Il ministro: il tessuto sociale è lacerato da decenni ma i partiti stanno più in tv che tra la gente
Un Paese angosciato, incerto sul futuro, incredulo. I rigurgiti del terrorismo, l’attentato di Brindisi, la protesta contro gli esattori delle tasse culminata spesso in tragici suicidi: l’Italia scossa e ferita nella sua coscienza più vera e costreta a tirare la cinghia nella fase più dura della crisi economica degli ultimi 40 anni.
Ne parliamo con Andrea Riccardi, ministro per l’Integrazione e soprattutto sensibile e profondo conoscitore del pensiero umanistico contemporaneo.
Ministro Riccardi, si ha la sensazione che la coesione sociale del Paese sia ogni giorno più a rischio.
«Io da tempo penso che ci sia una crisi dentro la crisi economica che viene più da lontano. È la crisi del tessuto sociale del Paese, che si è consumato, talvolta lacerato negli ultimi decenni. In fondo il nostro è stato un mondo coeso nonostante il forte processo di inurbamento intervenuto dal dopoguerra. Perché accanto a reti antiche, soprattutto quelle familiari e della chiesa, si erano create nuove reti di appartenenza come i partiti politici, i sindacati e così via. Poi, progressivamente, è successo qualcosa che ha reso la donna e l’uomo italiani molto più soli».
Solitudine di valori?
«Solitudine nelle grandi periferie urbane, ad esempio, mentre i partiti politici con i loro radicamenti locali si sono dissolti e il dibattito politico è diventato mediatico. Le comunità umane nate dal dopoguera o ancora più antiche si sono frantumate, basta pensare alla crisi della famiglia. E allora l’uomo e la donna italiani si trovano in una condizione umana infragilita di fronte alla crisi, hanno poche risposte di senso, nessun indirizzo».
Il vuoto aperto dalla crisi della politica e la crisi economica come mix micidiale per la tenuta del sistema?
Di sicuro il mondo globalizzandosi è divenuto più complesso. I poteri non stanno più nei palazzi della provincia o della Capitale o delle istituzioni ma sembrano lontani. Con chi parlare? Aggiungerei però che la famiglia è sotto stress perché è diventata un ammortizzatore sociale in maniera esorbitante. E allora certi atti di follia o di violenza si spiegano anche come uno spaesamento comune che in alcuni casi diventa impazzimento».
Si riferisce all’agguato di Genova e alla tentata strage di Brindisi?
«Sì, soprattutto a Genova e a Brindisi. Quanto accaduto in Puglia, in particolare, è grave perché mi sembra calpestare l’umanità italiana su cui qualche volta si è sorriso ma che rappresenta una tradizione del Paese. Tradizione che è rispettare i giovani, le donne, non sparlare sui morti. Potrà sembrare cosa da poco ma era anche un carattere del nostro tessuto civile. La scuola è un luogo sacro simile all’ospedale o alla chiesa. E quindi colpirla è qualcosa che è fuori dalla nostra umanità».
Riuscirà la politica a recuperare anni di sterile scontro e a restituirci, proprio adesso, un’immagine finalmente più vicina al sentire dei cittadini?
«Abbiamo perso tanto tempo a litigare, e perdiamo ancora troppo tempo nei personalismi. Qui c’è da ritessere un tessuto umano che è stato poco coltivato. Sviluppare le comunità locali, sostenere le famiglie, far crescere il senso del legame con la gente: in una parola, far rinascere la politica alla base e tra la gente. Ecco la vera sfida: perché la politica sta troppo in televisione e poco tra la gente».
Se la sente di prevedere che nelle prossime settimane ci saranno la riforma elettorale e la nuova legge sul finanziamento pubblico dei partiti?
«Io penso che la riforma della legge elettorale sia per legare di nuovo eletti ed elettori. Ma soprattutto quel che conta è ricreare un clima di fiducia tra istituzioni politiche e italiani. Le persone hanno bisogno di discutere del loro futuro, della politica e di sentirsi comunità locale e nazionale. Non voglio essere pessimista perché di pessimismo ne esiste già tanto nella società italiana. Dobbiamo avere la pazienza di parlare, di dialogare, di riconnettere un tessuto umano che è stato troppo lacerato».
Come il dovere di pagare tutti le tasse?
«Sicuramente. Dobbiamo riconnettere le sofferenze e le aspettative degli italiani alla politica, soprattutto dare sostanza a una grande domanda di speranza: non bastano le illusioni televisive di un momento».
Pensa ai giovani?
«Proprio così. Penso soprattutto a loro, a quelli del Mezzogiorno che hanno bisogno di lavoro. Non è il caso di ricordare quello che il governo ha fatto perché qualcosa ha fatto ma penso soprattutto che abbiamo il dovere di costruire una società a loro misura. Anche facendo sacrifici: e tante volte facendo quello che dobbiamo fare, come pagare le tasse. Perché se non fossimo il paese dell’evasione fiscale l’Italia sarebbe molto diversa».
Nando Santonastaso, Il Mattino