partito. Noi abbiamo bisogno di un partito politico nuovo per selezionare una classe politica nuova. Ci vogliono tre elementi ed un catalizzatore. Serve una leva di gente nuova, che crede in qualcosa ed è animata da una etica del servizio. Il serbatoio più grande di una militanza così sono le associazioni ed i movimenti cattolici. Non per fare un blocco cattolico o per organizzare la difesa dell’interesse cattolico ma semplicemente per salvare la nazione in un momento di difficoltà e di pericolo. Per questo è importante che i cattolici non si isolino fra di loro ma siano sempre insieme con altri (primi fra tutti gli ebrei) per salvare l’Italia.
Servono i competenti per elaborare strategie concrete di sviluppo e di crescita. Il serbatoio più rilevante di queste energie disponibile è il governo Monti. Non credo che Monti possa e voglia entrare in un partito, nemmeno nel partito che esplicitamente si propone di continuarne l’opera. Credo però che molti dei ministri del governo Monti debbano restare in politica e candidarsi alle prossime elezioni nelle file del partito nuovo. Servono quelli che hanno esperienza di quello che è la politica, che ha una sua professionalità ed una competenza propria che non può sostituirsi ad altri tipi di competenza ma è comunque indispensabile per il successo del progetto. Questi si trovano prevalentemente ma non esclusivamente nell’UDC.
Per mettere assieme queste forze serve un catalizzatore: la chiarezza di un progetto, di una visione insieme alta e realistica del futuro del Paese. Con questi elementi, nel fuoco di una battaglia politica vera, un partito nuovo può nascere. In questi ultimi giorni si è favoleggiato di una opa dell’UDC sul PdL. Chi la pensa in questo modo ancora non ha capito la profondità della crisi della politica, la portata della delegittimazione di un intero sistema politico. Non è mettendo insieme partiti vecchi che si fa il partito nuovo di cui l’Italia ha bisogno. Bisogna attingere alle fonti di legittimazione dell’impegno gratuito che può offrire il popolo cristiano e della serietà e competenza che caratterizza il governo Monti e spiega il crescere della grande area di consenso di cui esso gode.
Bisogna interiorizzare la fine di una fase politica come ha fatto l’UDC. Altri apporti, dal PDL, dal PD … sono benvenuti, a condizione che non spostino l’asse fondamentale della operazione e non la riducano ad un gioco di potere per la riedizione della vecchia politica. Si tratta di costruire una nuova classe dirigente e di ristabilire il rapporto di fiducia fra governanti e governati, nulla meno di questo.
Rocco Buttiglione