Da oggi, 2 aprile, è in vigore l’obbligo sancito dall’art. 17 bis del decreto legislativo 546/92. Parliamo del reclamo preliminare, introdotto dal decreto legge n. 98/2011, che in campo tributario, per alcuni, è condizione indispensabile per poter esercitare il diritto di difesa davanti ai giudici competenti. Si tratta di un pre-processo che nell’ordinamento tributario italiano – seppure per fattispecie limitate – è già presente con il nome di accertamento di adesione ed i cui risultati pratici non sono stati eccezionali.
La differenza sostanziale fra i due istituti è che mentre l’accertamento con adesione è un adempimento volontaristico, il reclamo è un procedimento obbligatorio. Preme sottolineare in premessa che la Fondazione Commercialistitaliani ha sin dall’origine contestato la nuova procedura proponendo appositi emendamenti di modifica evidenziando le palesi criticità in essa contenute.
Senza entrare in modo approfondito nelle pieghe del diritto, non essendo questa la sede, a prima vista, la norma sembra manifestare un eccesso di potere legislativo e porsi in contrasto con alcuni capisaldi della Costituzione che il giudice delle leggi, se chiamato a decidere, non mancherebbe di evidenziare. Il riferimento è agli articoli 3 (diritto di uguaglianza); 24 (diritto alla difesa); 111 (giusto processo); 113 (tutela dell’interesse legittimo); 25 (giudice naturale).
Primo contrasto: il comma 1, dell’art. 17 bis chiama in causa i titolari di controversie di valore non superiore a euro ventimila e si disinteressa, escludendoli tacitamente, di tutti gli altri. Supponendo che il reclamo non abbia efficacia e che il contenzioso prosegua in sede giurisdizionale, alcuni cittadini e alcune imprese dovranno pagare al professionista che li ha assistiti, un onorario maggiore rispetto a coloro la cui controversia è superiore a euro ventimila e che non avranno l’obbligo del doppio iter. L’art. 3 della Costituzione dice che i tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e vieta in modo assoluto la loro catalogazione. Nel caso di specie, la catalogazione, come del resto è già successo con la definizione delle liti pendenti, avviene con uno spartiacque rappresentato dal limite di ventimila euro. Limite che pone immotivatamente alcuni soggetti su una riva e tutti gli altri sull’altra.
Secondo contrasto: come già osservato in modo univoco e pacifico dalla dottrina, la norma, disponendo l’obbligo di presentazione di un’istanza e dichiarando inammissibile il ricorso eventualmente presentato senza aver ottemperato a tale obbligo preventivo, impedisce ad un cittadino di difendersi. Vanifica quindi, in fatto ed in diritto, un pilastro come quello rappresentato dall’art. 24 della Costituzione, secondo cui la difesa è un diritto inviolabile. Un diritto costituzionale di portata suprema che si pretende di violare con una legge ordinaria di rango inferiore.
Terzo contrasto: l’imposizione della presentazione dell’istanza in via preventiva reca in sé un altro aspetto negativo per il contribuente. L’amministrazione finanziaria, infatti, conoscendo le ragioni difensive dell’istante prima che il processo si incardini, si pone in una situazione di indubbio vantaggio poiché può decidere, a suo insindacabile giudizio, quale sia il comportamento per essa più conveniente. Siffatta facoltà annulla le disposizioni imperative dell’art. 111, secondo cui il processo deve svolgersi fra le parti in condizioni di parità. La Costituzione non consente a nessuna delle parti coinvolte, per nessun motivo, di usare il suo potere per avvantaggiarsi sull’altra.
Quarto contrasto: secondo l’art. 113, contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione e per determinate categorie di atti.
Il diritto soggettivo e l’interesse legittimo sono portatori di un potere reattivo quale, per esempio, quello del ricorso giurisdizionale tendente all’annullamento dell’atto amministrativo. Pertanto, se una norma condiziona l’esercizio di tale potere e lo impedisce, essa si pone contro la Costituzione.
Quinto contrasto: secondo l’art. 25 della Costituzione nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nel caso d’interesse il giudice naturale è rappresentato dalla Commissione Tributaria a cui risulterà impossibile rivolgersi in caso di omissione della presentazione dell’istanza di reclamo. Anche in questo caso vi è un evidente contrasto fra le disposizioni dell’art. 17 bis e i princìpi costituzionali, atteso che tali disposizioni distolgono il contribuente dal suo giudice impedendogli di adirvi se non dopo aver esperito l’obbligo di rivolgersi ad altro giudice, non naturale. Il giudice naturale è munito, per sua natura Costituzionale, dell’indefettibile requisito della terzietà. Egli, infatti, è soggetto solo alla legge.
L’organismo pre-giudicante imposto dall’art. 17 bis, invece, provenendo dalla stessa parte che ha emanato il provvedimento impugnato è carente di tale requisito. Qualora persista la volontà di mantenere il nuovo istituto, crediamo debba essere necessariamente rivisto prendendo spunto dalla “mediazione” in campo civile, introducendo la figura del mediatore professionista, appositamente formato, introducendo l’indispensabile ruolo di terzietà nella procedura.
Occorre inoltre rilevare che l’organismo obbligatoriamente adito, gode della più ampia discrezionalità in merito alla decisione da adottare, non avendo posto la legge alcun parametro di riferimento a cui egli debba attenersi per definire controversie.
Nella disposizione in commento pare manifestarsi anche un eccesso di potere legislativo poiché i principi fondamentali e granitici della Costituzione non sono né possono essere soggetti ad alcuna condizione. Essi sono posti a salvaguardia di diritti primari di natura positiva in quanto derivanti dalla volontà Costituente.
In nessun altro campo uno dei due giocatori, e gradiremmo essere smentiti, oltre a essere tale ha anche la possibilità di dettare le regole del gioco e di essere giudice/arbitro. E se tale ipotesi non ricorre, evidentemente c’è una ragione.
Marco Cuchel, Presidente Fondazione COMMERCIALISTITALIANI