3. Dalle leggi ad personam al lodo Alfano
Mentre queste pagine erano in corso di stampa è stata approvata dal Senato della Repubblica, nella seduta del 18 giugno 2008, la norma che sospende per un anno tutti i processi per reati commessi prima del giugno 2002 e puniti con la reclusione non superiore a dieci anni.
Una norma, come annunciato formalmente con lettera del Presidente del Consiglio al Presidente del Senato, che è fatta nell’intento di riproporre per legge una garanzia di immunità per le “alte cariche dello Stato” e dunque una norma che riguarda, per esplicita ammissione, lo stesso Presidente del Consiglio che si giova della sospensione del processo in cui è imputato per corruzione in atti giudiziari.
In sostanza, dopo la velenosa stagione delle leggi ad personam dei primi anni della XIV legislatura3, una nuova misura pro domo propria, incostituzionale nel contenuto, poiché si possono indicare i criteri generali di priorità ma non certo sospendere per legge il corso dei processi, in specie quelli propri.
Una pagina di conflitti che non avremmo voluto vedere riaperta perché l’Italia ha bisogno di crescere nel confronto civile e nella collaborazione.
Ma è impossibile non darne conto in premessa di queste pagine poiché, qualunque sia l’esito, allo stato attuale imprevedibile, un’iniziativa di questa natura contrasta palesemente con ogni percorso di ricerca di una più solida etica pubblica. È l’essenza stessa di un modo di operare della “casta” quello dell’abuso del potere in proprio favore.
Lo scudo agitato dal Premier, per difendersi dai giudici, non piace molto a nessuno, neanche agli alleati politici. Ma, potremmo dire, si tratta di una provocazione, seppur grave, che forse non è destinata ad avere futuro. L’ordinamento repubblicano ha le sue difese, i suoi anticorpi. Il cosiddetto lodo Schifani fu infatti bocciato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza numero 24 del 2004, per tre ragioni.
La prima, può apparire curioso, è che l’automatismo della sospensione del processo, stabilito per legge, lede il diritto degli imputati che non possono esercitare il diritto di difesa soggiacendo ad accuse talvolta pesanti e infamanti.
La sospensione automatica, in sostanza, offende la reputazione della “alta carica dello Stato” che è costretta ad esercitare un così importante ruolo istituzionale sotto la spada di Damocle di un processo pendente. Più che sospendere, sembrerebbe suggerire la Corte, sarebbe meglio accelerare i processi per le “alte cariche dello Stato”. Già perché, ed è questa la seconda ragione di incostituzionalità individuata dalla Consulta, la sospensione non può essere sine die con il rischio della “reiterabilità degli incarichi e comunque della possibilità di investitura in altro”. Non si può mantenere la sospensione del processo se, ad esempio, finito il mandato di presidente del consiglio si sale al Quirinale per fare il Capo dello Stato. È stato sentenziato che “questa Corte aveva già ritenuto che una stasi del processo per un tempo indefinito e indeterminabile vulnerasse il diritto di azione e di difesa (sentenza numero 354 del 1996) e che la possibilità di reiterate sospensioni ledesse il bene costituzionale dell’efficienza del processo (sentenza n. 353 del 1996)”. Ma poiché una tale circostanza non può essere esclusa si deve dedurre che, se si usufruisce della sospensione del processo, non si può accedere ad un’altra “alta carica” ossia subentra una condizione speciale di ineleggibilità. Conviene tutto questo all’attuale presidente del consiglio?
Il terzo motivo di incostituzionalità del “lodo Schifani” è quello della irragionevolezza perché la sospensione ivi prevista non si estendeva ai componenti degli organi presieduti dalle “alte cariche” (ad esempio, membri del governo e parlamentari) e ai giudici della Corte Costituzionale, che hanno le stesse prerogative.
Sono questi i nodi che occorre sciogliere se si vuole riproporre una speciale garanzia a protezione della funzione esercitata da una “alta carica dello Stato”. La sospensione dei processi fatta per emendamento e con legge ordinaria dunque non basta. Se il Premier vuole riproporre l’immunità per sé e per le “alte cariche dello Stato” deve farlo con una riforma costituzionale e in modo dichiarato, senza inutili sotterfugi.
La sequenza sospensione di tutti i processi, fase uno, in attesa dello scudo immunitario, fase due, è a sua volta incostituzionale per lesione del principio di obbligatorietà dell’azione penale ed è offensiva del Capo dello Stato perché la sospensione è stata inserita nel decreto legge a sua insaputa.
È, in sostanza, del tutto inefficace e forse dunque il Premier farebbe bene a passare direttamente alla fase due cioè alla proposta di immunità annunciata nella lettera indirizzata al presidente del Senato Schifani. Deve però mettere nel conto che una tale garanzia, oggi, gli precluderebbe un domani il Quirinale (o altra alta carica) e che la riforma costituzionale, certamente lunga, sarebbe sicuramente bocciata dal referendum popolare confermativo.
Questa prospettazione potrebbe essere smentita dai fatti, che sono in corso d’opera.
Anche la tesi affacciata, quella della impraticabilità costituzionale e/o politica della soluzione immunitaria per le “alte cariche”, potrebbe rivelarsi, alla luce dei fatti in via di svolgimento, fallace o illusoria. Essa si fonda, tuttavia, sulla fiducia nel diritto costituzionale e nella democrazia, e sulla convinzione che si debbano ridurre i conflitti istituzionali e ricercare sempre terreni costruttivi per il confronto politico.
L’esercizio del potere pubblico e della legislazione nell’interesse proprio è, peggio, per sottrarre se stessi dai processi in corso è il caso più preoccupante di conflitto con i principi di un’etica pubblica democratica.