La norma proposta consente anche di delimitare l’influenza della situazione processuale sull’esercizio del mandato parlamentare o dell’eventuale incarico istituzionale di governo garantendo il pieno rispetto del voto popolare e differendo ad un tempo successivo, ma certo, le esigenze di giustizia.
A riguardo, infatti, non possono essere condivise quelle soluzioni tese alla sospensione sine die del processo penale. Si avrebbe in tale ipotesi un’assoluta prevalenza del voto politico sulle esigenze di giustizia, determinando in pratica una sostanziale immunità, anche vitalizia, alterando il gioco e l’equilibrio dei valori costituzionali e dequalificando l’autorevolezza ed il prestigio stesso del Parlamento che verrebbe percepito come una sorta di rifugio degli impuniti.
Una tale immunità assoluta, che porrebbe i parlamentari più volte eletti addirittura al di sopra o al di fuori della legge, non esiste peraltro in alcun ordinamento democratico straniero.
La soluzione avanzata nella presente proposta di legge costituzionale tende invece a un corretto equilibrio tra le diverse esigenze, lasciando peraltro al parlamentare, secondo un approccio liberale, la facoltà di scelta circa il regime di garanzie applicabile, ossia se affrontare il processo nel corso della legislatura o differirne lo svolgimento alla successiva, chiarendo la propria posizione.
Questa proposta può offrire una soluzione ragionevole, equilibrata, responsabile, coerente con i princìpi costituzionali e con i ripetuti appelli del Capo dello Stato a evitare lo scontro tra politica e giustizia che determina grave danno al Paese.
2.9. Modifiche agli articoli 87 e 104 della Costituzione, in materia di nomina di un terzo dei componenti del Consiglio superiore della magistratura da parte del Presidente della Repubblica.
Fin dalla sua configurazione con la legge 24 marzo 1958, n. 195, cui hanno fatto seguito numerose modifiche, il Consiglio superiore della magistratura (CSM) è l’organo di autogoverno della magistratura la cui disciplina, com’è noto, trova origine, innanzitutto, nell’articolo 104 della Costituzione.
Dal complesso delle disposizioni costituzionali, dalla dottrina prevalente e dalla stessa giurisprudenza costituzionale emerge che la principale funzione del CSM è quella di garantire l’indipendenza della magistratura attraverso atti che hanno diversa natura giuridica ma che in larga parte sono ricorribili davanti alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Gli interventi legislativi più recenti hanno riguardato la modifica delle regole elettorali e, fatto rilevante, la tipizzazione degli illeciti disciplinari, essenziale punto di riferimento per l’esercizio del potere disciplinare.
Il CSM ha svolto storicamente un ruolo di assoluto rilievo nell’esercizio dei compiti ordinamentali a esso affidati.
Negli anni recenti si è tuttavia sviluppato in Italia, a seguito della stagione delle inchieste giudiziarie su «Tangentopoli», un diffuso conflitto tra politica e magistratura, che ha assunto connotati diversi, ma che ha prodotto un’indiscutibile e preoccupante lacerazione delle relazioni istituzionali.
Si sono registrate ingerenze oggettive su processi in corso e, d’altro canto, non sono mancate iniziative giudiziarie, non sempre fondate, che hanno prodotto mutamenti politici rilevanti nei confronti degli organi politici elettivi.
Gli esempi sono ormai numerosi e significativi in un senso e nell’altro.
Nell’ordinamento democratico, fondato sulla Costituzione, il principio di legalità deve ispirare ogni azione e ciò deve valere in primo luogo per chi amministra la cosa pubblica.
L’abolizione dell’istituto dell’autorizzazione a procedere nel 1993 (attuata con la modifica dell’articolo 68 della Costituzione da parte della legge costituzionale n. 3 del 1993) ha consentito una più ampia libertà di indagine nei confronti dei parlamentari.
Parallelamente si è diffusa la prassi della pubblicazione anticipata, sui giornali e sulle televisioni, dei contenuti delle intercettazioni, anche prima del vaglio della rilevanza penale di esse da parte del giudice, attraverso fughe di notizie che restano sempre impunite.
Le cronache segnalano, inoltre, casi frequenti di errori giudiziari o di malfunzionamento della giustizia a causa di condotte soggettive che si aggiungono ad aggravare i problemi storici del «servizio giustizia» in Italia.
Per entrambi tali profili si è ormai diffusa la convinzione nel Paese che la complessità dei temi della gestione della giustizia e l’accresciuto potere di incidenza della magistratura nell’arena politica debbano comportare una maggiore integrazione istituzionale della magistratura attraverso una modifica della composizione dell’organo di autogoverno che è il CSM.
Restano immutate le prerogative e le funzioni del CSM a garanzia dell’indipendenza della magistratura. Ma al fine di accrescere l’autorevolezza e di ridurre gli effetti perversi del «correntismo» nella stessa magistratura, da più parti riconosciuti, è utile proporre una diversa composizione del Consiglio riducendo da due terzi a un terzo la quota dei componenti direttamente eletti dalla magistratura e attribuendo al Capo dello Stato, che del CSM è il Presidente ai sensi della Costituzione, il potere di nominare un terzo dei componenti tra coloro che hanno esercitato altissime cariche nelle istituzioni e nella magistratura e che godono di una posizione di indipendenza.
Si propone pertanto che il Presidente della Repubblica nomini tali componenti tra coloro che hanno già esercitato la carica di Presidente delle Camere, di Presidente della Corte costituzionale, di Presidente o di Procuratore generale della Corte di cassazione, di Presidente del Consiglio di Stato o di Presidente della Corte dei conti.
La soluzione proposta appare coerente con i compiti che la Costituzione affida al CSM e tale da rafforzarne il prestigio nell’ordinamento democratico.