Estratto da “RIFORME ISTITUZIONALI per la TERZA REPUBBLICA“ di Pierluigi Mantini.
La proposta di legge costituzionale che illustriamo ha il dichiarato intento di contribuire costruttivamente al confronto originato dal disegno di legge costituzionale del Governo (atto Camera n. 4144) di modifica agli articoli 41, 97 e 118 della Costituzione in materia di libertà di attività economica, semplificazione amministrativa e sussidiarietà.
Si tratta di temi di grande rilievo che tuttavia non esauriscono il perimetro di ciò che viene usualmente definita la «Costituzione economica» del Paese.
Occorre chiarire che, nel disegno di legge del Governo, ci si pone l’obiettivo di valorizzare i principi sociali e liberali che sono a fondamento della responsabilità economica, nel solco tracciato dal diritto dell’Unione Europea in materia di concorrenza e nel contesto nuovo costituito dalla globalizzazione dei mercati. Per il vero, nel Documento di economia e finanza 2011 il Governo attribuisce a queste modifiche costituzionali un rilevante significato di «scossa» positiva all’economia, con un eccesso di ottimismo, anche con riguardo agli effetti ed ai tempi necessariamente lunghi delle riforme costituzionali, a fronte dell’urgenza di forti misure per il contenimento della spesa e del debito pubblico e per la crescita del Paese.
Le riforme costituzionali non devono avere carattere contingente, strumentale o, peggio, propagandistico. Come invitava a fare Piero Calamandrei «occorre essere presbiti», guardare bene lontano, non essere miopi. Abbiamo in altre sedi avanzato efficaci proposte per politiche economiche di risanamento e di crescita, per riforme urgenti che possono e devono essere realizzate con priorità e con larghe intese nel Paese. Non ci sembra in tal senso adeguato il Piano Nazionale delle Riforme proposto dal Governo, nell’ambito della «Strategia 2020», che risulta peraltro carente proprio in materia di concorrenza e di liberalizzazioni.
Con queste premesse, rifuggendo dunque dai limiti della contingenza, avanziamo le nostre proposte di revisione costituzionale sulla stessa materia su cui insiste il disegno di legge costituzionale del Governo.
L’art. 41 della Costituzione è tipica espressione, nella genesi ricavabile dai lavori dell’Assemblea costituente, dell’incontro tra cultura liberale azionista e quella cattolica e socialista. Si volle infine privilegiare un modello di economia mista, coerentemente alle altre Costituzioni europee del secondo dopoguerra, nel quale iniziativa economica privata e pubblica cooperano al fine, statuito dal secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno svolgimento dello sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
In tal senso devono essere considerati, oltre quanto si dirà, gli artt. 39 e 40 della stessa Costituzione, in materia di lavoro e diritto di sciopero, l’art. 42, in materia di disciplina della funzione sociale della proprietà e dell’espropriazione di essa per motivi di interesse generale, nonché l’art. 43 che consente l’espropriazione o la riserva per legge di «determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale».
Come comunemente riconosciuto in dottrina, la Costituzione non si limita a garantire ai singoli la tutela di una determinata sfera di autonomia, ma prevede e disciplina tutta una serie di istituti, attraverso i quali prende corpo, in questo decisivo settore, l’impegno dei pubblici poteri a ridurre le diseguaglianze, di ordine economico e sociale, esistenti di fatto tra i cittadini: in questo senso devono essere interpretate non solo la previsione di una iniziativa economica pubblica e di una proprietà pubblica accanto all’iniziativa e alla proprietà privata, nonché la previsione di appositi istituti volti a controllare e indirizzare l’una e l’altra verso il conseguimento di fini sociali, ma anche la previsione di un impegno diretto dello Stato volto a favorire un più diffuso ed effettivo esercizio delle libertà economiche (si pensi all’art. 45, relativo alla tutela e promozione della cooperazione, all’art. 46, relativo al diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi previsti dalla legge, alla gestione delle aziende, all’art. 47, relativo alla tutela del risparmio e all’accesso alla proprietà dell’abitazione).
Il riparto dei poteri decisionali per realizzare questo disegno di economia mista ruota intorno all’istituto della riserva di legge. È infatti al Parlamento che spettano tutte le scelte di carattere generale in materia, al fine di garantire la democraticità delle stesse e di evitare possibili abusi della Pubblica Amministrazione. È alla legge che fanno costante riferimento non solo le disposizioni contenute negli articoli da 41 a 47 della Costituzione, ma anche tutte le altre disposizioni che toccano questo tema (si vedano gli articoli 23 e 25 in materia di potestà impositiva dello Stato, nonché l’articolo 81, in materia di decisioni di bilancio).
Questi sommari richiami sono sufficienti per affermare la nostra convinzione dell’inopportunità di modifiche parziali della “Costituzione economica”, che andrebbe considerata nel suo complesso ove si pretenda di mutarne la cultura di fondo, e ciò anche in considerazione del fatto che, pur alla luce delle più recenti esperienze dell’Unione Europea e della globalizzazione dei mercati, il modello dell’economia mista di mercato non appare affatto depotenziato o superato, sebbene con fattori nuovi che tuttavia non inficiano il modello costituzionale o dei principi.
Gli argomenti a suffragio di tale tesi sono molti, basti pensare al ruolo svolto dai cosiddetti «fondi sovrani» e, per altro verso, alla ricerca di legal standards per l’economia globale.
Non occorre piegare la Costituzione alle tendenze iperliberiste della lex mercatoria ma piuttosto riaffermare ed estendere il modello dell’economia sociale di mercato che si basa sulla libertà privata e sull’intervento pubblico, prevalentemente di natura regolatoria.