Petrolio: sarà una “rivoluzione neo-fossile”, le rinnovabili dovranno attendere

petrolio

 

Il prezzo del petrolio è un animale assai lunatico, che si lascia ingabbiare con molta difficoltà dalle previsioni degli esperti. Perfino un’istituzione come la governativa “Energy Information Administration” degli Stati Uniti ha vita durissima a indovinare le quotazioni del barile, anche solo per l’anno successivo.

Una settimana fa, la quotazione del barile Wti (quello di riferimento in America) oscillava tra i 105 e i 110 dollari, mentre il prezzo del Brent (il riferimento per l’Europa) faceva marcare quotazioni tra i 20 e i 25 dollari superiori.

È quasi il record storico, segnato nel luglio del 2008 per il Wti (147 dollari), e soprattutto è un fardello pesantissimo per l’economia: si pensi che nei primi anni Duemila la quotazione gravitava ancora tra i 20 e i 30 dollari. 

Ci dobbiamo preoccupare allora per il futuro? Anche se la forastica bestia del prezzo continua a scappare, nella fuga lascia alcune tracce che consentono di orientarci.

Per iniziare, l’aspetto contingente del “mercato” e della “disponibilità” non dovrebbe preoccuparci: in paragone ai problemi attuali, il prezzo del petrolio è fin troppo basso. Ci troviamo in una situazione in cui alcuni paesi produttori di petrolio sono investiti da forti incognite geopolitiche. Negli ultimi mesi la produzione libica è stata annientata. L’incertezza che investe l’Iran impedisce di avere fiducia nelle sue prospettive di produzione petrolifera. Tutta la fascia mediorientale deve ancora raggiungere una situazione di stabilità, tale da tranquillizzare non solo i popoli, ma anche gli operatori.

A questo si aggiungono le questioni della domanda internazionale. Ogni giorno il mondo consuma 89 milioni di barili di petrolio, e si prevede un aumento medio della domanda di circa mezzo milione di barili al giorno. Non è una sorpresa che gran parte dell’aumento sia dovuto alla Cina: nel 1992 aveva bisogno di appena 2,6 milioni di barili, mentre oggi è arrivata a 9,7 milioni.

Il prezzo alto è dovuto al fatto che i paesi produttori si sono avvicinati al limite dell’esaurimento delle risorse aggiuntive da mettere sul mercato per coprire l’interruzione di produzione dovuta alla drammaturgia geopolitica occidentale. Per questo, il prezzo è e rimarrà alto ancora per mesi. Potrebbe scendere se il mondo cadesse nuovamente in una recessione generalizzata, e potrebbe salire se scoppiasse un nuovo conflitto sociale o militare in Medio Oriente.

Per quanto riguarda la domanda aggiuntiva di petrolio da soddisfare, ci sono molte speranze. Prima di tutto, Libia e Iraq potrebbero tornare (o finalmente arrivare) a produrre a capacità. In particolare, l’Iraq si sta avvicinando alla produzione di tre milioni di barili al giorno, e il governo ritiene di poter giungere a 12 milioni (anche se la stima appare esagerata). C’è poi la sorpresa statunitense: con i prezzi alti del petrolio negli ultimi anni, la fascia centrale del paese (definita “America Saud ta”, dagli Appalachi allo Utah) sta raggiungendo l’indipendenza energetica, grazie anche in parte alla sostituzione dei consumi di petrolio con quelli di gas.

Non ci potremo aspettare un ritorno a prezzi fossili bassi, così come lo erano anni fa, ma possiamo escludere anche l’apocalisse del barile a 400 dollari. Il problema che rimane, però, è l’incapacità di regolare la “sintonia fine” del prezzo del petrolio. Ciò dipende da un fattore geofisico: campi petroliferi grandi consentono di ridurre o aumentare una porzione percentualmente piccola della produzione, che equivale però a grandi quantità assolute. Se i campi sono piccoli, questo stratagemma non è più possibile.

Purtroppo, i nuovi campi scoperti sono in media sempre più piccoli. È per questo motivo che l’unica soluzione possibile per evitare i problemi del petrolio caro è differenziare rispetto al petrolio tradizionale. Non parliamo solo delle rinnovabili, la cui applicabilità è ancora troppo limitata, ma anche del petrolio cosiddetto “non convenzionale”, prodotto da sabbie o rocce – e lo stesso dicasi per il gas “non convenzionale”. Prima di una rivoluzione energetica rinnovabile, infatti, quella del Ventunesimo secolo rischia di essere una rivoluzione “neo-fossile”.

 

Stefano Casertano, ISPI, Postdam University

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *