Tratto da IL SOLE 24 ORE di Venerdì 18 novembre 2011
La legge di stabilità abroga la legge 23 novembre 1939, n. 1815, e cioè la legge che obbligava l’esercizio associato della professione nella forma dello «studio associato» e che vietava la forma societaria per la libera professione, ma certo non cancella la possibilità per i professionisti di continuare ad aggregarsi in studi associati.
Peraltro, avendo d’ora in poi la possibilità di strutturare l’esercizio della libera professione anche in forma societaria, si pone il problema di scegliere quale sia la forma organizzativa più opportuna nel caso concreto. Anzi, è da presumere che, almeno in un primo periodo, non ci sarà la corsa a costituire società professionali perché gli studi associati sono strutture molto più “leggere” (con costi inferiori) e flessibili: a parte i grandi studi, ove la forma societaria probabilmente s’impone, in quelli piccoli
(e dunque nella maggior parte dei casi) un incentivo alla costituzione di società può forse essere quello della limitazione della responsabilità dei soci delle società di capitali o dell’accomandatario di accomandita semplice.
Negli studi associati c’è molto meno formalismo. Ad esempio, non c’è necessità di un formale atto costitutivo né di una sua iscrizione nel registro imprese. La scrittura privata autenticata che i professionisti associati firmano serve “solo” per ripartire gli utili in misura diversa da una loro divisione “per teste”, e comunque per sottoscriverla c’è tempo fino alla presentazione della dichiarazione dei redditi, e quindi ben oltre la chiusura dell’esercizio “annuale”, quando invece per la suddivisione del capitale sociale tra i soci di società “fa stato” la situazione esistente nel giorno di fine esercizio (di solito il 31 dicembre).
Inoltre, la nomina di organi amministrativi o di controllo è una necessità (di fatto, non di diritto) negli studi di dimensioni maggiori, altrimenti se ne fa a meno. Nelle società invece la presenza di organi amministrativi e/o di controllo è una necessità, anche se, per il vero, le strutture societarie meno complesse hanno la loro articolazione organica ridotta al lumicino.
Gli studi associati non hanno bisogno, come accade invece per le Srl e le Spa, di dotazioni patrimoniali minime, sia in sede di costituzione che durante la loro esistenza: per costituire una Srl occorre un capitale di almeno 10mila euro (e di 120 mila euro, se si tratta di una Spa) e questo livello di capitale minimo deve essere mantenuto durante la vita della società e non può essere diminuito da perdite.
Quanto all’ingresso e all’uscita dei “soci”, negli studi associati si tratta di eventi privi di formalismi così come non vi sono formalità da compiere per le eventuali “elezioni” di cariche interne, negli studi più grandi. Nelle società invece la musica cambia: per l’entrata e l’uscita di un socio occorre espletare formalità notevoli, di natura diversa a seconda del tipo di società. Inoltre, di questi “movimenti” nelle società occorre dare conto nel registro delle imprese, mentre gli studi associati sono estranei a ogni forma di pubblicità dei loro atti.
Con riferimento poi alla distribuzione degli utili, mentre non vi sono problemi a ripartizioni infrannuali negli studi associati, la prassi di effettuare acconti su dividendi nelle società è vietata o resa difficoltosa dalla necessità di esperire particolari procedure.
Infine, mentre negli studi associati non vi sono obblighi di redazione di bilanci né di un loro deposito al registro delle imprese, uno scenario diverso in questa materia si ha in campo societario, ove, a seconda del tipo prescelto, vi sono obblighi in tal senso. Anzi, la “pubblicità” dei ricavi dello studio associato che deriverebbe dall’obbligo di deposito del bilancio non proprio a tutti farebbe esattamente piacere.