tratto da La Stampa di Domenica 4 dicembre 2011 – pag. 10
Revisione “radicale” entro agosto 2012. Sennò scatta l’abolizione
Di Raffele Masci
ROMA – Ci vuole il pugno di ferro di un governo tecnico, per sferrare l’attacco finale alle roccaforti degli ordini professionali. E così, nel decreto che accompagnerà la manovra correttiva che Mario Monti si appresta a varare, ci dovrebbe essere anche una norma sugli ordini, il cui senso è chiaro e netto: o vi riformate «radicalmente» entro l’agosto prossimo, oppure sarete aboliti. Punto e basta. Perché proprio agosto?
Perché l’ultima manovra, quella di metà estate, fissava a sua volta questa scadenza (12 mesi da allora) anche se non introduceva la tagliola che ora Monti vorrebbe istituire. Teoricamente gli ordini sono disposti ad auto-riformarsi, ma intendono la cosa come un make up alla moda, per non sembrare più delle corporazioni fasciste. Ma tutto lì. L’unico che provò a introdurre delle vere liberalizzazioni in Italia fu Pierluigi Bersani, ministro dell’Industria del governo Prodi, con le famose «lenzuolate» del 2006, ma la sua esperienza durò poco, perché nel 2008 l’esecutivo cambiò e con esso la musica. Anche se, va detto, il liberale Berlusconi provò, per ben due volte, a smuovere questa palude corporativa.
La prima volta fu nel giugno di quest’anno, con la terza delle manovre di cui questo 2011 ci ha beneficiato. Si volevano introdurre, allora, delle norme che consentissero ai giovani un più agevole accesso alle professioni.
Però il testo di legge prevedeva due importanti clausole che di fatto mettevano a riparo le corporazioni professionali: la prima era che «l’apertura» non si applicava agli ordini di più antica tradizione (farmacisti, notai, ingegneri, avvocati, architetti e anche – chissà perché in questo elenco – gli autotrasportatori) e la seconda – subdola – era che la presidenza del Consiglio aveva facoltà di concedere delle «deroghe», parola magica per dire che poi la cosa si sarebbe rivista di volta in volta, con buona pace di tutti.
La cosa poteva essere considerata seria? Evidentemente no. E allora, nella successiva manovra, quella di Ferragosto, si tornò sulla materia, imponendo le società di professionisti e abrogando le tariffe minime. Gli avvocati, che già in giugno avevano mugugnato, si fecero sentire, prima con una protesta, poi con una lettera inviata a tutti gli avvocati-parlamentari perché non votassero la norma, bollata come «in costituzionale». Infine – e siamo al 13 agosto – 22 parlamentari-avvocati del Pdl scrissero al presidente del Senato, l’avvocato Renato Schifani, perché le norme ventilate da Tremonti venissero ritirate. E così fu. Restò però una raccomandazione: «Entro 12 mesi da oggi dovete riformarvi».
Mario Monti a questa norma fa riferimento, con una aggiunta: o vi riformate o sparite. Peraltro il Presidente del Consiglio, già quando era commissario europeo alla concorrenza, nel 2003, aveva detto chiaramente come la pensasse a proposito di professioni: «Non credo – disse – che gli ordini dovrebbero essere coinvolti nella sfera economica dei professionisti, dettando regole sul comportamento nel mercato dei loro iscritti, come per esempio fissando le tariffe o vietando la pubblicità».
Secondo uno studio della Banca d’Italia, la liberalizzazione delle professioni porterebbe un incremento del Pii dello 0,8%. Tutte le liberalizzazioni (comprese quelle dei servizi) lo farebbero lievitare dell’1,5%. In cifra assoluta, 18 miliardi.