L’allarme di Habermas

Tratto da Liberal del 14 novembre 2011

di Gabriella Mecucci

Il grande filosofo Jürgen Habermas è uno dei pochi pensatori che continui ad intervenire sulle grandi questioni del nostro tempo. Lo fece nel 2004 nel suo dialogo con Ratzinger quando riconobbe che l’eccesso di secolarizzazione metteva a rischio le nostre società. Tanto da fargli ammettere – a lui non credente – l’utilità della presenza nel discorso pubblico delle religioni. Oggi interviene di nuovo su di un tema particolarmente caldo: il futuro dell’Europa. Due le questioni centrali secondo il filosofo francofortese: più democrazia nelle decisioni e “maggiore omogeneizzazione sociale”.

 

«L’attuale crisi economica – ha esordito in una lezione all’università Paris Descartes, che verrà pubblicata in Italia da Laterza – esige la massima attenzione. Ma al di là dei problemi contingenti, i leader politici non dovrebbero dimenticare i difetti strutturali dell’Unione monetaria, che non potranno essere eliminati senza un’adeguata unione politica. All’Unione europea di oggi mancano le competenze necessarie per armonizzare le economie nazionali, che sul piano della competitività sono ancora troppo eterogenee. L’ennesimo “patto per l’Europa” non ha fatto altro che accentuare un vecchio difetto: gli accordi non vincolanti tra i capi di governo sono inefficaci o antidemocratici. Per questomotivo devono essere sostituiti al più presto da istituzioni che possano prendere decisioni comuni e incontestabili».

Secondo Habermas, il governo federale tedesco è diventato il motore di una “desolidarizzazione” che coinvolge tutta l’Europa, perché da troppo tempo ignora l’unico elemento in grado di far progredire il Vecchio continente: ci vuole più Europa e meno nazionalismi. Habermas fa poi una lucida analisi della situazione attuale: «I governi coinvolti nel progetto europeo si ritrovano ormai sperduti, paralizzati di fronte a un dilemma: da una parte i diktat delle grandi banche e delle agenzie di rating, dall’altra la paura di una delegittimazione da parte della popolazione esasperata. Le soluzioni temporanee continuamente proposte tradiscono la mancanza di una prospettiva di più ampio respiro. La crisi finanziaria iniziata nel 2008 ha fossilizzato il meccanismo di indebitamento pubblico e a farne le spese saranno le generazioni future. In questo momento non si capisce come le politiche di austerity potranno mai coniugarsi nel lungo periodo con il mantenimento di uno stato sociale efficace». È in discussione quindi uno dei cardini del sistema di vita europeo, lo stato sociale, appunto, che caratterizza il Vecchio Continente più di ogni altro elemento. Considerata la gravità del problema, ci si aspetterebbe che i politici «si preoccupassero di mettere le carte in tavola per spiegare alla popolazione il rapporto tra i costi a breve termine e i vantaggi futuri di questo sistema, considerando che i popoli hanno il diritto di comprendere lo storico significato del progetto europeo». E invece – questo il severo giudizio di Habermas – «i leader del Vecchio continente scelgono di sottolmettersi a quel populismo che loro stessi fomentano, tenendo la gente all’oscuro di una realtà complessa e impopolare». Prende così il sopravvento un teoria nata nel diciannovesimo secolo che sostiene che «non esiste un popolo europeo e per questa ragione qualsiasi forma di unione politica sarà sempre utopistica». Ma Habermas vede in questa interpretazione un grave rischio perché «la storica frammentazione politica dell’Europa (e del mondo) è in contraddizione con la crescita sistemica di una società globale multiculturale, ed è un ostacolo per tutti i processi di civilizzazione giuridica e costituzionale delle potenze politiche e sociali ». Insistere dunque sui nazionalismi porta alla paralisi. Ma non si vince la scommessa europea se non si supera il modo di procedere che i leader hanno sin qui scelto: «Il fatto che finora l’Ue sia stata guidata e monopolizzata dalle élite politiche ha prodotto una pericolosa asimmetria: da una parte la partecipazione democratica dei popoli per fare in modo che i loro governi vadano a Bruxelles ad “arroccarsi” sulle proprie posizioni, dall’altra l’indifferenza e l’assenza di partecipazione dei cittadini dell’Ue al processo decisionale del Parlamento di Strasburgo». Habermas vede in questo metodi alcune delle ragioni che hanno fatto prosperare il populismo di destra che «continua a proiettare la caricatura dei grandi soggetti nazionali che si oppongono gli uni agli altri e impediscono la formazione di una volontà che vada oltre le frontiere»

Ma la crisi potrebbe paradossalmente costituire una richiesta di far crescere istituzioni democratiche europee: «Più i popoli si renderanno conto e i media evidenzieranno quanto le decisioni dell’Ue influiscono sulla nostra vita quotidiana, più crescerà la voglia dei cittadini dell’Unione di usufruire dei loro diritti democratici. Questo aspetto è diventato tangibile con la crisi dell’euro. La crisi costringe il Consiglio europeo a prendere suo malgrado delle decisioni che possono pesare in modo diseguale sui singoli bilanci nazionali. Dall’8 maggio 2009 il Consiglio è andato oltre un limite ben preciso prendendo decisioni cruciali per salvare alcuni paesi e modificare l’entità del loro debito pubblico. Inoltre, ha deciso di procedere sulla via dell’armonizzazione di tutto ciò che riguarda la competitività in politica economica, fiscale, del mercato del lavoro, sociale e culturale. Una volta oltrepassato il suddetto limite si pongono questioni legate all’equità della ripartizione. Seguendo questa logica, in quanto cittadini dell’Unione, i cittadini degli stati nazionali che subiscono gli effetti della ripartizione dei carichi vorrebbero dire democraticamente la loro su ciò che i loro capi di governo decidono nell’ambito di una sorta di “zona grigia”».

Se da una parte si sviluppa questa nuova domanda di democrazia, dall’altra assistiamo a «una serie di manovre dilatorie da parte dei governi e al rifiuto populista di una porzione di cittadini nei confronti del progetto europeo». Un comportamento autodistruttivo che «si spiega con il fatto che le élite politiche e i media esitano a comunicare le conseguenze positive di questo progetto». Habermas non trascura di prendere in considerazionen il tema del rappiorto fra strapotere dei mercati e sovranità popolare: questione che qualcuno ha posto anche di recente sia in riferimento al referendum greco che alla vicenda italiana: «Le pressioni dei mercati finanziari hanno evidenziato il fatto che in occasione dell’introduzione dell’euro è stato trascurato un presupposto economico dell’euro, l’impalcatura costituzionale: l’Ue non può garantire protezioni contro la speculazione finanziaria, a meno che non si assuma ulteriori responsabilità politiche». «Tutti i protagonisti di questa evoluzione europea sanno che un simile grado di “cooperazione rafforzata”- osserva Habermas – non è possibile nell’ambito dei trattati esistenti. Un “governo economico” comune, idea che piace anche al governo tedesco, avrebbe una conseguenza problematica: l’obbligo di tutti i paesi della comunità economica europea di essere competitivi si estenderebbe ben al di là delle politiche finanziarie ed economiche e andrebbe così a toccare i bilanci nazionali e quindi a cozzare contro il diritto dei parlamenti nazionali in materia di bilancio». Habermas usa a questo punto anche il grimaldello polemico: «Per evitare un gigantesco conflitto di competenze, l’unica (difficile) via da percorrere è quella di un trasferimento ulteriore di sovranità dagli stati membri all’Unione. Invece, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno trovato un compromesso tra il liberalismo economico tedesco e lo statalismo francese. Personalmente sono convinto che stiano cercando di forzare il federalismo esecutivo contemplato nel trattato di Lisbona per creare un dominio intergovernativo del Consiglio europeo contrario ai principi dello stesso trattato. Un regime di questo tipo permetterebbe di imporre i diktat dei mercati sui bilanci nazionali senza alcuna legittimazione democratica».

In questo modo, i capi di governo trasformerebbero di soppiatto il progetto europeo nel suo contrario: «la prima comunità sovranazionale democraticamente legittimata diventerebbe un’alleanza elitaria per esercitare un dominio postdemocratico». L’alternativa a questa prospettiva è rappresentata al contrario da più democrazia.Tuttavia, fino a quando continueranno a svilupparsi le disuguaglianze sociali ed economiche tra stati membri poveri e stati membri ricchi, non sarà possibile cementare la solidarietà europea. L’Unione – conclude Habermas – deve garantire «una omogeneizzazione delle condizioni di vita». Ed è questo – secondo il filosofo – il secondo elemento fondante del progetto europeo.


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