Lapidazioni,divieto di musica e torture. Un inferno che si chiama Mali

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Lapidazioni, divieto di ascoltare musica eccetto quella religiosa, rigide regole per il comportamento di uomini e donne che non possono sedere uno accanto all’altro sugli autobus all’altro o camminare insieme se non sono sposati.

È questa l’orribile situazione in cui versa il Mali del Nord, dopo la rivolta armata che ha portato al potere gli indipendentisti tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) e le milizie islamiste di Ansar Eddin, di al-Qaeda nel Maghreb Islamico e del Movimento per l’unione e il jihad nell’Africa occidentale.

Ieri è stata uccisa a colpi di pietre una coppia la cui unica colpa era di vivere insieme senza aver contratto matrimonio. Si è trattato della prima lapidazione dopo l’entrata in vigore della sharia nei territori “liberati”.

I combattenti che controllano la zona – spiega Paule Rigaud, vice direttrice di Amnesty International per l’Africa – hanno instaurato un clima di paura e compiono innumerevoli violazioni dei diritti umani. Chi non è vestito nel modo giusto viene fermato e punito”.

Ma anche nel resto del Paese la situazione non è rosea. Oggi Amnesty International ha diffuso un rapporto sul Mali dopo aver compiuto una missione di dieci giorni nella capitale Bamako, sotto il controllo della giunta che ha preso il potere il 21 marzo. Sono state documentate decine di sparizioni, uccisioni extragiudiziali e torture commesse dalla giunta militare nei confronti di soldati e poliziotti fedeli all’ex presidente Touré e coinvolti in un tentativo di contro-colpo di Stato il 30 aprile.

“Le autorita’ del Mali hanno il dovere di indagare su tutti i casi che abbiamo documentato. I responsabili delle brutali vendette contro i promotori del tentato contro-colpo di stato devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni” ha dichiarato Gaetan Mootoo, ricercatore sull’Africa occidentale di Amnesty International.

I soldati arrestati all’indomani del tentato contro-colpo di stato del 30 aprile sono stati detenuti nella base militare di Kati in condizioni disumane e degradanti: 80 persone stipate in una cella di cinque metri quadrati, in mutande, costretti a fare i bisogni in buste di plastica e privati del cibo durante i primi giorni di prigionia.

Un ex detenuto ha denunciato i metodi di tortura usati per estorcere le confessioni:

Ci hanno detto di ammettere che volevamo fare il colpo di stato. Ci hanno fatti sdraiare, faccia in giu’, con le mani dietro la schiena legate ai piedi. Uno di loro ci ha infilato uno straccio in bocca spingendolo giu’ con un bastone. Non riuscivamo neanche a urlare. Ci hanno spento le sigarette addosso, uno di loro me l’ha spenta dentro un orecchio”. 

Un agente di polizia, che faceva parte del gruppo dei detenuti, ha descritto gli abusi sessuali: “Eravamo in quattro. Ci hanno ordinato di spogliarci completamente e di sodomizzarci gli uni con gli altri, altrimenti ci avrebbero ucciso. Mentre eravamo costretti a compiere quegli atti, le guardie ci urlavano di farlo più velocemente”.

Amnesty International ha raccolto i nomi di 21 detenuti scomparsi nella notte tra il 2 e il 3 maggio. Uno dei loro compagni di prigionia ha raccontato:

Alle 2 del mattino, hanno aperto la cella. Le guardie hanno iniziato a leggere una lista di nomi. A mano a mano, le persone chiamate uscivano fuori. Non abbiamo saputo piu’ nulla di loro”.

Il Mali ha ratificato ha ratificato la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata nel 2009. Ma già avevamo denunciato come negli ultimi mesi nel Paese stesse avvenendo la peggiore crisi dei diritti umani dall’anno di indipendenza, il 1960. La mancanza di cibo, la rivolta armata nel Nord e il colpo di Stato militare stanno uccidendo il Paese.

Le loro testimonianze, raccolte da una missione di Amnesty International che ha visitato il Mali e il Niger nelle ultime tre settimane, sono terribili:

Ecco quella di una studentessa di 19 anni rifugiatasi a Bamako:

Erano le 8 di sera, stavo andando a casa di un’amica con una compagna di scuola. Siamo state bloccate da una motocicletta con due tamasheq (i tuareg) e un’automobile piena di uomini armati e di donne fatte prigioniere. Uno dei due a bordo della moto indossava una divisa militare. Ci hanno detto che dovevamo andare con loro al campo perché avevano bisogno di donne. Abbiamo detto di no. La mia amica ha provato a dire una bugia, che era incinta. Uno dei tamasheq mi ha costretto a seguirlo in una casa disabitata. Gli ho detto che avevo le mestruazioni. Mi ha ordinato di stare zitta. Gli ho mostrato il sangue e mi ha chiesto ‘Che è quella roba?’ e poi mi ha stuprata”.

E quella di una ragazza di 16 anni, stuprata a Gao non appena la città era stata conquistata dai ribelli:

Sono arrivati in cinque, alcuni parlavano tamasheq e altri songhay. Mi hanno portato con la forza tra i cespugli e mi hanno stuprata. Mi hanno tenuto lì due giorni e mi hanno violentato molte volte”.

Incinta di quattro mesi, una ventiduenne di Gao racconta il suo incubo:

La mattina dopo l’attacco, ci hanno detto che potevamo andare alla sede dell’Ufficio per la distribuzione degli aiuti alimentari. Sono andata lì insieme a un’altra donna. All’arrivo, un ribelle ha iniziato a sparare in aria e la gente è scappata in tutte le direzioni. Alcune di noi sono state prese dai ribelli. Uno di loro parlava tamasheq, gli altri arabo e songhay. Hanno stuprato tante donne ma loro non hanno il coraggio di denunciare, si vergognano”.

Sia le forze armate regolari che i ribelli si sono resi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.

Nella città di Sevare, 630 chilometri a nord di Bamako, i soldati dell’esercito del Mali hanno compiuto pestaggi ed esecuzioni extragiudiziali contro civili accusati di essere spie dell’Mnla. Altri sospetti sono stati portati in locali non registrati come centri di detenzione, come la Direzione generale per la sicurezza dello stato.

Soldati maliani catturati dai gruppi armati sono stati a loro volta sottoposti a maltrattamenti e a esecuzioni sommarie. Due soldati catturati a gennaio, prima di essere rilasciati nel corso di uno scambio di prigionieri, hanno descritto le torture subite dai loro commilitoni, ad alcuni dei quali è stata squarciata la gola.

I delegati di Amnesty International hanno riscontrato la presenza di bambini soldato, alcuni anche di 12 anni di età, tra le fila dei gruppi armati tuareg e islamisti che hanno assunto il controllo del nord del Mali.

Una donna di Gao, madre di due figli di 16 e 14 anni, ha raccontato:

Ho visto ragazzini più piccoli dei miei figli andare in giro armati a bordo di automobili. Altri stavano ai posti di blocco”.

Amnesty International ha chiesto a tutte le parti in conflitto di rispettare il diritto internazionale umanitario e di prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili e i combattenti fatti prigionieri durante il conflitto. In particolare, ha sollecitato i gruppi armati che controllano il nord del Mali a porre fine alla violenza sessuale contro le donne e le ragazze e al reclutamento dei bambini soldato.

Cinque mesi maledetti, tra penuria alimentare, rivolta armata e colpo di stato militare, stanno producendo la peggiore crisi dei diritti umani in Mali dall’anno dell’indipendenza, il 1960.

È indispensabile, sottolinea l’organizzazione per i diritti umani, che le autorità del Mali e i gruppi armati consentano l’accesso illimitato delle Nazioni Unite e delle altre agenzie umanitarie alla regione settentrionale e nelle zone dove hanno trovato riparo i profughi interni e ai rifugiati.

Senza un’azione coordinata per proteggere i diritti umani, garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario e assistere i rifugiati, l’intera regione dell’Africa occidentale rischia la destabilizzazione a causa dell’instabilità politica, del conflitto armato nel nord e della crisi alimentare nel Sahel. La comunità internazionale sarà disposta ad ascoltare?

 

 

Monica Ricci Sargentini, Corriere della Sera

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