Il Ministro dell’Integrazione: «Io insisto per l’integrazione. Il modello inglese è fallito, così come quello francese, io credo ci possa essere un modello all’italiana».
«Un sogno? La cittadinanza per i bambini stranieri nati in Italia e la ripresa della cooperazione italiana». Lo ha detto, secondo quanto riferisce una nota, il ministro della Cooperazione internazionale e dell’Integrazione, Andrea Riccardi, ospite dell’intervista della domenica di Alessandro Banfi su Tgcom24.
«Un diritto di cittadinanza basato sulla cultura – afferma il ministro – una specie di via di mezzo tra ius soli e ius sanguinis e cioè il diritto di cultura, se questi bambini sono culturalmente italiani diamogli la cittadinanza, credo sia un fatto giusto».
«Siamo in un momento – conclude il ministro Riccardi – in cui ci sono elementi di conflitto ma anche elementi di reazione. Noi siamo per la sicurezza per tutti e per costruire un processo di integrazione»
anche perchè sono da considerare che sono ben 109.268 le firme raccolte per concedere la cittadinanza ai figli degli immigrati che nascono in Italia (da almeno un genitore legalmente residente da 1 anno), mentre sono 106.329 quelle per estendere il diritto di voto nelle elezioni amministrative agli stranieri residenti da almeno 5 anni. In tutto, oltre 200mila firme per i diritti di cittadinanza consegnate nei giorni scorsi alla camera dei deputati.
Questi sono i risultati conclusivi della campagna “L’Italia sono anch’io” promossa dalle Acli con altre 18 organizzazioni della società civile, di area laica e religiosa, di orientamenti anche diversi: dall’Arci alla Caritas, dalla Cgil all’Ugl, dalla fondazione Migrantes della Cei alla Federazione delle evangeliche in Italia.
Un risultato straordinario e per certi versi inatteso, su un tema difficile e delicato, destinato necessariamente a riaprire il dibattito politico sull’immigrazione e la cittadinanza, rilanciato in maniera autorevole e incalzante, all’inizio di quest’anno, dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano.
Nessuna delle proposte in campo prevede la concessione automatica della cittadinanza italiana “a chiunque nasca, magari casualmente, sul nostro territorio nazionale”. Tutti i progetti di riforma presentati in parlamento, compresa la proposta della campagna “L’Italia sono anch’io”, prevedono – quale più, quale meno – il requisito della stabilità di residenza di uno o di entrambi i genitori.
Il dibattito va dunque sgomberato da equivoci e falsità, soprattutto in questa nuova stagione politica che chiede a tutti un di più di responsabilità e lungimiranza, la capacità di guardare al futuro con uno sguardo aperto alle grandi trasformazioni che stanno attraversando il paese. Forse la spinta dal basso da parte dei cittadini italiani, rappresentata da questa campagna di sensibilizzazione, può offrire la chiave di volta per orientare la discussione sul giusto binario.
Si registra da più parti, nel paese, il bisogno di aprire una nuova fase di segno riformista, orientata al riconoscimento del diritto di ogni donna e di ogni uomo di sentirsi appieno cittadino italiano. Il bisogno e l’attesa di una ripartenza sui grandi temi, non solo economici, che interrogano il futuro dell’Italia. Tra cui, appunto, il tema dell’immigrazione.
Se esiste una via di uscita dalla grave crisi che stiamo attraversando, non può che passare dalla valorizzazione delle spinte innovative, creative e anche imprenditoriali presenti nel nostro paese e provenienti da culture diverse. È la promozione del valore aggiunto dei cittadini di origine straniera presenti in Italia, che già oggi contribuiscono alla sua crescita economica e sociale, che con i loro figli – le cosiddette seconde generazione – contribuiscono alla sua crescita umana e culturale.
Per questo crediamo che la discriminante del diritto di cittadinanza non può più essere solamente la condizione di nascita (lo ius sanguinis), ma deve essere la condivisione e l’accettazione di un comune patto etico e sociale. Qualcosa di più anche del semplice ius soli, che è forse lo ius culturae di cui parla il ministro Andrea Riccardi. Il paese è pronto per questo cambio di passo. Oggi più di ieri ci sono le condizioni per cui il parlamento sia all’altezza delle attese dei suoi cittadini.
La legge sulla cittadinanza ha 20 anni esatti di vita. È giunto il tempo di cambiarla, con lo sguardo rivolto al futuro.