Riceviamo e pubblichiamo l’articolo dell’on. Pierluigi Mantini* che, dalle pagine del quotidiano LIBERAL di martedì 17 aprile 2012, lancia la proposta di «dimezzare il contributo pubblico ai partiti a partire dal 2013, sommando alla riduzione del 30 per cento già decisa con il D.L. 98 del 2011, un ulteriore 20 per cento».
Finanziamento, controlli e contributi: la lezione dell’Europa
Presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera in questi giorni si entra nel vivo. Riforma dei partiti o solo dei controlli sui bilanci? Anticipare la seconda per poi fare la prima, già calendarizzata per maggio, o farle insieme?
Dopo i casi Lusi e Lega la necessità di intervenire appare evidente, addirittura travolgente. Il tema del finanziamento dei partiti ha preso su tutti il sopravvento.
Occorre una soluzione tempestiva ma non necessariamente parziale o, peggio, ipocrita. Una riforma seria e condivisa è possibile.
Se guardiamo agli altri paesi europei comparabili (Francia, Germania, Spagna, Regno Unito) ovunque è previsto un finanziamento pubblico dei partiti ma, si può già anticipare, in misura inferiore a quanto previsto in Italia.
In Francia il modello di finanziamento della politica è centrale, ad un contributo annuale, fissato con la legge finanziaria, si accompagnano rimborsi in occasione delle elezioni.
Il contributo è distinto in due parti uguali, in base ai voti conseguiti al primo turno e alla rappresentanza parlamentare. Non c’è il controllo della magistratura contabile ma è previsto comunque l’obbligo di una contabilità particolare e i rendiconti annuali, previa certificazione di due revisori dei conti, devono essere depositati presso la Commission nationale des comptes de campagne et des financements politiques, composta da alti magistrati come nella soluzione prospettata in Italia, che provvede anche alla pubblicazione. Se vengono riscontrate irregolarità, il partito perde il diritto al contributo per l’anno successivo e sono previste sanzioni pecuniarie, applicate negli anni recenti, per il mancato rispetto delle parità tra i generi. Comunque, al netto dai rimborsi elettorali che vanno direttamente al candidato, il contributo annuale ai partiti è pari a 80.264,408 euro cui si aggiungono i contributi dei privati che, giustamente, possono essere fatti solo da persone fisiche, in misura non superiore a 7.500 euro l’anno, e con la deducibilità fiscale del 66 per cento.
Anche in Germania il finanziamento è pubblico e non può superare i 133 milioni l’anno (limite assoluto) e l’importo derivante dall’autofinanziamento privato (limite relativo). E’ assai rilevante il fatto che il finanziamento viene direttamente assegnato alle federazioni locali per le elezioni dei Länder regionali.
C’è il controllo sulla contabilità da parte del presidente del Bundestag, sulla base di una relazione giustificativa firmata da un revisore, mentre il presidente è a sua volta controllato dalla Corte federale dei Conti. Particolari agevolazioni e finanziamenti sono previsti inoltre per le fondazioni politiche.
In Spagna il finanziamento della politica è misto poiché ai contributi annuali dello stato centrale concorrono quelli delle comunità autonome. La misura è stabilita nella legge finanziaria, sulla contabilità c’è il controllo della Corte dei Conti. Il contributo annuale ordinario, al netto da quello locale, è in media di circa sessanta milioni.
Nel Regno Unito vi sono norme particolari che privilegiano il finanziamento pubblico dei partiti di opposizione e la trasparenza dei finanziamenti privati.
Da questa breve comparazione si possono trarre alcuni spunti utili per una buona riforma in Italia.
Innanzitutto nei paesi dell’Europa continentale è previsto un finanziamento pubblico dei partiti, e non solo rimborsi elettorali, con ciò riconoscendosi una funzione pubblicistica durevole e non limitata alle sole competizioni elettorali. I partiti devono ridimensionarsi, non possono essere quelli “di massa” del primo Novecento, ma non devono neanche “sparire”, riducendosi a meri comitati elettorali. L’Europa suggerisce una via di mezzo.
In secondo luogo, sono presenti meccanismi stringenti di controllo sull’uso del finanziamento e, in Francia, anche sanzioni penali e persino la sanzione elettorale dell’inegibilità per un anno, da parte del Consiglio Costituzionale, nei confronti del candidato che abbia superato il tetto di spesa elettorale (in alcune elezioni in Italia non è neanche previsto).
In terzo luogo, sono in genere stabiliti limiti massimi e forme di deducibilità fiscale, in Germania anche sotto forma di “sconto di imposta” per i meno abbienti, per i finanziamenti privati ai partiti.
In via generale, però, è agevole riscontrare che la misura del contributo pubblico ai partiti è ben inferiore a quanto previsto in Italia (4 euro per voto).
Dunque sarebbe giusto un dimezzamento di questo importo a partire dal 2013, sommando alla riduzione del 30 per cento già decisa con il D.L. 98 del 2011, un ulteriore 20 per cento.
E sono certo necessari i più rigorosi controlli sulla contabilità, con le misure ora concordate, che prevedono la trasparenza dei contributi superiori a cinquemila euro (ma anche a mille, in ossequio alle nuove norme sulla tracciabilità), l’obbligo di certificazione dei bilanci da parte di qualificati soggetti di revisione legale e contabile, il controllo dei bilanci da parte di una Commissione di alti magistrati, tutte misure da applicare almeno ai bilanci dell’ultimo triennio. Questa è la vera “operazione pulizia”, cui non dovrebbe sottrarsi Maroni, nell’interesse stesso della Lega.
E sarebbero necessarie anche sanzioni più severe e tipiche per gli amministratori che “distraggono” fondi e risorse dal contributo pubblico dei partiti per fini personali e per i candidati che superano i tetti di spesa consentiti.
A fronte di una consistente riduzione del finanziamento pubblico si dovrebbe prevedere una più alta deducibilità del finanziamento ai partiti da parte di cittadini, e non delle imprese che non votano e possono generare conflitti di interesse, sull’esempio del modello francese.
Sono misure possibili e urgenti per restituire credibilità e dignità alla funzione democratica dei partiti. Ma occorrono chiarezza di idee e condivisione.
L’“antipolitica”, così come l’inerzia, non giovano alla buona politica di cui l’Italia ha bisogno. Il primo impegno per aiutare il Paese ad uscire dalla crisi è ora quello di non cadere nelle mani dei “grilli” parlanti.
*Responsabile riforme Istituzionali Udc