È la fine del federalismo. Di certo, è la fine del federalismo così come l’ Italia lo ha conosciuto fino a oggi. «Stiamo pensando a un intervento chirurgico sul titolo quinto della Costituzione per aggiustare alcune cose», aveva annunciato il ministro Filippo Patroni Griffi alla commissione Affari Costituzionali, alla Camera. Versione poi confermata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà.
A giudicare dalla relazione che accompagna il disegno di legge di modifica costituzionale di cui Repubblica è venuta in possesso, però, più che di un intervento chirurgico, si tratta di una rivoluzione.
I tempi sono strettissimi: per cambiare la Carta serve un doppio passaggio in Parlamento, tra Camera e Senato. E serve la maggioranza qualificata dei due terzi, altrimenti scatta il referendum confermativo. Il governo deve fare in fretta perché da questo dipende larga parte delle misure che ha in mente, o che ha già avviato. Ad esempio, i tagli alle regioni a Statuto speciale, che valgono il 35 per cento dei risparmi totali previsti dal provvedimento sui costi della politica, e che potrebbero essere impugnati da un momento all’ altro davanti alla Consulta sulla base di una sentenza del 2011.
LA RELAZIONE «A undici anni dalla riforma del Titolo V – si legge nella relazione – il Governo promuove un intervento migliorativo in relazione alle maggiori criticità emerse nel corso di questi anni». E poi: «Dato il breve spazio di legislatura ancora a disposizione, l’ obiettivo è quello di apportare modifiche quantitativamente limitate, ma significative dal punto di vista della regolazione dei rapporti fra lo Stato e le regioni». Sono consapevoli del poco tempo a disposizione, i ministri. Per questo vorrebbero approvare la riforma già oggi. Unico dubbio: devono prima informare il Quirinale. Sarebbe impensabile un intervento sulla Carta senza un consulto con la Presidenza della Repubblica.
CLAUSOLA DI SUPREMAZIA Dal 2001, da quando è in vigore, la riforma del titolo quinto ha aumentato a dismisura il livello di conflittualità presso la Corte costituzionale.
Per ovviare a un uso che allunga drasticamente i tempi dell’ efficacia legislativa, quando non costringe a ricominciare tutto daccapo, il ddl prevede un «intervento riformatore» che «si incentra sul principio dell’ unità giuridica ed economica della Repubblica come valore fondamentale dell’ ordinamento, prevedendo che la sua garanzia, assieme a quella dei diritti costituzionali, costituisce compito primario della legge dello Stato, anche a prescindere dal riparto delle materie fra legge statale e legge regionale». E quindi, spiega chi ci ha lavorato, «sulle materie concorrenti, se c’ è un’ esigenza di unità nazionale, economica, o di tutela di diritti fondamentali, è la legge dello Statoa prevalere».
Del resto, già una proposta della fondazione Astrid, qualche mese fa, metteva in luce il problema: «Serve per l’ articolo 117 una clausola di supremazia presente in tutti gli ordinamenti costituzionali federali, per esempio prevedendo che in ogni caso “il legislatore statale, nel rispetto dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, può adottare i provvedimenti necessari a garantire i diritti costituzionali e la tutela dell’ unità giuridica o economica della Repubblica”». Formulazione, spiegavano gli estensori, che riecheggia quella contenuta nella Grundgesetz tedesca.
SCUOLA E COMMERCIO ALLO STATO E se sulle materie concorrenti le cose già cambiano radicalmente, su quelle ripartite ci sono altre novità: «Si inseriscono nel campo della legislazione esclusiva dello Stato alcune materie che mal si adattano alla legislazione concorrente, come il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la disciplina dell’ istruzione, il commercio con l’ estero, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’ energia». In altre parole, addio al sogno federalista di scuole regionali, o di enti locali che possono bloccare, ad esempio, rigassificatori strategici. Addio a una visione del turismo e del commercio frammentata. Torna allo Stato anche la «disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche o la disciplina generale degli enti locali».
COSTI DELLA POLITICA Per blindare la recente legge sui costi della politica, e preservarla dai ricorsi, il ddl prevede anche «il riconoscimento a livello della Costituzione della competenza della Corte dei Conti a svolgere controlli sugli atti e sui bilanci delle regioni, nonché l’ individuazione dell’ equilibrio di bilancio e del contributo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica quali principi validi anche nel confronti dell’ autonomia delle regioni a statuto speciale». Addio spese pazze, municipalizzate mangiasoldi fuori controllo, costi moltiplicati di regione in regione.
Di una manutenzione del Titolo quinto si parlava da anni. «Se davvero il governo Monti ci riuscirà, non avrà ucciso il federalismo – spiega il costituzionalista e deputato pd Salvatore Vassallo – ma eliminato le storture di una legge nata frettolosamente, alla fine della legislatura 1996-2001, sulla base di un testo approssimativo approvato da maggioranza e opposizione nella bicamerale D’ Alema. L’ Ulivo candidava Rutelli, si voleva dare un segnale di apertura davanti ai sentimenti autonomisti del Nord, ma non si era bilanciato il tutto a livello parlamentare».
Ora, forse, le cose cambieranno.
Annalisa Cuzzocrea, La Repubblica