Il Presidente Monti interviene al Forum della Cooperazione Internazionale “Muovi l’Italia, cambia il mondo”, organizzato dal Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, in collaborazione con la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri. All’evento partecipano cittadini interessati, esperti, attori tradizionali e nuovi della cooperazione allo sviluppo, rappresentanti istituzionali europei e dei paesi del Sud del mondo.
«Vorrei rallegrarmi con il Ministro Riccardi per aver organizzato questo Convegno, occasione importante per ribadire la centralità della cooperazione allo sviluppo nella politica estera italiana ed europea, ancor più dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Con questa iniziativa Milano si candida ad essere una della capitali europee di cooperazione e cassa di risonanza dell’azione dell’Esecutivo su questo tema a livello nazionale ed internazionale, in coerenza con l’appuntamento dell’Expo 2015 che si pone come obiettivo proprio quello di coniugare sostenibilità e sviluppo.
Permettetemi di ringraziare, innanzitutto, il Capo dello Stato per il suo illuminante messaggio. In particolare per il riconoscimento, da me pienamente condiviso, del lavoro e dell’impegno, lontano dai riflettori, di tutti coloro che sono attivi nel settore della cooperazione, spesso con grande sacrificio personale, operando in teatri lontani per mitigare gli effetti delle guerre, della fame, della povertà e dell’intolleranza.
L’Italia è per geografia, storia e vocazione, un braccio che si protende naturalmente nel Mediterraneo con la mano aperta verso il Sud del mondo. Crocevia di culture e popoli, terra di emigrazione e di immigrazione, l’Italia è un Paese tradizionalmente pronto a cogliere le opportunità di scambio ed impegnato in favore dell’evoluzione del sistema internazionale verso maggiore stabilità ed equità, in un mondo oggi più che mai “globalizzato” e come tale caratterizzato da interdipendenza e rapido cambiamento.
Come osservato dal Capo dello Stato nel suo messaggio, che torno a citare, la cooperazione allo sviluppo è “politica estera nel senso più nobile e più elevato della parola”.
Per tale ragione, in maniera assai innovativa per i tempi (eravamo nel 1987), la legge 49 che istituisce la Cooperazione allo Sviluppo Italiana la definisce “parte integrante della politica estera dell’Italia”, riconoscendone un ruolo qualificante per il perseguimento degli obiettivi di politica estera e la tutela degli interessi del Paese. Ruolo svolto, in questo trentennio, in maniera efficace e determinante dal Ministero degli Affari Esteri.
Il quarto di secolo trascorso da allora se, da un lato, determina l’esigenza di un aggiornamento dello strumento, ne ha dall’altro ancor più confermato la centralità quale pilastro di politica estera, tanto più in un contesto internazionale “policentrico” e caratterizzato da nuove e complesse “dinamiche”, dove la disponibilità di un set flessibile di strumenti capace di rispondere alle istanze di diversi attori (Governi, Organizzazioni
Internazionali, società civile) rappresenta un asset imprescindibile della politica estera di uno Stato.
In questo contesto, la presenza nel nostro Governo del Ministro per la Cooperazione Internazionale rappresenta un importante valore aggiunto per il perseguimento delle nostre priorità in materia di cooperazione allo sviluppo.
Fare cooperazione è oggi un imperativo etico di solidarietà, ma è anche – e soprattutto – un investimento strategico in termini di sicurezza nazionale ed internazionale, di gestione dei flussi migratori, di protezione dell’ambiente, di sicurezza energetica, di promozione di opportunità economico-commerciali per le imprese italiane, di autorevole partecipazione del nostro Paese nei principali fora internazionali e nella gestione dei temi globali.
Lo sviluppo dei nostri Paesi partner è infatti un investimento per:
- la Sicurezza: attraverso il sostegno ai processi di rafforzamento istituzionale e sociale delle ex aree di crisi (ad esempio nei Balcani) e dei Paesi che sperimentano crescenti aspettative in termini di giustizia e opportunità (quali quelli della sponda sud del Mediterraneo); nei teatri di crisi (dall’Afghanistan all’Iraq) dove l’azione civile del nostro Paese si accompagna a quella militare; per rispondere alle emergenze umanitarie (da ultimo in Siria); in chiave di prevenzione e risposta a calamità su scala regionale (dal Corno d’Africa al Sahel); ma anche in un’ottica più ampia, con il miglioramento del quadro, economico e sociale dei Paesi in via di sviluppo, garantendo dapprima che i bisogni primari siano soddisfatti (salute, istruzione, alimentazione) e successivamente che le società si sviluppino in maniera sostenibile (con conseguenze anche di mitigazione dei fenomeni migratori).
- la Crescita: con interventi mirati allo crescita economica dei Paesi in Via di Sviluppo, la Cooperazione crea opportunità di scambio e contribuisce all’internazionalizzazione delle imprese italiane, in un’ottica di sano partenariato pubblico / privato. Il “sistema Italia” dimostra la sua competitività nella governance della cooperazione. Le imprese italiane hanno vinto gare della Banca Mondiale per un valore pari al contributo italiano. Dopo la Francia, le commesse assegnate all’Italia sono le maggiori tra i partner europei per il Fondo Europeo di Sviluppo e le ONG italiane sono tra le terze più premiate nei bandi. Il settore della solidarietà e cooperazione internazionale crea occupazione giovanile. Dal 2001 i cooperanti italiani che lavorano all’interno delle quasi 300 ONG (come Rossella Urru) sono cresciuti del 61% (7.100) ed è uno dei pochi settori dove le donne rappresentano il 52% della forza lavoro. Il 53% di essi ha meno di 40 anni.
- la promozione dei Diritti: fare cooperazione è, per l’Italia, un imperativo etico di solidarietà che pone l’uomo e le sue esigenze al centro del dialogo politico. È anche grazie ai programmi e alle iniziative concrete della Cooperazione e della società civile che le più nobili battaglie che portiamo avanti in sede multilaterale (moratoria della pena di morte, messa al bando delle mutilazioni genitali femminili, promozione della libertà religiosa, sostegno alle tematiche di genere e dell’infanzia) trovano adeguato sostegno e valorizzazione.
D’altra parte i movimenti popolari nell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente dimostrano che un progresso in direzione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio è essenziale, ma non sufficiente per il consolidamento di società prospere ed eque: sviluppo e promozione della democrazia, diritti dell’uomo e buon governo sono strettamente correlati tra loro. In tale direzione opera e deve continuare ad operare la Cooperazione Italiana.
In un momento di forte incertezza dell’economia mondiale, in particolare nei Paesi occidentali (con conseguenze anche sui livelli dei finanziamenti destinati alla cooperazione allo sviluppo), di concomitante poderosa crescita economica e demografica delle economie emergenti (spesso portatrici di un paradigma per lo sviluppo diverso da quello delle liberal-democrazie occidentali) e di segnali incoraggianti da alcune aree di tradizionale sottosviluppo, con numerosi Paesi (in America Latina, Asia, ma anche Africa) che stanno avanzando verso livelli di reddito medio, l’Italia è impegnata a livello internazionale a contribuire a tracciare le linee di una “nuova partnership per lo sviluppo”, sulla base dei principi dell’efficacia dell’aiuto ribaditi in occasione del IV Foro di Alto Livello svoltosi a Busan, Corea del Sud, a fine 2011.
Nella consapevolezza che i modelli di crescita sono tanto importanti quanto i tassi di crescita, ritengo che si debba incoraggiare uno sviluppo più inclusivo (tale da ridurre le sacche di povertà all’interno degli stessi Paesi a medio-reddito), incentrato sulla capacità delle popolazioni di partecipare alla creazione di benessere e di posti di lavoro dignitosi e, al tempo, stesso di beneficiarne.
Benché ancora tutta da delineare nelle sue modalità essenziali, alcuni aspetti di tale partnership appaiono evidenti: essa supera la ormai tradizionale dinamica Paesi donatori/Paesi riceventi (si parla infatti oggi di Paesi partner) e anche la stessa centralità dell’aiuto pubblico, chiamato ad assumere sempre più un ruolo “catalitico” di altre fonti di finanziamento per uno sviluppo sostenibile. Ciò anche attraverso: la promozione di fonti innovative di finanziamento, la massimizzazione dell’impatto sullo sviluppo dei fenomeni migratori, la riduzione del costo delle rimesse degli emigrati, lo sviluppo di partenariati pubblico-privato, la promozione di meccanismi di miscelazione di doni e crediti, l’aiuto al commercio e il sostegno all’integrazione dei mercati.
Un partenariato donatori/riceventi che deve poter far affidamento, come più volte emerso in ambito G8, anche su meccanismi trasparenti di “Mutual Accountability”, che permettano verifiche annuali sul flusso di risorse destinate allo sviluppo. A Camp David, nel maggio scorso, abbiamo, in tal senso, auspicato che al prossimo Vertice G8, sotto Presidenza britannica, venga presentato il primo rapporto congiunto G8-Unione Africana.
Vi è, inoltre, sullo sfondo di tale “nuovo partenariato”, il dibattito volto alla riformulazione di una nuova agenda globale dello sviluppo oltre il 2015 (data di riferimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio), che ha subito un’accelerazione a seguito della Conferenza delle Nazioni Unite Rio+20 sullo sviluppo sostenibile, ma la cui “ossatura” deve ancora essere delineata.
In ambito ONU, d’altronde, l’impegno dell’Italia in favore del processo di riforma è noto. Sono convinto che un crescente ruolo nel settore dello sviluppo potrebbe essere svolto dalle Nazioni Unite. E’, infatti, proprio il proliferare degli attori internazionali di cooperazione a chiamare in causa un rafforzato ruolo del sistema onusiano per il coordinamento e la coerenza degli interventi e delle policies.
Tutto ciò senza dimenticare le grandi campagne delle Nazioni Unite che il nostro Paese ha profondamente ispirato, prima fra tutte quella per la costituzione del Fondo Globale per la lotta all’AIDS, la Tubercolosi e la Malaria, cui l’Italia intende continuare a contribuire e dalla quale, certamente, non si ritirerà.
Anche sul piano europeo, il Trattato di Lisbona ha inserito la politica di cooperazione allo sviluppo nell’azione esterna
dell’Unione Europea, cui deve essere assicurata coerenza complessiva anche a salvaguardia dei valori, degli interessi fondamentali, della sicurezza, dell’indipendenza e dell’integrità dell’Unione.
Anche in questo ambito è determinante il contributo dell’Italia, in particolare alla definizione delle linee-guida per il futuro della politica di sviluppo dell’UE, sintetizzate nel documento della Commissione Europea emblematicamente denominato “Un programma di cambiamento”. Il nostro Paese è attivamente impegnato a darvi attuazione attraverso un efficace coordinamento delle politiche di cooperazione UE, volto a massimizzarne l’impatto nei Paesi partner.
In tale contesto, l’accesso da parte dell’Italia alla c.d. “cooperazione delegata” (ovvero alla possibilità di gestire fondi UE per iniziative di cooperazione) appare un risultato cui guardare con favore, quale riconoscimento da parte europea della qualità e dell’esperienza della Cooperazione Italiana, e dischiude promettenti opportunità per il tutto il Sistema Paese di inserirsi nelle nuove dinamiche di assistenza allo sviluppo che si vanno definendo a livello internazionale.
Alla luce di quanto precede appare evidente come l’unitarietà di concezione della politica di cooperazione allo sviluppo a livello nazionale sia funzionale al rafforzamento dell’azione dell’Italia sul piano internazionale e della stessa coerenza dell’azione esterna dell’UE.
La centralità della cooperazione allo sviluppo dovrà, non appena le condizioni di bilancio lo renderanno possibile, essere rafforzata anche sul piano delle risorse.
Si tratta, in conclusione, di continuare a sviluppare e dare sostanza all’impegno dell’Italia per un sistema internazionale caratterizzato da una comunanza di interessi, ma soprattutto di valori. Grazie.»
Mario Monti, Presidente del consiglio dei Ministri