Il punto sulle polemiche riguardo il valore legale della laurea di Giuseppe Bedeschi, Corriere della Sera del 7 febbraio 2012.
L’esigenza di abolire il valore legale delle Lauree, che fino a poco tempo fa era un tema confinato nei dibattiti fra pochi intellettuali, si è finalmente imposta con forza nei piani alti della politica. Il problema ha fatto irruzione nel Consiglio dei ministri. Ma anche qui ha trovato fiere resistenze, e ogni decisione è stata rinviata. Pare che un ministro abbia obiettato: «Non dimentichiamo che la laurea ha un significato anche culturale per le famiglie italiane».
L’affermazione che «la laurea ha un significato anche culturale» è assai curiosa. La laurea non dovrebbe avere un carattere esclusivamente culturale (e scientifico)? In realtà, quella paroletta allude anche a una realtà assai più prosaica: molte famiglie credono che, conseguita una laurea, i loro figli avranno un «posto» assicurato; e spesso il disinganno è atroce. Inoltre, chiunque abbia insegnato in una università sa che agli esami si presentano spesso degli strani studenti: vigili urbani, poliziotti, impiegati dello Stato e del parastato che sono alla caccia della maledetta laurea per ottenere una promozione. Non è, questa, una situazione assurda, e tutto sommato indecente?
Ma c’è molto di più, e molto di peggio. C’è il fatto che in questo nostro povero Paese sono sorti, in men che non si dica, decine e decine di atenei. Oggi gli atenei sono più di un centinaio, e si può facilmente immaginare quale sia il livello di molti di essi. Grandi studiosi e grandi specialisti, quali devono essere i professori universitari, non si improvvisano, e richiedono lunghi anni di preparazione e di selezione. Invece in Italia moltissimi professori universitari sono stati creati in quattro e quattr’otto, sicché un gran numero di essi ha requisiti di gran lunga inferiori a quelli che avevano i professori di liceo nella prima metà del secolo scorso. Il risultato di tutto ciò è che decine e decine di sedicenti atenei (ma tutti rigorosamente riconosciuti dallo Stato), con docenti creati dal nulla (si pensi al numero elevato di «contratti» accordati oggi), rilasciano centinaia, migliaia di lauree, che non valgono nemmeno la carta su cui sono scritte.
Va da sé che queste lauree hanno assolutamente lo stesso valore (legale) delle lauree rilasciate da atenei seri, da corsi di laurea che hanno ancora professori di rango e attrezzature scientifiche adeguate (di queste isole felici ce ne sono ancora in Italia). Dunque, il laureato sprovveduto (di reale preparazione), ricevuto l’alloro dal professore improvvisato, ha un titolo legalmente equipollente a quello di un laureato che ha seguito un serio curriculum di studi in una università degna di questo nome. Si può immaginare una situazione più grottesca di questa?
Non stupisce, quindi, che il bubbone sia scoppiato nel Consiglio dei ministri (dove avrebbe dovuto, in realtà, scoppiare parecchi anni or sono: ma non si voleva disturbare i politicanti che regalavano l’ateneo al loro campanile). Sembra che il premier abbia citato Luigi Einaudi, e il suo famoso articolo «Vanità dei titoli di studio». La citazione è stata più che mai opportuna. Perché se l’articolo di Einaudi diceva cose validissime quando fu composto (nel 1947), quelle cose sono più che mai valide, e drammaticamente attuali, oggi. Scriveva Einaudi: «Scuole e università, pubbliche e private, rilascino certificati e diplomi a loro piacimento. Certificati, diplomi e dottorati avranno quel solo valore che gli insigniti sapranno meritarsi». Perciò Einaudi chiedeva «contro i titoli fasulli, odierni e futuri», questo rimedio: «Fare obbligo a tutti coloro i quali si fregiano di un qualsiasi titolo di far seguire sulle carte da visita e da lettere, sulle targhe apposte al portone di casa e all’uscio dell’ufficio, al proprio nome, cognome e titolo l’indicazione, tra parentesi, della scuola o facoltà universitaria che ha rilasciato il diploma». Così, sulla base dell’apprezzamento e della valutazione che il laureato conseguirà nell’azienda industriale, nell’organizzazione commerciale, nell’ente di ricerca, tutti sapranno farne merito all’ateneo che ha rilasciato quella laurea, e quindi tutti sapranno distinguere le lauree vere da quelle fasulle. A prescindere, naturalmente, dal loro valore legale, che deve essere abolito.