Alla Camera dei deputati si è svolta l’informativa urgente del Governo sull’attuale scenario internazionale, con particolare riferimento alla situazione in Iran, Iraq e Libia.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è intervenuto sulla crisi libica, ribadendo quanto affermato in mattinata al Senato e sottolineando l’importanza del «contrasto al terrorismo, la gestione dei flussi migratori e la tutela dei nostri soldati impegnati in missioni bilaterali e internazionali Di formazione e stabilizzazione». Di seguito la versione integrale dell’intervento del Ministro Di Maio.
LUIGI DI MAIO, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Presidente, deputate e deputati, il Mediterraneo allargato sta vivendo una fase particolarmente turbolenta. Le crisi oggi più drammatiche su cui si appunta l’attenzione internazionale sono soprattutto in Libia, Iran e Iraq, ma continuano a preoccuparci anche i conflitti in Siria e Yemen. Nel mentre, in vari Paesi, a cominciare dal Libano, manifestazioni di piazza testimoniano la necessità di dare risposte concrete alle legittime aspirazioni politiche, economiche e sociali di ampi strati della popolazione.
L’instabilità diffusa soprattutto in questa regione tocca da vicino gli interessi nazionali italiani, in primis l’interesse per la nostra sicurezza prima di tutto per scenari che a volte si collocano a poche centinaia di chilometri da noi; contrasto al terrorismo, gestione dei flussi migratori, tutela dei nostri soldati impegnati in missioni bilaterali o internazionali di formazione, stabilizzazione e pace. A loro, donne e uomini in uniforme, rinnoviamo la nostra profonda gratitudine. Sicurezza, dicevo, ma anche interessi economici legati alle forniture energetiche e alla penetrazione delle nostre imprese. Più in generale, è in gioco lo stesso ruolo geopolitico dell’Italia nel mare che vogliamo continuare a considerare nostrum. Quanto succede soprattutto nel Mediterraneo ha un impatto diretto sulla vita quotidiana dei nostri cittadini; quanto più l’Italia sarà unita e compatta di fronte a queste sfide, tanto più riuscirà a mettere in campo un’efficace capacità di iniziativa politica e il nostro Paese ribadirà sempre con forza che l’unica risposta a questa instabilità è e deve rimanere politica.
Nel Mediterraneo non esistono scorciatoie militari. La storia di questi ultimi anni ha dimostrato che i conflitti portano solo altri conflitti, innescando spirali distruttive (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Certo, l’opzione militare può modificare nell’immediato la realtà sul terreno, ma non produrre soluzioni sostenibili, capaci di ricreare i presupposti per una prospettiva condivisa di pace e prosperità. È una lezione che abbiamo imparato in Iraq, come in Libia, e che dobbiamo tenere bene a mente anche in queste settimane. È in questo spirito che ritengo, come sempre, non solo doveroso, ma utile, condividere qui in Parlamento informazioni e considerazioni, concentrandomi sulle due crisi più acute per cui sono stato chiamato a riferire: Libia e Iran e Iraq.
Partiamo dalla Libia: sono ore e giornate cruciali, ed è un bene che questo dibattito si tenga proprio a pochi giorni dalla Conferenza di Berlino, convocata per questa domenica alle 14. Una Libia sovrana, unita e in pace resta la priorità assoluta per l’Italia e per il Governo italiano, per la nostra sicurezza nazionale e per la stabilità dell’intera regione euromediterranea. L’ulteriore aggravarsi di questa crisi potrebbe comportare ulteriori rischi in termini di minaccia terroristica e immigrazione illegale, prospettive che stiamo scongiurando con ogni sforzo. Il cessate il fuoco, per quanto ancora fragile, è una notizia positiva, perché condizione indispensabile per il dialogo politico. Al riguardo, abbiamo accolto con favore l’iniziativa russa per giungere ad un accordo formale tra al-Sarraj e Haftar e abbiamo preso nota della firma dell’accordo da parte dei rappresentanti di Tripoli; auspichiamo che possa essere a breve sottoscritto da tutte le altre parti e che, nel frattempo, la tregua possa reggere sul terreno. Il fatto che Haftar non abbia ancora firmato il documento fa capire quanto sia complessa l’equazione libica e quanto sia importante che tutta la comunità internazionale, a cominciare dai partecipanti alla Conferenza di Berlino, possa lavorare su una stessa agenda.
Nel raggiungimento di questo primo, anche se fragile, risultato l’Italia ha fatto la sua parte. Abbiamo indicato e perseguito l’obiettivo di una tregua, coltivando il dialogo ad oltranza con tutte le parti, anche quando in pochi lo ritenevano realistico, ma la strada è ancora molto lunga e difficile e richiede un impegno costante e corale. Lo sforzo diplomatico di queste ore da parte di Turchia e Russia, che non vede ancora la firma del cessate il fuoco da parte dei due principali attori di questo conflitto, dimostra che nessun Paese da solo può pensare di risolvere una crisi così complessa.
L’intera comunità internazionale è chiamata a lavorare in maniera corale per addivenire ad una conclusione e noi vogliamo seguire questa strada. In uno scenario in continua evoluzione abbiamo accolto con favore l’annuncio da parte tedesca della data della Conferenza di Berlino, il 19 gennaio. È una buona notizia, rappresenta un importante passo in avanti. Se è stato possibile individuare questa data domenica è anche grazie all’incessante lavoro dell’Italia con tutti gli attori di questa complessa crisi. Tale impegno è testimoniato dai ringraziamenti che la Germania ha rivolto all’Italia nell’ultimo Consiglio affari esteri straordinario dell’Unione Europea dello scorso venerdì riconoscendo come determinante proprio il lavoro del nostro Paese.
Permettetemi a questo riguardo di fare un passo indietro rispetto al tema del cessate il fuoco per ricordare brevemente il quadro drammatico della crisi libica.
Una tregua è particolarmente preziosa considerate l’escalation degli scontri sul terreno e l’intensificazione della campagna aerea che hanno interessato nelle ultime settimane l’intera area del fronte intorno a Tripoli. Attacchi continui che non hanno risparmiato obiettivi nella capitale, colpendo anche la popolazione civile e la rete infrastrutturale a cominciare dall’aeroporto di Tripoli- Mitiga, solo da poco nuovamente riaperto.
Particolare rilevanza strategica riveste poi la recente offensiva delle forze di Haftar verso Sirte. Da un lato, potrebbe rafforzarne la presa sulla mezzaluna petrolifera e, dall’altro, rischia di aprire un nuovo fronte ad est della città di Misurata. In questo scenario drammatico ricordo in particolare l’efferato attacco condotto la notte del 4 gennaio contro l’Accademia militare di Tripoli, che ha causato oltre 30 vittime e decine di feriti, anche tra i civili, e che l’Italia ha immediatamente condannato. Queste azioni hanno aggravato una grave crisi umanitaria e alimentano una pericolosa recrudescenza del conflitto con il rischio di innescare uno scontro fuori controllo.
La contrapposizione è aggravata dalle interferenze di attori internazionali e regionali esterni a sostegno dell’una e dell’altra parte. Da conflitto interno la crisi libica si è trasformata in una guerra per procura. In questo contesto si collocano i due accordi tra Libia e Turchia in materia di delimitazione marittima e sicurezza e la decisione del Parlamento turco di autorizzare l’invio di propri militari: iniziative che abbiamo denunciato per gli effetti negativi che hanno avuto su uno scenario già fortemente polarizzato.
Al contempo abbiamo stigmatizzato tutte le forme di ingerenza esterna nel Paese. Rispetto a questo scenario, nelle settimane scorse, l’azione dell’Italia si è sviluppata in coerenza con cinque linee guida.
La prima: impraticabilità della soluzione militare e ricerca di un cessate il fuoco. Come ho già sottolineato l’Italia non intende intervenire militarmente nel conflitto e continua ad aderire con rigore all’embargo sulle armi. Ogni inasprimento sul terreno favorisce solo gli interessi di attori esterni, le cui agende differiscono dalle nostre che non hanno a cuore le stesse nostre esigenze di sicurezza, per non parlare della proliferazione di gruppi terroristici. È fondamentale cercare di mantenere il cessate il fuoco e riportare la crisi libica su un binario politico.
Secondo: riavvio del processo politico sotto l’egida dell’ONU. Il dialogo deve ripartire ed è questo l’obiettivo principale per cui sosteniamo con convinzione il processo di Berlino, al momento unica strada percorribile per una soluzione politica alla crisi in Libia. È molto positivo che la Cancelliera Merkel abbia confermato la data del 19 gennaio. Ci aspettiamo risultati e non solo photo opportunity. Dopo la Conferenza dovremo poi lavorare sui seguiti operativi, a cominciare dalle modalità di attuazione del cessate il fuoco.
Terzo: fine di ogni interferenza esterna. La presenza di mercenari stranieri al fianco delle forze del generale Haftar è un ulteriore fattore di destabilizzazione, così come il più recente arrivo di forse riconducibili alla Turchia, a sostegno del Governo di accordo nazionale. Per far cessare queste interferenze su entrambi i fronti, domenica tutti gli attori saranno riuniti intorno al tavolo a Berlino per impegnarli al pieno rispetto dell’embargo delle Nazioni Unite sulle armi.
Quarto: unità, sovranità e integrità territoriale della Libia. Il nostro obiettivo è avere un Governo stabile rappresentativo di tutto il Paese e in grado di esercitare il monopolio legale della forza, proteggere le frontiere, rispondere alle esigenze più immediate della popolazione e gestire migranti e richiedenti asilo in maniera efficace e nel rispetto dei diritti umani. Una Libia stabile e unita è per noi condizione imprescindibile per contrastare la minaccia terroristica, prevenire flussi migratori illegali, tutelare i nostri interessi energetici.
Quinto: inclusività. L’Italia sostiene il Governo di accordo nazionale, guidato dal Presidente al-Sarraj, quale istituzione legittimata della Libia riconosciuta dalle Nazioni Unite ma, in virtù del tradizionale approccio inclusivo e nella convinzione che solo un dialogo costruttivo tra tutte le parti possa portare a una soluzione condivisa, manteniamo intensa l’interlocuzione anche con i rappresentanti di altre realtà importanti della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan.
In particolare, dialoghiamo con il generale Haftar affinché possa rispettare la tregua, che sostanzialmente è già in atto anche se non è stata firmata, e accettare il processo politico. È sulla base di queste linee guida che si è articolato il lavoro del Governo in queste ultime settimane, sin dal nostro ritorno dalla missione in Libia del 17 dicembre scorso.
La nostra azione ha mirato a tre obiettivi immediati: 1) raggiungimento di un cessate il fuoco; 2) sostegno politico alla preparazione della Conferenza di Berlino; 3) impulso ad un ruolo più attivo e visibile dell’Unione europea al fine di favorire la convocazione e il successo della Conferenza di Berlino, ma soprattutto di contribuire ad assicurarne i seguiti.
Proprio per dare vigore al ruolo dell’Unione europea ho promosso un’iniziativa congiunta con i Ministri di Francia, Germania e Regno Unito e l’Alto rappresentante dell’Unione europea, Borrell, in data 7 gennaio. A causa del deteriorarsi della situazione di sicurezza nel Paese abbiamo deciso di riunirci a Bruxelles, aprendo dunque la strada alla visita che l’indomani il Presidente al-Sarraj ha svolto per incontrare l’Alto rappresentante Borrell, il Presidente del Consiglio europeo Michel e quello del Parlamento europeo Sassoli. Uno sviluppo positivo. Troppo a lungo l’Europa si è mossa in maniera scoordinata sulla Libia, consentendo ad attori terzi di occupare gli spazi lasciati liberi e questa è una dinamica che va contrastata con decisione. Gli europei sono quelli che più hanno da perdere da una Libia instabile e più da guadagnare da un Paese sicuro e prospero. Tocca a noi europei evitare che la Libia rimanga ostaggio di una competizione geopolitica tra attori anche lontani e, quindi, meno esposti alle conseguenze dell’instabilità.
In occasione del Consiglio affari esteri straordinario di venerdì scorso, l’Italia ha inoltre promosso una riflessione sulle modalità e gli strumenti più efficaci per contribuire concretamente alla realizzazione degli obiettivi della Conferenza di Berlino, in particolare: monitoraggio del cessate il fuoco; attuazione dell’embargo sulle armi; riforma del settore sicurezza anche attraverso la costituzione di forze armate professionali e sostegno alle necessarie riforme economiche.
L’Unione europea, anche su impulso italiano, ha avviato una riflessione per una missione europea di monitoraggio del cessate il fuoco, naturalmente su espressa richiesta dei libici e in un quadro di legalità internazionale sancito dalle Nazioni Unite; sarebbe un passo importante per fermare le interferenze esterne, impedire il massacro di civili e dare all’Unione europea un profilo unitario e un ruolo di primo piano nella crisi libica. Nelle ultime settimane ho continuato, in coordinamento con l’azione svolta dal Presidente del Consiglio, ad avere numerosi contatti con i Ministri degli esteri dei Paesi più direttamente interessati al dossier libico: Stati Uniti, Russia, Turchia, Francia, Regno Unito, Germania, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto.
Lo scorso 7 gennaio abbiamo incontrato ad Istanbul il collega Turco e il giorno seguente abbiamo partecipato alla riunione al Cairo di alcuni Paesi interessati alla situazione nel Mediterraneo orientale con i Ministri di Egitto, Francia, Grecia e Cipro. Era importante che l’Italia ci fosse, ma non abbiamo sottoscritto la dichiarazione conclusiva perché troppo sbilanciata contro la Turchia e Sarraj. La forza sta nell’equilibrio e ai nostri interlocutori abbiamo ribadito l’urgente necessità che cessino tutte le interferenze esterne e che ogni sforzo sia diretto a sostenere la Conferenza di Berlino e non la polarizzazione tra le parti. In questa logica si colloca la proposta, che abbiamo avanzato ai nostri omologhi turchi e russi che l’hanno accolta, di lavorare insieme ad un tavolo trilaterale, Italia, Russia e Turchia per la Libia. Tutti hanno riconosciuto il ruolo fondamentale dell’Italia a sostegno di una soluzione politica della crisi libica e per facilitare la realizzazione della Conferenza di Berlino.
Costanti sono stati anche i contatti del Governo italiano con tutte le parti libiche, soprattutto i colloqui che il Presidente del Consiglio ha avuto a Roma con Haftar e al-Sarraj e contiamo di continuare a incontrare altri esponenti libici nei prossimi giorni. Prosegue la nostra azione per valorizzare il ruolo dei Paesi vicini della Libia attraverso un loro coinvolgimento attivo, a partire dal processo di Berlino e dai suoi meccanismi di attuazione.
Dopo la riunione che avevo promosso a margine della Conferenza Rome MED-Mediterranean Dialogues con tutti i Paesi confinanti il 6 dicembre a Roma, più di recente abbiamo avuto incontri in Algeria, lunedì in Tunisia, insieme al Marocco, partner strategici nella regione che possono dare un contributo costruttivo. Grazie al nostro lavoro l’Italia è stata e sarà presente in tutti i formati in cui verranno assunte decisioni relative allo scenario libico.
Ricapitolando, il dialogo con i Paesi confinanti con la Libia per coinvolgerli attivamente nei lavori della Conferenza di Berlino è importante perché è da tenere ben presente che questi Paesi hanno un ruolo cruciale per la Libia, in quanto hanno influenze determinanti su molte delle tribù libiche.
L’invito della settimana scorsa da parte dell’Egitto al Cairo per una riunione di alcuni Paesi interessati al Mediterraneo orientale è stato fondamentale per ribadire un clima di dialogo e stabilire un clima di dialogo in vista della Conferenza di Berlino, e ci ha visto ancora presenti. L’avvio di una consultazione trilaterale con Russia e Turchia circa la questione libica conferma il ruolo centrale che ora viene nuovamente riconosciuto all’Italia e abbiamo promosso il coordinamento dell’Unione europea al suo interno per affrontare questo dossier con una sola voce, e dunque con lo scopo di ridurre le divisioni interne, divisioni che in passato hanno inevitabilmente inciso anche sul ruolo dell’Italia.
Possiamo dire di aver lavorato nelle ultime settimane per essere presenti a tutti i principali tavoli di confronto sulla Libia; questo ci permetterà di favorire il dialogo tra le parti coinvolte, e soprattutto di tutelare i nostri interessi nazionali. Come in Libia, anche nel Golfo permane il rischio preoccupante di un’escalation che avrebbe effetti devastanti per l’intera regione. Dopo una serie di attacchi e provocazioni, il botta e risposta tra Stati Uniti e Iran, con l’uccisione presso l’aeroporto di Baghdad il generale iraniano Soleimani, e il grave attacco iraniano a due basi irachene che ospitano militari della coalizione anti-Daesh dell’8 gennaio, ha generato fortissime tensioni. L’Iraq ha aspramente criticato le circostanze nelle quali il generale Soleimani ha trovato la morte. L’ondata emotiva è stata alla base dell’approvazione di una mozione parlamentare, appoggiata dal Primo Ministro e votata in assenza dall’Aula di sunniti e curdi, che impegna l’Esecutivo a revocare la richiesta di assistenza alla coalizione internazionale per combattere Daesh e a porre fine alla presenza di truppe straniere in territorio iracheno.
Nella valutazione dei fatti e delle loro conseguenze, il Governo italiano si è mosso a livello di Unione europea, di coalizione e bilaterale, e ha privilegiato quattro direttrici d’azione. La prima, contenere le tensioni a favore di un dialogo fra e con gli attori più direttamente interessati. La seconda, assicurare la tutela dei nostri militari impegnati sul terreno. Terzo, sostenere gli sforzi di contrasto a Daesh nel quadro della coalizione internazionale. Quarto, confermare la necessità di dare piena attuazione all’intesa sul nucleare.
Sul primo fronte, il contenimento delle tensioni e la promozione del dialogo, abbiamo immediatamente espresso preoccupazione per degenerazioni pericolose del quadro di sicurezza e condannato l’attacco a postazioni irachene che ospitano i contingenti della coalizione, con tre distinte prese di posizione da parte del Governo italiano. Pressoché unanime è stata la voce dei partner europei che, come noi, hanno emesso dichiarazioni. Abbiamo poi proceduto a mirati contatti bilaterali: il Presidente del Consiglio ha avuto conversazioni telefoniche con il Presidente iracheno Ṣāliḥ, con il Presidente iraniano e con il principe ereditario emiratino.
Per parte mia, ho avuto vari colloqui con i partner regionali, che ho fortemente incoraggiato a rifuggire da ogni ulteriore azione che possa accrescere le tensioni. Anche a livello di Unione europea, in occasione del Consiglio affari esteri straordinario di venerdì, abbiamo convenuto sulla necessità che l’Unione trasmetta un messaggio forte e al più alto livello agli attori interessati affinché contribuiscano alla distensione.
Dobbiamo ora lavorare per facilitare il dialogo tra Washington e Teheran, proposito ambizioso ma indispensabile. Cogliamo con interesse la dichiarata volontà americana ed iraniana di avviare un percorso che eviti un’escalation e permetta una graduale apertura di canali di interlocuzione. All’Iran e agli Stati Uniti chiediamo un impegno senza precondizioni e orientato al compromesso.
In secondo luogo, gli episodi che in rapida successione si sono verificati a cavallo della fine dell’anno ci hanno imposto un’attenta verifica delle condizioni di sicurezza per i nostri militari impegnati in Iraq nel quadro della coalizione anti-Daesh, ma anche della missione europea e della missione NATO. Il Governo considera prioritario garantire la loro incolumità e per il lavoro fatto ringrazio il Ministro della Difesa Guerini. Continuiamo il confronto con gli altri Paesi della coalizione sul futuro della missione; abbiamo trasferito parte dei contingenti in luoghi più sicuri e spostato temporaneamente alcune unità in Kuwait. Parallelamente, la coalizione ha deciso di sospendere alcune attività e rafforzare i dispositivi di sicurezza presso le basi. Continuiamo a lavorare con i nostri partner internazionali perché siano messe in atto tutte le forme di tutela che l’evolversi della situazione sul terreno richieda.
La coalizione internazionale per il contrasto a Daesh – e vengo al terzo pilastro della nostra azione – rimane strumento fondamentale: non solo per contrastare l’insorgenza o la rivitalizzazione di gruppi terroristici ed eversivi, ma anche per il futuro dell’Iraq, in termini di sicurezza, indotto economico, formazione e ricostruzione.
Non abbiamo elementi per chiarire se e quando l’Esecutivo iracheno darà seguito alla mozione dell’Assemblea parlamentare, anche perché il Governo è dimissionario; riteniamo però che, nel rispetto della sovranità irachena e a fronte di adeguate garanzie di sicurezza, sia opportuno che l’impegno contro il terrorismo possa continuare.
La riflessione sul futuro della coalizione proseguirà nelle prossime settimane: prenderemo parte ad un approfondimento previsto a Copenaghen il 29 gennaio. Essenziale, nel cammino di rinnovamento della coalizione anti-Daesh, sarà la plenaria a livello ministeriale che l’Italia ospiterà in primavera: intendiamo facilitare un dibattito sul ruolo futuro della coalizione in Iraq e in Siria, ma anche sulle posizioni dei partner in materia di foreign fighter e sulla minaccia del terrorismo sul fianco Sud.
Quarto asse portante della nostra strategia è il sostegno all’intesa sul nucleare. Contestualmente ai gravi eventi in Iraq, Teheran ha annunciato un nuovo passo indietro nell’attuazione dell’intesa, svincolandosi dalle limitazioni relative all’arricchimento dell’uranio. Ha comunque confermato che si tratta di azioni reversibili, rinnovando la disponibilità a collaborare con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Le autorità di Teheran ritengono che, a fronte di un loro impegno a rispettare gli obblighi derivanti dall’intesa, le altre parti firmatarie, in particolare l’Unione europea, non abbiano assicurato i vantaggi economici e le facilitazioni promesse con l’Accordo.
Abbiamo sempre sostenuto con convinzione che l’Intesa sul nucleare sia un pilastro dell’architettura di sicurezza nazionale, un presidio di non proliferazione, l’unico che abbiamo al momento; anche per questo abbiamo invitato l’Iran a ripristinare il pieno adempimento dell’Intesa. Questo è stato il messaggio che abbiamo concordato fra Ministri degli esteri dell’Unione europea, e che continuerà a ispirare la nostra azione. L’Accordo sul nucleare vive una stagione difficile, ma la sua sopravvivenza non può essere messa in discussione. I paesi E3 – Germania, Francia e Regno Unito – hanno annunciato, il 14 gennaio, l’attivazione dei meccanismi di risoluzione delle controversie che l’Accordo prevede: meccanismi che non vogliono avere scopo punitivo, ma possono essere un’ulteriore occasione di confronto e dialogo con Teheran. L’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera ne supervisionerà l’esercizio; auspichiamo che l’Iran ne colga la natura cooperativa.
Permettetemi di ricordare che la decisione di non far parte del gruppo di gestione dell’Accordo nucleare risale a circa 17 anni fa. Purtuttavia, sono costretto a precisare quanto erroneamente riportato in questi giorni circa la non informazione all’Italia dell’attacco al generale Soleimani. Tale informativa infatti c’è stata, dai più alti livelli del Dipartimento di Stato americano, nelle ore immediate successive all’attacco, e inevitabilmente subito dopo quella svolta proprio ai Paesi E3, che in ogni caso sono stati informati ad attacco avvenuto.
La vicenda dell’aereo ucraino abbattuto a Teheran in fase di decollo con 176 passeggeri a bordo ha scatenato nuove manifestazioni di piazza. Tra le vittime dell’abbattimento, ben 57 sarebbero canadesi; ho avuto ripetuti contatti con il collega canadese, perché l’Italia in Iran cura anche gli interessi del Canada. La leadership iraniana, che con le folle oceaniche dei funerali del generale Soleimani aveva ostentato una compattezza della propria popolazione ispirata dall’orgoglio nazionalistico, si ritrova adesso sul banco degli imputati per aver ammesso la responsabilità dell’abbattimento dell’aereo con ben tre giorni di ritardo. Chiediamo a Teheran che venga fatta piena luce su quanto è accaduto e si agisca nei confronti dei responsabili, e in questo vi è l’impegno da parte del Ministro degli esteri iraniano Zarif. Anche considerando questa nuova tensione, lasciare aperti i canali di interlocuzione con l’Iran resta per noi fondamentale. Stiamo lavorando per intensificare le occasioni di contatti bilaterali con controparti iraniane, dapprima a livello tecnico e poi politico. Va ricostruita un’agenda bilaterale con Teheran che tenga conto del contesto generale e dei nostri interessi, nella consapevolezza che esistono scelte politiche iraniane che non condividiamo: mi riferisco al trasferimento di tecnologia missilistica ad attori non statali, ad attività che mettono a rischio la stabilità della regione, a violazioni nel campo dei diritti umani. Stiamo, al contempo, intensificando la cooperazione e il dialogo bilaterale anche con i Paesi arabi del Golfo, con i quali condividiamo l’esigenza di una stabilizzazione dell’area, a tutela dei nostri interessi economici oltre che di sicurezza.
In conclusione, ho cercato di riassumere il lavoro condotto finora, i principi che l’hanno ispirato, la strategia per l’azione futura. Seguiremo con attenzione il dibattito di oggi. Sull’onda di queste ultime crisi internazionali, molte sono state le critiche e le analisi sul ruolo dell’Europa e dell’Italia. Le critiche sono naturalmente legittime. Non c’è dubbio che l’emergere di attori geopolitici esterni a scapito dei Paesi europei sia stato favorito da inerzie, divisioni e spazi vuoti anche dell’Unione europea.
Passi avanti sono stati realizzati. L’Italia ha dato un contributo importante e potrà continuare a farlo se sulle polemiche di corto respiro prevarrà una visione lungimirante e condivisa. In politica estera dobbiamo essere uniti. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Controproducente sarebbe affrontare le crisi tentando di tradurne la complessità con la ricetta semplicistica dello schierarsi con l’uno o con l’altro. La soluzione, crediamo, per noi e per l’Europa sta nel contrario. Non si tratta di cerchiobottismo né di ingenuità. Per puntare a soluzioni politiche sostenibili occorre giocare di squadra, parlare con una voce unica, agire con equilibrio: solo così potremo essere credibili ed efficaci. L’Italia l’equilibrio ce l’ha nel DNA. In coerenza con la nostra natura e la nostra storia, possiamo, insieme, restituire a questo Paese il ruolo che merita (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Italia Viva).
Presidente, rubo qualche altro minuto semplicemente per precisare qualche altra cosa su queste due importanti vicende, una che ci vede vicini, anche geograficamente, come la Libia. È chiaro che in Libia c’è un conflitto e in queste ore c’è una tregua sostanziale. Non è stata firmata a Mosca la tregua formale, non è stato firmato l’accordo formalmente, ma c’è una tregua sostanziale che ci permette di affrontare la Conferenza di Berlino di domenica con più capacità di dialogo tra le parti.
Ma non sono d’accordo con coloro che dicono che, nell’ambito del conflitto, l’Italia doveva guadagnare più terreno, perché, nell’ambito di questo conflitto, hanno guadagnato terreno i Paesi che hanno dato armamenti ed eserciti all’una o all’altra parte. Noi non abbiamo mai – e, per nostra Costituzione, è impossibile – avallato queste richieste e abbiamo sempre dialogato con le due parti. Certo, la strada diplomatica richiede più tempo, lo sforzo diplomatico è complesso e quando si dice che si sta decidendo tutto a Mosca io ricordo che a Mosca non è stato firmato l’accordo e tutto adesso viene ricondotto alla Conferenza di Berlino di domenica, e la Germania ci ha ringraziato. Su questo qualcuno al Senato prima ha detto: “Prendiamo ordini dalla Germania”. La Conferenza di Berlino si tiene a Berlino, noi siamo stati leali con quella Conferenza e abbiamo dato una mano alla Germania e a tutta la comunità internazionale a fissare una data e a creare le condizioni per fissare quella data. Quella Conferenza tiene intorno al tavolo tutti gli Stati che interferiscono con le parti libiche e l’obiettivo non è solo il cessate il fuoco. La Conferenza di Berlino non è un punto d’arrivo ma è un punto di partenza. Se si concordano degli obiettivi, quali il cessate il fuoco e un processo democratico, poi bisognerà implementarli e anche su questo l’Unione europea può essere decisiva, certamente se parla con una sola voce. Non ho nascosto le difficoltà, nel mio discorso, di un’Unione europea che a volte non è unita, spesso non è unita e quando non è unita permette ad altri soggetti della comunità internazionale di avanzare. Ma l’Europa e l’Unione europea potranno dare un contributo al cessate il fuoco e all’embargo sulle armi sempre mettendo al centro la parola “pace”, mai la parola “conflitto” e mai la parola “guerra” e qualunque intervento anche in queste ore si stia pensando e si sta pensando a Bruxelles è un intervento che deve mettere in sicurezza la popolazione libica e deve garantire la pace.
Si è discusso già di qualche strumento e ho visto che anche al Senato si è discusso della missione Sophia, ma io ricordo sempre a tutti che l’embargo sulle armi, se deve essere tale, è un embargo che deve bloccare l’accesso di armi in Libia via terra, via mare e via aerea. Abbiamo bisogno di una missione complessiva di pace che garantisca il non ingresso di armi in Libia e, quindi, i rifornimenti alle parti, che possa bloccare le interferenze di altri Stati e permettere, quindi, alla Libia di autodeterminarsi. Quando noi diciamo “unità della Libia” non è retorica, perché è interesse di tutto il Mediterraneo che possa essere garantita l’unità della Libia.
Anche nel dibattito al Senato è emersa l’esigenza di parlare con le comunità libiche, con le tribù e con le municipalità e lo facciamo, lo faremo e lo continueremo a fare. Io ricordo che l’Italia è l’unico Paese che ha un’ambasciata aperta a Tripoli, l’unico Paese dell’Unione europea. Ricordo che abbiamo una storia di relazioni con tutte le parti libiche, che non sono solo due ma sono molto più complesse, e anche col Fezzan abbiamo vari progetti umanitari che intervengono in aiuto alle popolazioni con la nostra agenzia per la cooperazione allo sviluppo, ma c’è anche il rapporto sempre più intenso che abbiamo stabilito negli ultimi mesi con l’Algeria e la Tunisia, che è importantissimo perché tante tribù a sud della Libia sono di origine algerina o tunisina.
Possiamo lavorare insieme a tutta la comunità internazionale per imporre lo stile dell’Italia nella politica estera, che non è stare con una squadra o con l’altra. L’Italia in questo momento, nella trilaterale con Russia e Turchia, nell’avere questi rapporti, nell’avere intensificato i rapporti con i Paesi dell’Africa del Nord per aver fatto da pungolo all’Unione europea per organizzare la missione in Libia e portare avanti il dialogo con le parti, oggi siede in tutti i consessi ed è considerata in tutti i consessi dove si prenderanno decisioni per la complessa situazione libica. Ma lo stesso sforzo diplomatico della Turchia e della Russia, che accogliamo perché i loro Ministri hanno garantito che era in funzione sempre di favorire la Conferenza di Berlino, lo sforzo diplomatico non andato in porto, dicevo, della Turchia e della Russia dimostra quanto complessa sia questa vicenda, quanto complesso sia questo conflitto, quanto complessa sia la Libia e la situazione libica e, soprattutto, dimostra che nessun Paese può pensare di risolvere questo problema da solo. I Paesi che risolvono i problemi da soli in un conflitto così complesso probabilmente si vedono solo nei film (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali).