Ad esempio, come proposto dall’Unione di Centro, stabilire il termine massimo di sessanta giorni (per i certificati un termine inferiore), per il rilascio di autorizzazioni, permessi, atti, per tutte le pubbliche amministrazioni, comunali, regionali, statali. E, in caso di inadempimento, consentire l’avvio delle attività tramite atti di «autoamministrazione», certificando la conformità e il rispetto di leggi e atti amministrativi. Se la pubblica amministrazione è reticente o troppo lenta, la responsabilità passa al privato, con attestazioni professionali della correttezza del proprio agire, ovunque, in tutta Italia, nei Ministeri come nei piccoli comuni. Ecco una riforma audace, un «taglia-termini» vero, una nuova responsabilità civile e sociale, che rispetta i principi dello Stato di diritto e che deve valere in tutto il Paese. Ma per questa semplificazione occorre mantenere e rafforzare una legge di principi nazionali, unitaria, che garantisca ovunque cittadini e imprese. Tutto il contrario del caos federalista, dell’amministrazione «fai da te», dei «lacci e dei lacciuoli» creati dalle caste politiche locali, che moltiplicano gli oneri, le norme, i costi e le disuguaglianze.
Naturalmente quanto rilevato vale come indirizzo per una politica legislativa di semplificazione amministrativa, alla ricerca dell’efficienza e integrata dalla sussidiarietà orizzontale con responsabilità professionale (vedi le modifiche agli articoli 97 e 118 della Costituzione).
Ma, a livello di principio costituzionale non sarebbe opportuna una tale disciplina di dettaglio mentre è certamente utile e doveroso affermare il «principio di semplificazione amministrativa» come valore guida.
Il disegno di legge costituzionale del Governo propone, al primo comma dell’art. 97 della Costituzione novellato, una nuova formulazione secondo cui «le pubbliche funzioni sono al servizio delle libertà dei cittadini e del bene comune». È una visione che condividiamo perché tende ad affermare la funzione «servente» delle pubbliche amministrazioni, rispetto alla società («libertà» e «bene comune»), e non una concezione autocratica del potere pubblico. Tuttavia riteniamo che tale affermazione di principio debba essere meglio completata con l’esplicitazione del «rispetto dei diritti e dei doveri», posti a fondamento dei principi della parte prima della Costituzione. Non solo libertà dell’individuo ma la libertà responsabile della persona, fatta di diritti e di doveri nelle relazioni sociali, secondo la pregnante concezione affermata nella Carta Costituzionale e nell’umanesimo cristiano.
Così pure riteniamo utile evidenziare, tra i principi di efficienza, efficacia, semplicità, trasparenza, dell’agire amministrativo, anche i principi di «legalità» e di «partecipazione». In effetti il principio di legalità è innegabile poiché è fondamento dello Stato di diritto e della superiorità della legge sull’amministrazione. Ma anche il principio di partecipazione all’attività amministrativa discrezionale si è ormai affermato nella legislazione nazionale ed europea (vedi encuesta previa in Spagna, enquête publique in Francia, public inquiry ed examination in public nel Regno Unito, partecipazione al procedimento amministrativo in Germania) come strumento di democrazia amministrativa, di prevenzione dei conflitti e di migliore efficienza dell’istruttoria amministrativa.
Naturalmente il principio è regolato dalla legge allo scopo di garantirne la certezza dei tempi e di evitare il «sovraccarico di manifestazione di interessi», secondo un’espressione in uso nella dottrina giuspubblicistica.
A nostro avviso, in un’opera di revisione dell’articolo 97 della Costituzione, non deve mancare l’affermazione del principio di «distinzione tra politica e amministrazione». In effetti tale principio si è affermato e consolidato nella legislazione degli anni Novanta, con governi diversi, e costituisce un valore coessenziale e complementare a quello di imparzialità della pubblica amministrazione, ribadito anche nel disegno di revisione costituzionale del Governo.
Avvertiamo la necessità di far emergere con più nettezza la distinzione delle funzioni che appartengono all’amministrazione professionale che deve essere sviluppata (compiti di gestione amministrativa, tecnica e finanziaria), rispetto alle funzioni di indirizzo, di programmazione e di controllo dei risultati, che appartengono ai funzionari politici o elettivi.
Il principio secondo cui «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso pubblico, salvi i casi stabiliti dalla legge» va integrato, a nostro avviso, sotto due profili: va esteso il principio anche «alle nomine negli enti pubblici» a garanzia della concorrenza, del merito e dell’efficienza; e l’esclusione del concorso pubblico deve essere ristretta ai casi «eccezionali» stabiliti dalla legge. C’è stato, come noto, un abuso della deroga, che deve essere limitata, poiché il concorso pubblico, che ben può svolgersi in forme moderne ed efficienti, deve davvero costituire la regola se si vuole premiare il merito ed evitare le ricorrenti sanatorie o le forme clientelari di assunzione che penalizzano in genere i più giovani.
L’articolo 118 della Costituzione, in tema di sussidiarietà orizzontale, è oggetto di una limitata modifica nel disegno di legge costituzionale del Governo che specifica che lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni non soltanto «favoriscono», ma «garantiscono» (…) l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». A questa formulazione finale, riteniamo necessario apportare la seguente modifica inserendo l’espressione «sulla base dei principi di sussidiarietà, di concorrenza e di merito».
La materia, anche per le sue implicazioni culturali, merita un approfondimento.