Obama incontra Aung San Suu Kyi «Lei è la prova che la speranza rende liberi»

birmania Si conclude la visita in Birmania del presidente Usa. L’incontro con il premio Nobel all’università di Rangoon

«Lei è la prova vivente che nessun essere umano può essere davvero imprigionato se nel suo cuore brucia la fiamma della speranza». Barack Obama conclude con una lezione molto particolare agli studenti dell’università di Rangoon la sua straordinaria giornata birmana. Tutto in poche ore: l’incontro col “dittatore ravveduto” Thein Sein, la visita a casa del premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, una residenza-prigione ora divenuta simbolo di democrazia, la folla ammassata per le strade per festeggiare il presidente della superpotenza che viene per la prima volta a visitare un Paese che esce da mezzo secolo di miseria e isolamento. E che vuole smettere di essere un “satellite” della Cina. Infine, il discorso agli studenti dell’università.

Sul podio sale l’Obama ispirato delle grandi occasioni, mala sede scelta è tanto simbolica quanto problematica: un ateneo ricco di storia, epicentro della lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, fucina della fragile democrazia birmana e fabbrica di dissidenti. E per questo demolito dalla giunta militare. È, insomma, un’istituzione stremata che faticosamente cerca di rinascere quella che accoglie il leader venuto a celebrare la speranza, a «sporcarsi le mani» (come ha detto lui stesso) per accelerare le tappe dell’uscita dalla dittatura. Un leader che si prende i suoi rischi nella battaglia per far avanzare i diritti umani. Avesse pronunciato questo discorso tre o quattro anni fa, avrebbe fatto epoca come col suo intervento all’università del Cairo. Ma molta acqua è passata, da allora, sotto i ponti: l’uomo della speranza e del cambiamento ha perso molto del suo fascino, almeno negli Usa. All’estero, invece, la sua credibilità è ancora forte e qui in Birmania il presidente americano, il primo a visitare questo Paese divenuto indipendente nel 1948, incassa il dividendo delle sue aperture sui diritti umani. Rischia perché quello di Thein Sein è un governo civile, riformista, che ha chiuso la lunga stagione delle giunte militari, ma è composto da personaggi non privi di responsabilità per un passato sanguinoso.

E ancora oggi la Birmania è dilaniata da conflitti etnici sfociati anche di recente in scontri feroci coi buddisti cjhe cercano di cacciare la minoranza dei musulmani Rohinghya, una sorta di tribù senza patria. Dopo l’emozione e la commozione della visita nella residenza della donna che incarna la volontà di libertà e democrazia di un intero popolo – una visita fatta da Obama insieme a Hillary Clinton che è comparsa per l’ultima volta al suo fianco nelle vesti di Segretario di Stato – il presidente ha parlato agli studenti di quattro diverse libertà: di parola, di religione, libertà dalla paura, libertà dal bisogno. Una vera lezione di democrazia del professor Obama che gli studenti hanno ascoltato con attenzione, ma anche con una certa freddezza. A parte quello finale, di rito, solo due brevi applausi: quando Barack ha invocato la riconciliazione nazionale e quando ha invocato più potere per i cittadini. Ma silenzio totale tutte le volte che il presidente Usa ha parlato dell’esempio di Aung San Suu Kyi e ha sollecitato tolleranza, comprensione e pari diritti per tutte le componenti della società birmana, citando in modo particolare il popolo Rohinghya e chiedendo il diritto di cittadinanza per questa comunità musulmana. Tono forse troppo didattico quello di Obama, ma il suo è stato un discorso importante, che ha inquadrato la complessità dell’azione che il governo americano si sta sforzando di mettere in campo per favorire il successo dell’esperimento democratico birmano. Non è solo un problema di volontà politica dei leader e di convenienze economiche: bisogna ricostruire il tessuto sociale e anche la classe dirigente, dopo che per mezzo secolo i militari non solo hanno represso tutti i movimenti politici, ma hanno distrutto i sistemi formativi, prosciugando i canali che devono formare i nuovi professionisti nel timore che diventassero veicoli del dissenso. Ma ricostruire una società è impresa tutt’altro che facile. Se n’è accorto ieri Obama che, dopo i colloqui costruttivi con l’ex dittatore birmano e la calda accoglienza di San Suu Kyi nella sua casa sul lago circondata da prati verdi e aiuole fiorite, ma anche da un altissimo recinto di filo spinato, non è riuscito a scaldare gli studenti: un oceano di ragazzi in camicia bianca, forse poco consapevoli, forse timorosi di un regime che sarà anche diventato riformista, ma mantiene ancora alcuni aspetti autoritari. Il presidente non ha scaldato gli animi nemmeno quando ha portato l’esempio tormentato della democrazia americana: “Un’esperienza che dimostra che odio e razzismo possono essere fatti indietreggiare, che in conflitti tra gruppi etnici e tribù diversi possono essere temperati. Che le diversità possono trasformarsi in un’unità più ricca che fa la forza di un Paese”. Discorso forte, applauso compunto. Obama pensa di aver seminato. Il raccolto, avendo pazienza, arriverà. Fuori dall’università alcuni studenti si dicono convinti dalle parole del leader americano. Non erano in aula, hanno visto il discorso in tv. Anche questo un segno di apertura del regime.

 

Corriere della Sera

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