Senza voler essere esterofili a tutti i costi varrà la pena dedicare un pò di attenzione a quanto sta accadendo in Francia. I nostri cugini amano l’enfasi e lo sappiamo, quindi un pò di tara sulle loro affermazioni male non fa. Ma ieri Louis Gallois, ex amministratore delegato del colosso aeronautico Eads e delle ferrovie transalpine (Sncf), ha ultimato per conto del governo uno studio sulla competitività dell’industria francese e ha voluto lui stesso etichettarlo come «rapporto choc».
Di eclatante il lavoro di Gallois contiene un giudizio severissimo sulla concorrenzialità delle imprese transalpine e propone di impiegare la bella cifra di 30 miliardi per porvi rimedio.
Oggi si saprà quanto dei suggerimenti del top manager il governo ha intenzione di recepire con appositi provvedimenti ma intanto François Hollande almeno mediaticamente è uscito dall’angolo.
E ha ricominciato a parlare di crescita. È chiaro che i mercati giudicano la situazione francese complessivamente migliore della nostra – lo dimostra il differente livello dello spread – e Gallois può sparare cifre che lette al di qua delle Alpi fanno sorridere. Amaramente. Ma ciò che è interessante per noi di questa tranche del dibattito francese di politica interna è comunque il metodo.
In fondo, si potrebbe dire, il governo Monti aveva fatto qualcosa del genere, e in anticipo rispetto a Parigi, affidando al professor Francesco Giavazzi uno studio sul riordino dei trasferimenti pubblici alle imprese. Il rapporto è stato consegnato a fine giugno e oltre ad avere un telaio scientificamente valido conteneva una proposta concreta pro-crescita.
Ridurre drasticamente (di dieci miliardi) i sussidi alle imprese e utilizzare le somme risparmiate per tagliare le tasse. La Confindustria, che secondo alcuni avrebbe dovuto essere fieramente contraria, con un atto di onestà intellettuale si è dichiarata disponibile ad accettare metodo e merito della proposta Giavazzi ma per ora le notizie sul rapporto sono incerte, appare e scompare dal tavolo dei tecnici che stanno confezionando la legge di Stabilità e comunque il suo impatto è stato – sembra – fortemente ridimensionato.
È fin troppo facile lasciarsi tentare dal paragone con il governo di Parigi che impiega 24 ore per adottare il piano Gallois mentre da noi sono passati più di quattro mesi, ma la differenza in questo e altri casi la fa l’asimmetria tra la forza di un presidente votato dai cittadini e l’inevitabile leggerezza di esecutivo tecnico.
Dei 30 miliardi di euro indicati dal rapporto choc francese, secondo l’ex manager (ma il governo ha idee diverse), ne dovrebbero beneficiare sotto forma di riduzione della contribuzione sociale per 20 le imprese e per 10 i lavoratori entro un tempo massimo di due anni.
La stessa direzione dovrebbero prendere le misure di riduzione del cuneo fiscale che il governo Monti ha intenzione di inserire nella riscrittura della legge di Stabilità e che di conseguenza dovrebbero servire a dare più competitività alle imprese impegnate nell’export e più soldi nel portafoglio dei lavoratori dipendenti per sostenere la domanda interna.
Le risorse a disposizione sono limitate e quindi non si possono nutrire soverchie illusioni però la direzione è quella giusta. Anche perché l’allarme lanciato ieri dall’Istat ci dice che sulla disoccupazione non abbiamo (ancora) toccato il fondo.
La struttura produttiva italiana ha davanti a sé ancora mesi e mesi di sofferenza e vanno purtroppo messi in conto possibili contraccolpi negativi sui posti di lavoro. Tocca al governo muoversi per evitarli motivando il sistema delle imprese e scommettendo più di una posta sulla sua reattività.
Dario Di Vico, Corriere della Sera