L’ombra del declino USA sulla sfida Obama-Romney

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La corsa per la Casa Bianca è entrata nel vivo nelle ultime due settimane con le conventions repubblicana e democratica, che hanno evidenziato una contrapposizione tra due Americhe molto diverse e tra due visioni differenti della politica interna e, probabilmente, anche di quella mondiale.

In questa fase di crisi, l’America andrà alle urne per eleggere un presidente a cui si attribuiscono, oggi più che mai, poteri decisivi per il futuro della nazione.

Domani il presidente eletto, chiunque sia, sarà prigioniero di una realtà finanziaria difficilmente modificabile e di un Congresso paralizzato dalle proprie contrapposizioni.

Nonostante l’ex presidente Clinton abbia dichiarato che Obama nei suoi quattro anni di mandato ha evitato che gli USA imboccassero la via del declino, questa stessa incertezza peserà sul ruolo internazionale degli Stati Uniti dopo le elezioni. Obama in realtà non può vantare molti successi. I suoi buoni propositi sulle relazioni con l’Iran e sulla questione palestinese sono rimasti nel cassetto, contraddetti dagli avvenimenti o addirittura, come negli scorsi mesi, scavalcati dalle rivolte arabe.

I secondi mandati permettono talvolta una politica estera più incisiva e meno vincolata alle costrizioni imposte dall’opinione pubblica. Anche su Romney pesano molte incognite, prima fra tutte la formulazione di idee e strategie che non costituiscano la semplice riproposizione delle tradizionali ricette conservatrici in politica estera. Molti nodi delle relazioni internazionali di difficile soluzione, come la crisi con l’Iran appunto, ma anche i rapporti con la Russia, con la Cina e con Cuba, per esempio, rimarranno nelle priorità dell’agenda presidenziale.

USA 2012 – Background
A due mesi dalle elezioni presidenziali del 6 novembre, la campagna elettorale negli Stati Uniti sembra finalmente entrare nel vivo della competizione anche per quanto riguarda il dibattito sulla politica estera. Infatti, nonostante i successi rappresentati dalla cattura e dall’uccisione di Bin Laden, dal ritiro dall’Iraq e da quello iniziato in Afghanistan (terminerà nel 2014), molte sfide e numerosi dubbi si addensano nelle strategie future della Casa Bianca, a cominciare dai rapporti con Russia e Cina, fino a giungere ai temi caldi quale il nucleare iraniano, la lotta al terrorismo internazionale in Pakistan e Yemen, le Primavere Arabe, l’accresciuta centralità della regione dell’Asia-Pacifico ed, infine, l’African strategy.

Risorse limitate
La politica estera statunitense in questi anni è stata incentrata su due fattori: riduzione del coinvolgimento militare diretto (dettato anche dalla necessaria razionalizzazione delle risorse del comparto difesa) e sganciamento dal fronte mediorientale a favore della regione dell’Asia-Pacifico, in un’ottica di contenimento della Cina. A tal proposito, è in atto uno sforzo statunitense basato tanto sul soft power, come nel caso del rinsaldamento delle relazioni con i principali partner regionali (Australia, Filippine, Corea del Sud), tanto su un incremento della presenza militare nell’area.

Tra disimpegno e contenimento
Il progressivo disimpegno statunitense dal Medio Oriente ha lasciato in eredità il raffreddamento dei rapporti con Israele (arroccato su posizioni anti-iraniane) a causa del contenzioso sul programma nucleare perseguito da Teheran. In riferimento a quest’ultimo, dopo una prima apertura rimasta inascoltata dal regime degli Ayatollah, Washington ha attuato una propria politica di sanzioni nel tentativo di frenare lo sviluppo di centrali nucleari iraniane. Fino ad ora l’atteggiamento di Washington nei confronti di Teheran è parso poco convincente a causa del ruolo che gioca Pechino, primo partner commerciale della Repubblica islamica e restio a votare a favore di ulteriori sanzioni in sede ONU. Il contenimento del programma nucleare iraniano rientra nella politica di riduzione dell’arsenale nucleare condotta da Obama, esplicitatasi nella finalizzazione dell’accordo New START con la Russia (12-13 aprile 2010) e, soprattutto, nell’accordo bilaterale con la Corea del Nord (29 febbraio 2012), che prevedeva una sospensione del programma nucleare di Pyongyang in cambio di sostanziosi aiuti militari da parte statunitense. Ancora una volta nel calcolo strategico degli Stati Uniti entra in gioco il ruolo assunto dalla Cina, protettrice storica della Corea del Nord.

La Primavera araba
Infine, per quanto riguarda i moti della cosiddetta “Primavera Araba”, l’Amministrazione Obama ha preferito adottare un atteggiamento prudente, evitando un impegno diretto per eludere eventuali ripercussioni politiche nei singoli Paesi interessati. I casi di Egitto e, soprattutto, Siria sono emblematici per i rischi geopolitici che presentano. Per restare nel teatro mediorientale, il più grande successo del primo mandato di Obama è stato l’eliminazione del nemico principale degli Stati Uniti, Osama Bin Laden, il 2 maggio 2011, lodato e riconosciuto dallo stesso Partito Repubblicano.

Le critiche di Romney all’amministrazione Obama
Fino a poche settimane fa le criticare di Romney a Obama in un campo come la politica estera in cui l’attuale Presidente era percepito come ancora forte sono state limitate. Ad ogni modo, nelle ultime settimane, il livello della competizione si è alzato notevolmente e Romney, anche durante la recente Convention repubblicana a Tampa, ha messo in discussione l’operato dell’ultima Amministrazione. L’accusa principale che i Repubblicani hanno rivolto al Presidente è quella di non aver saputo dare una connotazione davvero incisiva e una giusta dignità alla politica estera. Giudicata debole e a tratti incoerente, la linea tenuta da Obama avrebbe messo in serio pericolo lo status internazionale del Paese. In particolare, l’attuale Presidente avrebbe tenuto un atteggiamento troppo accondiscendente nei confronti di Russia e Cina (definito appunto come il nemico geopolitico principale degli USA). Inoltre, avrebbe sottovalutato le minacce al sistema internazionale provenienti da Iran e Corea del Nord. Con riferimento proprio al nucleare iraniano, Romney, che ha attaccato duramente l’atteggiamento prudente di Obama, si è impegnato a fornire un appoggio totale ad Israele, contemplando anche un’opzione militare nel caso in cui le minacce iraniane non rientrassero. Fortemente criticata anche la gestione delle crisi scoppiate in Medio Oriente in seguito ai moti della cosiddetta Primavera Araba e la conduzione della guerra in Afghanistan, ritenendo il graduale disimpegno dal Paese entro il 2014 un rischio per la sicurezza delle tratte energetiche (basti pensare alla pipeline TAPI), nonché uno sforzo inutile per i risultati fin qui ottenuti.

USA 2012 – Scenario
Nonostante le critiche di Romney ad Obama, il Presidente uscente sembrerebbe essere ancora il favorito nella corsa alla rielezione poiché, come da tradizione elettorale, la vittoria di un candidato democratico o repubblicano sarà probabilmente decisa molto più dalle scelte di politica economica interna e dalle questioni legate a crescita e disoccupazione che alla gestione della politica estera. Tuttavia la vittoria del candidato repubblicano potrebbe comportare alcuni importanti correzioni di linea nella politica statunitense, nonostante alcune esigenze e vincoli dello scenario internazionale e possano rimanere costanti.
Qui di seguito si individuano alcuni linee di politica estera che potrebbero caratterizzare le due presidenze.

Scenario A – la riconferma di Obama
La politica estera della prima amministrazione Obama è stata improntata al pragmatismo più che all’idealismo. Nel suo complesso, tentativi di apertura a parte (Il dicorso de Il Cairo, la mano tesa a Teheran), è stata piva di grandi slanci diplomatici. Tre le caratteristiche più evidenti: Obama ha puntato sul rinnovamento dell’immagine statunitense nel mondo, ha ri.orientato gli interessi strategici degli USA dall’Europa e l’Atlantico verso l’Asia e il Pacifico; ha tenuto una linea defilata tendente al disimpegno militare in Medio Oriente, limitandosi al “leadinh from behind”, con una prudente valutazione di risorse e impegni.

Una riconferma di Obama potrebbe consentire al Presidente uscente di avere mano libera in alcuni settori, e generalmente, di rischiare di più per ottenere di più. In merito al tema della lotta al terrorismo internazionale, sebbene l’avvio del ritiro dall’Afghanistan nasconda diverse incertezze circa la futura tenuta del governo Karzai e le possibili ripercussioni sul Pakistan, l’esperienza nel Paese potrebbe tornare utile per costituire una sorta di forza internazionale anti-terrorismo per combattere al-Qaeda e da esportare, eventualmente, in altre terre come la Somalia, un’iniziativa proposta già da alcuni consiglieri di Obama come Ben Rhodes. Una base di partenza potrebbe essere la strategia di counter-insurgency attuata nell’Af-Pak attraverso droni militari minimizzando le perdite di soldati USA e massimizzando le uccisioni dei nemici. Casi emblematici sono le uccisioni del leader di Al-Qaeda in Arabian Peninsula (AQAP), Anwar al-Awlaki e di Abu Yahya al-Libi, il numero di al-Zawahiri. L’amministrazione Obama ha fatto un uso costante e massiccio di quest’arma e potrebbe riproporla in altri scenari.

Per quel che riguarda il tema del programma nucleare iraniano, Obama potrebbe tornare alla carica offrendo una nuova opportunità di distensione a Teheran in cambio di un allentamento delle sanzioni economiche ed energetiche, le quali iniziano a produrre effetti sull’economia della Repubblica Islamica. Washington potrebbe intensificare le proprie pressioni su Teheran attraverso un uso combinato di cyberwarfare, nel tentativo di rallentare il più possibile il programma iraniano, e ulteriori sanzioni economico-commerciali al fine di contenere le spinte belligeranti di Israele ed Arabia Saudita.

Il dialogo con la Russia e con la Cina potrebbe farsi più intenso. Obama si è già dichiarato pronto a rinegoziare con il Cremlino il dispiegamento dello scudo missilistico, e potrebbe fornirgli interessanti sicurezze politiche e strategiche per assecondare i desiderata russi, da una parte, ma non venendo meno ai progetti che già hanno preso piede alla NATO, dall’altra. Con Pechino, una seconda amministrazione Obama difficilmente metterà l’accento su questioni fin qui considerate secondarie, come i diritti umani o lo status di Taiwan e del Tibet; potrebbe preferire un ulteriore consolidamento dei rapporti, in particolare economici. Sul piano militare, proseguirebbe sottotraccia l’accerchiamento militare, che però potrebbe essere compensato, come nel caso della Russia, con altre concessioni politiche. Obama potrebbe generalmente dedicare ancora più attenzione all’Asia e proporre iniziative più concrete per l’Africa, anche nel tentativo di arginare la crescente forza cinese nell’Africa.

Scenario B – la vittoria di Romney
Una vittoria di Romney avrebbe come primo effetto quello di allentare la strategia multilaterale di Obama e dirigersi, piuttosto, verso un approccio più incline alla recente tradizione repubblicana. Romney molto probabilmente impronterà la sua politica estera sul rilancio del ruolo degli Stati Uniti come potenza stabilizzatrice o quanto meno impegnata a difendere i valori e gli interessi dell’Occidente, un accento piuttosto sfumato nella politica dell’amministrazione Obama. Se appare comunque difficile un ritorno all’unilateralismo della precedenza esperienza repubblicana, nel caso gli interessi strategici di Washington venissero intaccati, le risposte di un’eventuale amministrazione repubblicana potrebbero essere anche molto diverse da questo punto di vista, puntando al recupero di un legame forte con i partner europei.

Priorità nelle retorica del neo Presidente diventerebbero Russia e Cina, identificate come minacce geopolitiche a causa della linea troppo morbida tenuta da Obama negli anni precedenti. Per isolare Mosca e Pechino, Romney si è detto pronto ad inaugurare una nuova area di libero scambio, la Reagan Economic Zone, che fungerebbe da magnete per le “vere” economie di mercato; potrebbe perseguire questa linea, ma dovrebbe fare i conti con l’esistenza della World Trade Organization e con altre istituzioni già consolidate che difficilmente verrebbero abbandonate dai Paesi membri già aderenti. Potenzialmente, se l’azione non fosse adeguatamente accompagnata da iniziative diplomatiche distensive con Pechino, ciò potrebbe condurre a contrasti anche forti con la Cina. Anche con la Russia i rapporti potrebbero diventare più difficili. Non a caso uno dei pochi viaggi all’estero di Romney è stato compiuto in Polonia, uno degli alleati USA che più ha risentito delle oscillazioni dell’amministrazione Obama sulle questioni di sicurezza dell’Europa dell’est che si sente potenzialmente minacciata dalla Russia.

L’approccio di Romney alla questione del nucleare iraniano è senz’altro più duro e più risoluto di quello di Obama, almeno nelle dichiarazioni fatte sin qui. Il candidato repubblicano crede in un’opzione militare, in sanzioni più dure e nel sostegno al cosiddetto “movimento verde” di opposizione al regime degli Ayatollah. Romney ha promesso inoltre di completare un sistema di difesa antimissile, in modo da mettere al riparo gli Stati Uniti e i suoi alleati da eventuali ritorsioni iraniane nel caso in cui non desistesse dai suoi propositi nucleari. Come l’Iran, anche la Corea del Nord potrebbe tornare al centro dell’attenzione. In controtendenza alla razionalizzazione delle risorse del settore difesa promosso da Obama, Romney promette di dedicare alle Forze Armate e alla Sicurezza nazionale statunitense il 4% del suo Pil, incrementando in particolare le disponibilità del settore navale.

 

 

ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

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