Le agevolazioni ferme al palo

 

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Come ha sottolineato Mario Monti, nuove misure e strumenti per il rilancio degli investimenti in infrastrutture, ricerca, energia e telecomunicazioni dovranno essere uno dei capitoli-chiave del nuovo “Growth compact” europeo.

Ma la spesa pubblica per investimenti non potrà crescere di molto, dati i vincoli del Fiscal compact e la necessità di ridurre comunque i debiti pubblici. L’alternativa più ovvia è il ricorso a capitali e finanziamenti privati, nelle forme della finanza di progetto (Fp) o delle partnership pubblico-privato(Ppp), allargando il più possibile l’area delle infrastrutture “calde”, che sono in grado di ripagare i capitali investiti e i finanziamenti ottenuti (come l’Italia ha cominciato a fare, per esempio, con le nuove disposizioni sul canone di disponibilità).

Ma il quadro non è incoraggiante. Storicamente, oltre il 90% del debito per le iniziative di Fp è stato finanziato da banche, in specie da banche europee, che ancora coprono i due terzi del mercato mondiale del settore. Ma le regole di Basilea 3 e dell’Eba e i costi crescenti di funding rendono tutto più arduo.

Basilea 3 impone ratios che penalizzano gli investimenti di lungo periodo e richiedono per la Fp spread in forte crescita. Le banche europee sono costrette a ridurre i cosiddetti risk-weighted assets che stanno al denominatore dei capital ratios, cosa che appare loro – nelle attuali condizioni di mercato – meno arduo di un aumento dell’equity, ovvero del numeratore: si stima una riduzione dell’ordine di 2/3 mila miliardi di euro tra il 2011 e il 2013.

Non minori difficoltà vengono dai nuovi ratios di liquidità e dal costo crescente dei long-dated floating swaps. I volumi medi delle operazioni finanziate sono diminuiti drammaticamente e raramente vanno oltre i 7-8 anni. Il costo è cresciuto, e va da una media di 250-350 punti base fino a 500. Le banche fanno fatica a sindacare i prestiti. Cresce la vendita dei prestiti da parte delle banche sul mercato secondario.

Le due operazioni Ltro della Bce hanno “tamponato” la crisi di liquidità a breve, ma poco possono nel favorire maggiori finanziamenti di medio e lungo termine all’economia. Con Solvency 2, analoghe difficoltà incontrano tradizionali investitori di lungo termine, come i fondi pensioni e le assicurazioni vita. Restano le banche pubbliche di sviluppo (Bei, Bers, Kfw e le Casse depositi e prestiti), ma non possono far tutto da sole.

Che fare? Monti propone di escludere dal Patto di stabilità alcuni investimenti pubblici (per es. i Ten-T, i Ten-E e le reti NGN), almeno per alcuni anni: così delimitata e “mirata” (e auspicabilmente limitata alle infrastrutture “fredde”) è una proposta più che fondata; ma non sarà facile vincere le resistenze tedesche. Almeno per le grandi reti europee (Ten-T, Ten-E, e Ngn) è anche ragionevole riproporre il finanziamento mediante eurobond di progetti aventi adeguati requisiti di solidità e redditività, e dunque capaci di ripagare il costo del debito a tassi “europei”.

 

Franco Bassanini e Edoardo Reviglio, Il Sole 24 Ore

 

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