Le professioni nel patto per la crescita, un racconto, una proposta

 

2. Le professioni nella crisi. La riforma

Anche i più quotati opinionisti della grande stampa sembrano accorgersi solo ora che la crisi profonda del sistema economico e finanziario investe anche le professioni intellettuali e il terziario qualificato.

Il forte rallentamento dell’economia ha duramente colpito il fatturato degli studi professionali, da un lato, si è drasticamente ridotto il volume degli affari e le conseguenti richieste di servizi professionali, perché non dimentichiamo che se le aziende soffrono e riducono gli organici, quando non vengono addirittura espulse dal mercato, i professionisti che le assistono ne subiscono di riflesso le drammatiche conseguenze. Dall’altro lato dilazionando a dismisura i pagamenti da parte della pubblica amministrazione per i servizi professionali già resi o in essere. Una miscela esplosiva che ha messo in ginocchio buona parte dei professionisti italiani.

Secondo le stime del CUP Nazionale (Comitato Unitario delle Professioni), che rappresenta quasi 2 milioni di professionisti riuniti in Ordini e Collegi, si ipotizza un calo del fatturato degli studi professionali nella media del 25% in meno nel solo 2009: i più sofferenti saranno gli architetti e gli ingegneri, ricomprendo anche tutto il loro indotto, con un taglio alle entrate di circa il 30% in meno a causa della grave crisi di domanda che ha colpito il mercato immobiliare; seguono a ruota le professioni economiche con una drastica riduzione del fatturato di circa il 15% a causa del drastica calo di lavoro delle aziende.

Conseguentemente al crollo del fatturato, si sta sviluppando un drastico taglio delle risorse umane degli studi professionali.

Si ipotizzano circa 300 mila posti di lavoro a rischio, entro la fine del 2009: consulenti e collaboratori a partita Iva i cui contratti saranno cancellati dai grandi studi professionali costretti a tagliare gli organici per sopravvivere, liberi professionisti per cui non sono previsti ammortizzatori sociali o misure di tutela straordinarie.

Senza contare gli oltre un milione di lavoratori dipendenti degli studi professionali che sono le prime vittime della crisi in atto. A costoro devono essere purtroppo sommati anche i piccoli professionisti, circa 800 mila lavoratori intellettuali, titolari di studi propri o operanti in proprio, specialisti facenti parte di quella miriade di piccole realtà costrette a chiudere, a riconvertirsi, a sperimentare altri settori se non proprio a cambiare addirittura lavoro.

In rapida sintesi, i professionisti risultano esclusi dal novero degli aventi diritto delle seguenti misure anticrisi varate dal Governo : detassazione investimenti (decreto-legge n. 78 del 2009 Tremonti-ter); incentivi alla capitalizzazione (decreto-legge n. 78 del 2009); premio occupazione e potenziamento degli ammortizzatori sociali (decreto-legge n. 78 del 2009); moratoria sui prestiti bancari (decreto-legge n. 78 del 2009); bonus aggregazioni per conferimenti, fusioni e scissioni (articolo 1, comma 242 legge n. 296 del 2006).

Cosa ancor più grave questo terremoto che investe il mercato delle professioni intellettuali si sta consumando nella pressoché totale disattenzione generale visto che il governo è da tempo, nonostante le ripetute sollecitazioni, sordo alle richieste del settore. In particolare si nota la disparità di trattamento tra lavoratori autonomi e PMI, queste ultime si destinatarie di strumenti di sostegno da parte del governo

Occorre invece comprendere che le professioni, nella larga maggioranza, sono parte di quel ceto medio che la crisi spinge verso nuove difficoltà e soglie di povertà.

Soprattutto è impensabile che, nella seria crisi finanziaria ed economica che attraversa il mondo, si continui a parlare di lavoratori e imprese e non siano neppure citate le professioni italiane, tradizionali e nuove, che esprimono oltre 4 milioni di soggetti per una quota di attività superiore al 12 % del PIL, costituiscono una risorsa essenziale del Paese per continuare a crescere nell’economia della conoscenza e dei servizi.

Questi dati sono noti da tempo a noi che invochiamo e proponiamo politiche per la modernizzazione delle professioni italiane e il loro sostegno contro gli effetti devastanti della crisi.

Già nella scorsa legge Finanziaria e nel “pacchetto anti-crisi” abbiamo proposto misure ragionevoli e sostenibili specifiche per il settore: garanzie per l’accesso al credito e confidi per i professionisti, crediti di imposta per la formazione obbligatoria permanente e, con limiti, per l’acquisto di dotazioni informatiche, determinazione certa della soglia di esenzione dall’IRAP, incentivi fiscali per le associazioni professionali.

Proposte utili che abbiamo ripresentato, inutilmente, anche nella discussione della legge finanziaria 2010, arricchite dai seguenti strumenti: l’intera deducibilità dell’IRAP per i professionisti così come richiesto dall’Unione Europea; estensione ai professionisti dei regimi di finanziamenti delle agevolazioni e degli interventi di garanzia (legge n. 2/2009) dei fondi di garanzia previsti per le PMI; consentire che i crediti non riscossi dalla Pubbica Amministrazione siano utilizzabili nei confronti delle banche come garanzie di prestiti a tassi agevolati; sostenere le rappresentanze dei mondi professionali a offrirsi come garanzia per la stipula di accordi con le banche, con Confidi e altre organizzazioni di sostegno delle PMI per agevolare la concessione di crediti ai professionisti.

È grave l’assenza di segnali a riguardo da parte del governo. La forte sofferenza dei mondi professionali ha posto maggiore centralità alla “questione professioni” troppo spesso sottovalutata dalla politica ove è in uso ancora parlare di “impresa e lavoro” quasi che non esistessero altre forme di lavoro, come invece recita l’art. 35 della Costituzione che afferma “la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni”.

Il ritardo di cultura politica ha spesso offerto letture parziali o distorte del mondo delle professioni, confondendo lo skill intensive labour, la ricchezza dei saperi professionali, con le forme talvolta antiche e inadeguate della loro rappresentanza istituzionale.

Si è sottovalutato il loro valore sociale, poiché le professioni, nella tutela di diritti individuali e di interessi generali e nel sempre più frequente svolgimento di incarichi di servizio pubblico, sono espressione tipica del principio di sussidiarietà orizzontale e fattore decisivo della coesione sociale del Paese. Sono cose che diciamo da tempo: ma occorrono risposte concrete a domande concrete.

È comunque necessario il rilancio di un processo equilibrato di riforme e di autoriforme per promuovere maggiore qualità e responsabilità, formazione permanente, etica professionale, crescita delle società e delle associazioni, più competitività, più attenzione per i giovani, migliori garanzie agli utenti, superando normative del primo Novecento.

Gli obiettivi delle politiche per le professioni possono essere sintetizzati nel modo seguente:

1. modernizzazione degli ordini professionali esistenti e riduzione di essi attraverso la unificazione delle figure professionali simili, nonché trasformazione di essi a maggior garanzia degli utenti e non solo degli iscritti, da attuare attraverso processi di autoriforma basati su principi chiari definiti per legge;

2. completare il riconoscimento delle associazioni delle professioni attualmente non regolamentate che siano in possesso di statuti ed elementi costitutivi e organizzativi che garantiscano l’emersione di nuovi skill professionali e il responsabile esercizio delle attività (sistema duale), sulla base del dlgs. 9 novembre 2007, n. 206, nel rispetto delle riserve e del corretto uso della denominazione professionale;

3. promozione delle società professionali e interprofessionali, anche nella forma cooperativa, coerenti con le nuove domande e adeguate alla crescita competitiva nei mercati dei servizi, con esclusione del socio terzo di capitale per alcune categorie;

4. formazione permanente, garanzia della qualità professionale e nuovi strumenti per rafforzare l’etica professionale;

5. pubblicità informativa e obbligo di assicurazione a garanzia degli utenti;

6. semplificazione dei tirocini e dell’accesso e riconoscimento del diritto all’equo compenso per i praticanti;

7. autonomia ed estensione delle Casse Previdenziali e sviluppo del welfare professionale;

8. riconoscimento di politiche fiscali ed economiche per la crescita professionale (crediti fiscali per la ricerca, per le nuove società di servizi in mercati emergenti…) e del ruolo sociale e politico delle professioni nelle grandi scelte di concertazione.

Ora che in Italia sembra esserci una maggiore consapevolezza del ruolo sociale ed economico delle professioni, è tempo di guardare con tenacia e realismo alla piattaforma delle politiche possibili.

La manovra finanziaria di agosto e le bozze del decreto sviluppo, ad oggi conoscibili, sembrano finalmente avvicinarsi a questa nostra posizione, questa nostra posizione “terza”, né conservatrice, né liberista, che negli anni abbiamo sostenuto con tenacia. Naturalmente vi sono punti da chiarire e da meglio definire.

L’UDC ha insistito in questi anni, con emendamenti e ordini del giorno, per misure in favore delle professioni attraversate dalla crisi: riteniamo che il decreto sviluppo debba almeno riconoscere la deducibilità fiscale dei costi obbligatori della formazione permanente e anche dei costi dei praticanti ai quali va effettivamente riconosciuto un equo compenso con un limite inderogabile.

In alcuni settori, penso ad esempio a quello delle opere pubbliche e alla giustizia, è necessario mantenere almeno il riferimento alle tariffe professionali, seppur negoziabili.

In molti casi è utile il riconoscimento delle Consulte regionali degli Ordini e certamente si dovrebbe tornare a valutare la proposta normativa di cui fui relatore nella XV legislatura di una vasta delegificazione delle materie organizzative che riguardano gli Ordini.

Non tutto può essere disciplinato dalla legge ed è sufficiente riconoscere il principio di autonomia regolamentare, nel rispetto dei criteri ispiratori.

Noi continueremo, con qualsiasi governo, l’impegno per una riforma delle professioni largamente condivisa, una riforma seria e moderna non “contro” ma “per” le professioni italiane, i cittadini e le imprese.

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