Estratto dal libro «BUONE REGOLE PER LA “CASTA” Lodi, garanzie parlamentari, insindacabilità, conflitti di interesse ed altre storie», di Pierluigi Mantini, SCENARI INTRODUTTIVI
Il diritto dei parlamentari, nel senso qui considerato, non coincide con il diritto parlamentare.
Il secondo è ormai oggetto di una letteratura sufficientemente consolidata che ha assunto dignità scientifica e di insegnamento universitario nell’ambito delle partizioni del diritto pubblico e costituzionale.
Secondo una delle definizioni migliori il diritto parlamentare è lo studio dei regolamenti e delle altre fonti di diritto parlamentare alla luce del contesto storico politico1.
L’oggetto delle pagine che seguono è invece ben diverso ed è costituito dalla rilettura, in chiave assolutamente soggettiva, di quel filo di questioni che delinea lo spazio in cui i parlamentari, e latu senso la politica, sono chiamati a darsi regole su se stessi, ad attuarle, ad interpretarle, configurando il proprio status.
Garanzie parlamentari, insindacabilità, incandidabilità, conflitti tra poteri e conflitti di interesse, finanziamento della politica, disciplina dei partiti, sono una parte, non irrilevante, di quella che più comunemente si definisce anche come etica pubblica, intesa come complesso di principi e valori sovraordinato alla stessa attività dei legislatori e alle loro condotte.
Questa riflessione si svolge in una fase di forte critica e delusione nei confronti della politica e delle stesse istituzioni parlamentari.
La parola classica autodichìa definisce la capacità delle Camere di amministrare in autonomia la giustizia interna e lo status dei parlamentari.
La parola “casta” è invece il titolo di un best-seller, un enorme successo editoriale nell’Italia del 2007, con cui si descrivono i parlamentari come una “oligarchia di insaziabili bramini”.
Che distanza c’è tra queste due parole?
Fino a che punto la prima può definirsi ormai lingua morta e la seconda, nella sua carica distruttrice, rivelatrice del futuro?
Ci sono questioni serie, di qualche complessità e delicatezza culturale e istituzionale, da reinterpretare, aggiornare, modificare o c’è solo un modo antico, antiquato, fatto di “caste” appunto, di cui liberarsi definitivamente?
E se la risposta a quest’ultimo interrogativo fosse affermativa, come condurre questa rivoluzione?
Come “rovesciare” il diritto dei parlamentari, “le regole della casta”, per costituire un nuovo ordine, le “regole per la casta”?
Ho già anticipato che si è scelto un profilo soggettivo per dire di questioni che hanno una loro oggettività.
Devo chiarire che ciò vale in un duplice senso.
Non solo perchè sono i soggetti, parlamentari e politici, ad essere messi direttamente in discussione e perchè il precetto classico della morale (“non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”), in tutte le sue declinazioni, comprese quelle del Principe di Machiavelli, interpella la persona, nella sua soggettiva individualità.
Ma anche perchè chi scrive, pur sentendosi in primo luogo un cittadino e un giurista, è attualmente un parlamentare, membro della “casta” e direttamente chiamato ad esercitare l’autodichìa.
Dunque tutto è molto soggettivo e quelle che seguono sono, più che un saggio, le pagine di un racconto2, emotivamente vissuto.
Anche le conclusioni, è logico, sono precarie.
Sono accaduti molti fatti nell’ultimo anno, dalla “Casta” siamo passati alla “Deriva” (per mano degli stessi autori), ad una vasta letteratura di genere, al “grillismo”, ai tentativi di transitare dall’ “antipolitica” alla “buona politica”…
C’è stato il voto del 14 aprile 2008, il nuovo governo, c’è un clima di cambiamento che può avere esiti diversi.
Dice un proverbio scandinavo che “quando soffia forte il vento del cambiamento alcuni cercano un riparo, altri provano a utilizzarlo per far girare i mulini”.
Certo, è meglio far girare i mulini della democrazia.