Palestina «stato osservatore», sì dell’Onu. L’Italia appoggia la risoluzione: deluso Israele. Abu Mazen: «Chiedo il certificato di nascita della Palestina». E Netanyahu replica: «Un discorso ostile e velenoso»
Esattamente 65 anni dopo il voto sulla spartizione della Terra Santa in due Stati, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato con 138 voti su 193 la proposta voluta fortemente dal presidente dell’Anp Abu Mazen che rende la Palestina “Stato osservatore non membro a partire dalle frontiere del 1967 e con capitale a Gerusalemme Est”. Come osserva Valeria Talbot, ISPI Research Fellow, si tratta di un’enorme vittoria diplomatica per Abu Mazen che viene rafforzato nei confronti di Hamas.
L’Italia, a lungo incerta sul voto, ha deciso di sostenere la proposta palestinese, allineandosi così a Francia, Spagna, Russia e Cina. Germania e Gran Bretagna si sono astenute mentre hanno votato contro USA, Canada e Israele insieme ad altri 6 stati.
La Palestina entra all’Onu, seppur con un ruolo non di membro effettivo e per la prima volta ottiene un riconoscimento ufficiale di «esistenza» come entità statale dalla comunità internazionale. Grazie al voto al Palazzo di Vetro di New York, la Palestina è da oggi «stato osservatore» anche «non membro» delle Nazioni Unite. L’Assemblea Generale dell’Onu ha votato sulla risoluzione con un ampio consenso: favorevoli 138 Paesi su 193. Nove i Paesi contrari, 41 gli astenuti. Uno degli effetti più attesi dai palestinesi è la possibilità di chiedere al Tribunale Penale Internazionale di indagare su eventuali crimini commessi dalla leadership israeliana durante il pluridecennale conflitto israelo-palestinese. La notizia dell’esito del voto è stata accolta con una festa in varie città dei Territori, tra cui Ramallah.
L’Italia vota si. L’Italia, a qualche ora dal voto, ha sciolto le riserve e «ha deciso di dare il proprio sostegno alla Risoluzione» come comunica una nota di palazzo Chigi. L’ambasciatore di Israele in Italia ha espresso «una delusione molto grande» per la decisione del governo italiano. «Quando si è molto vicini a qualcuno, quando lo si considera un grande amico, la delusione è più forte», ha spiegato l’ambasciatore, Naor Gilon. Di sentimenti opposti il ministro degli Esteri dell’Anp, Riad Maliki: «Siamo molto contenti per la posizione dell’Italia, chiamerò il ministro Giulio Terzi per ringraziare il governo italiano», sottolinea Maliki. Il capo della diplomazia del governo dell’Anp ribadisce quindi come la recente riunione a Roma del Comitato ministeriale congiunto italo-palestinese «sia stata un’occasione per spiegare le ragioni che ci hanno spinto per andare all’Onu». Da quell’incontro, conclude Maliki, «siamo usciti con un’impressione molto positiva».
Monti sosteniamo i moderati. Per il premier, che ha dato il via libera dopo un ultimo contatto con Giorgio Napolitano, non c’è nessun tradimento della storica amicizia con Israele. «E non c’è nessuna svolta epocale, in quanto nessuno abbandona Israele». Ma il quadro internazionale modificato dalle primavere arabe e dalla guerra a Gaza che ha dato vigore al fronte islamico di Hamas, ha spinto Monti verso l’inatteso sì. Le ragioni, in dettaglio, le spiegano a palazzo Chigi. La prima: «Bisognava assolutamente sostenere il presidente Abu Mazen per tagliare le unghie all’ala dura di Hamas». La seconda: mandare un messaggio a Netanyahu. «Speriamo che ciò che è accaduto spinga Israele a muoversi verso il negoziato e a comprendere che se continua con gli insediamenti non ci sarà mai pace». Il premier italiano, in una telefonata con Netanyahu si è preoccupato di offrire «garanzie»: «Sarà massimo il nostro impegno a evitare strumentalizzazioni contro Israele alla Corte penale internazionale». E ad Abu Mazen ha chiesto di rispettare quattro condizioni: «Il riavvio immediato dei negoziati senza precondizioni e dovrà astenersi dal chiedere l’accesso ad altre Agenzie specializzate dell’Onu o per adire la Corte penale internazionale».
Telefonata a Netanyahu. In precedenza il presidente del Consiglio aveva telefonato al premier Netanyahu, ribadendo che questa decisione non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele e ha garantito il fermo impegno italiano ad evitare qualsiasi strumentalizzazione che possa portare indebitamente Israele, che ha diritto a garantire la propria sicurezza, di fronte alla Corte Penale Internazionale. Il presidente dell’Anp Abu Mazen invece «esprime il proprio ringraziamento al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al premier Mario Monti».
Il no degli USA. Per gli Usa che hanno votato contro si tratta di «una risoluzione controproducente» ai fini del raggiungimento dell’obiettivo di «due Stati per due popoli». Lo ha detto l’ambasciatrice Usa all’Onu, Susan Rice, motivando il no degli Stati Uniti. Per il segretario di Stato americano Hillary Clinton il voto «pone nuovi ostacoli sul cammino della pace». La Santa Sede invece ha espresso la sua soddisfazione: «Accogliamo con favore la decisione dell’Assemblea Generale, con la quale la Palestina è diventata Stato Osservatore non membro delle Nazioni Unite». Per il segretario dell’Onu Ban Ki-Moon «Il votosottolinea l’urgenza di una ripresa dei negoziati di pace».
Abu Mazen. Sul fronte palestinese, il presidente Abu Mazen, parlando all’Assemblea prima del voto aveva chiesto il «certificato di nascita» dello Stato palestinese all’Assemblea generale dell’Onu. «Vogliamo raggiungere la pace e portare nuova vita al negoziato» con Israele, ha spiegato il presidente, ammonendo che «è arrivato il momento di dire basta all’occupazione e ai coloni perché a Gerusalemme Est l’occupazione ricorda il sistema dell’apartheid ed è contro la legge internazionale». E ha ribadito che i palestinesi «non accetteranno niente di meno dell’indipendenza sui territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est». La risoluzione ha avuto l’appoggio di una quindicina di Paesi dell’Ue, Francia e Spagna in testa, ma di fatto ha diviso i 27.
Diplomazia europea. La diplomazia europea ha infatti tentato fino all’ultimo ma senza successo di costruire una posizione comune (l’astensione in blocco), ma i singoli Paesi sono andati in ordine sparso. I «no» sono stati meno di dieci- inclusi Israele, Canada, Usa e «i suoi paesi satelliti» – tra tutti i 193 Stati dell’Assemblea. Tra i grandi attori internazionali, Russia e Cina si sono detti a favore del riconoscimento della Palestina come Stato osservatore a partire dalle frontiere del 1967 e con capitale a Gerusalemme Est.
No allo stato palestinese. In ogni caso, il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha messo in chiaro che il voto all’Onu «non cambierà alcunché sul terreno». In particolare «non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà ». Comunque «la mano di Israele resta tesa verso la pace», ha assicurato. Inoltre Netanyahu ha definito le parole di Abu Mazen «ostile, non è il discorso di un uomo di pace». D’altro canto l’ambasciatore israeliano all’Onu, Rin Prosor, ha definito la risoluzione «Unilaterale» e «un passo indietro per la pace». «Parlo a nome dell’unico Stato degli ebrei nel mondo» – ha esordito Prosor – «l’unica via per raggiungere la pace è un accordo tra le parti e non attraverso questo voto dell’Onu. Con questa risoluzione l’Onu chiude gli occhi sugli accordi di pace e non conferirà alcuna dignità di Stato». Inoltre, ha sottolineato Prosor, Israele «non permetterà lo stabilirsi di una nova base iraniana del terrore».
La risoluzione ONU sulla Palestina. Il testo ribadisce il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’indipendenza, ed auspica che il Consiglio di Sicurezza consideri favorevolmente la domanda presentata da Abu Mazen in data 23 settembre 2011 per l’ammissione a pieno titolo alle Nazioni Unite.
Si afferma poi la determinazione dell’Autorità Palestinese a contribuire alla realizzazione dei diritti inalienabili del suo popolo, e al raggiungimento di una soluzione pacifica della questione mediorientale che ponga fine all’occupazione iniziata nel 1967 e sia conforme con la visione di due Stati: una Palestina indipendente, sovrana e democratica, che viva fianco a fianco in pace e sicurezza con Israele sulla base dei confini precedenti al 1967.
Inoltre nel testo si esprime l’urgente necessità di una ripresa e accelerazione dei negoziati nell’ambito del processo di pace in Medio Oriente, basati sulle risoluzioni Onu e sulla road-map del Quartetto. L’obiettivo è quello di raggiungere un accordo per una pace giusta, durevole e globale tra i palestinesi e gli israeliani, che risolva tutte le questioni fondamentali in sospeso, tra cui il problema dei rifugiati palestinesi, quello relativo alla città di Gerusalemme, agli insediamenti, ai confini, e alla sicurezza. Il documento esorta infine tutti gli Stati membri e le agenzie specializzate dell’Onu a continuare a sostenere ed aiutare il popolo palestinese nella realizzazione del loro diritto all’autodeterminazione, all’indipendenza e alla libertà.
Palestina “Stato membro”, cosa cambia. L’Autorità Nazionale Palestinese si prepara a una svolta storica, anche se secondo alcuni solo simbolica: dopo il voto dell’Assemblea generale dell’Onu, l’Anp passa da entità a Statoosservatore non membro della massima organizzazione internazionale: rango di cui godono già la Santa Sede e la Svizzera.
Per la leadership palestinese si tratta in realtà di un riconoscimento anche formale, sostanziale, ma soprattutto di un passo politico importante per salvare la prospettiva dei due Stati. Quella che prevede – sulla carta – una convivenza pacifica tra Israele e Palestina.
A poche ore dal voto, il ministro degli esteri palestinese Riad Maliki ha spiegato chiaramente come per l’Anp «la priorità rimanga un’ammissione piena alle Nazioni Unite». «Speriamo che presto il Consiglio di Sicurezza dia parere positivo all’Assemblea Generale affinché possiamo diventare il 194/mo Paese membro», ha affermato, conscio però dell’attuale impraticabilità di questa strada. Infatti se il 23 settembre 2011, con la domanda di riconoscimento a pieno titolo, il presidente Abu Mazen fece un primo passo storico, resta il fatto che per ottenere l’ammissione come Stato membro è necessario il via libera dei Quindici (che devono fornire una raccomandazione vincolante all’Assemblea Generale) con il voto favorevole di almeno nove membri. E a patto che nessuno dei permanenti (Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina), ponga il veto.
Tale scenario in realtà non si può verificare nel caso dell’Anp, la quale oltre a non aver ottenuto lo scorso anno il quorum di nove sì, si troverebbe di fronte al veto degli Stati Uniti, alleati di ferro di Israele. Con il voto odierno, invece, l’Autorità Palestinese può presentando domanda e ottenere l’accesso ad altre agenzie specializzate dell’Onu. A condizioni da determinarsi dall’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza, può aderire allo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite. E inoltre può chiedere di ricorrere alla Corte Penale Internazionale (Cpi), accettandone «la giurisdizione per reati commessi sul proprio territorio» da altri Paesi: una prerogativa che aprirebbe la strada a una possibile denuncia contro Israele per crimini di guerra o per la colonizzazione illegale (in base al diritto internazionale) dei Territori occupati. Passi che innescherebbero di sicuro la spirale delle ritorsioni.