Il 29 dicembre si è avuta notizia dell’arresto della sorella del premio Nobel Shirin Ebadi, ed un collaboratore di Khamenei ha chiesto la pena di morte per i leader riformisti, mentre il Ministro degli esteri Mottaki ha violentemente attaccato le autorità britanniche per le critiche espresse in merito alla repressione in corso in Iran. Il 30 dicembre è stato organizzato a Teheran un corteo di pubblici dipendenti sostenitori della Guida Suprema. Inoltre, Teheran ha proceduto all’arresto di numerosi stranieri, accusati di aver avuto un ruolo significativo negli scontri degli ultimi giorni, e ha pubblicato altresì una lista nera di 62 emittenti, università e centri studi stranieri ugualmente accusati di tramare contro l’ordine interno iraniano: nella lista figurano televisioni satellitari come Voice of America e la BBC in lingua persiana, ma anche università come Yale e Stanford, e numerosi centri di ricerca e riflessione in materia internazionale famosi in tutto il mondo. Nella difficile situazione vi è stata anche la lettera di una novantina di insegnanti dell’università di Teheran, che hanno scritto alla Guida Suprema Khamenei denunciando gli attacchi che ogni giorno venivano perpetrati contro gli studenti.
Il 28 gennaio vi sono state due impiccagioni in relazione alle proteste di piazza dei mesi precedenti – anche se da diverse fonti si è appreso che entrambi i giustiziati erano stati arrestati già prima dei disordini succeduti alle elezioni del 12 giugno 2009. Particolarmente dura è stata la critica della Casa Bianca contro le due impiccagioni, con le quali il regime di Teheran avrebbe toccato il fondo della repressione e dell’isolamento.
L’11 febbraio si sono tenute nella capitale iraniana e altre importanti città del paese le celebrazioni per il trentunesimo anniversario della rivoluzione islamica: ancora una volta l’opposizione ha cercato di inserirsi nelle manifestazioni, ma in reazione si è registrata una dura risposta dalla polizia e dalle milizie filogovernative: il bilancio sarebbe, secondo alcune fonti, di tre manifestanti uccisi, tra cui una ragazza di 27 anni.
Anche nei riguardi della stampa estera il regime ha esercitato uno stretto controllo, impedendo ai giornalisti stranieri di mescolarsi ai manifestanti, e consentendo loro solo di raggiungere la Piazza Azadi, dov’era previsto il discorso di Ahmadinejad. Secondo alcuni siti Internet dell’opposizione a due suoi esponenti (l’ex candidato alle presidenziali Karrubi e l’ex presidente Khatami), ai leader dell’opposizione è stato impedito di unirsi ai loro sostenitori: il figlio di Karrubi sarebbe stato addirittura arrestato, mentre la cognata di Khatami, nipote dell’Ayatollah Khomeini ma di orientamento riformista, sarebbe stata costretta ad allontanarsi dalla piazza. Anche a seguito delle violenze contro le rappresentanze diplomatiche europee dei giorni precedenti (9 febbraio), i principali Paesi dell’Unione non hanno inviato rappresentanti diplomatici alle celebrazioni della rivoluzione, ma tale atteggiamento non è stato condiviso da una parte degli altri Stati membri della Ue, con particolare in riferimento a quelli di recente adesione dell’Europa centro-orientale. In ogni modo, l’Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Unione, Catherine Ashton, ha condannato le repressioni.
Il 15 febbraio a Ginevra, in preparazione della 13ma sessione (1°-26 marzo 2009) del Consiglio ONU per i diritti umani, la situazione dell’Iran è stata sottoposta al vaglio della Comunità internazionale, che da parte dei Paesi occidentali si è trasformato in un atto di accusa contro Teheran per le estese violazioni, particolarmente aggravate dopo lo scoppio in giugno del movimento di contestazione. Da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito l’Iran si è visto richiedere di accogliere una visita del Relatore delle Nazioni Unite sulla tortura, mentre la Francia ha sponsorizzato un’inchiesta internazionale sulla repressione degli ultimi mesi. La rappresentante dell’Italia, l’Ambasciatore presso le Organizzazioni internazionali site a Ginevra Laura Mirachian, ha posto l’accento sul sistematico ricorso iraniano alla pena di morte – anche nei confronti di minorenni – e sulla difficoltà di conoscere la sorte degli arrestati , come anche sul mancato rispetto dei diritti di minoranze religiose: tali pratiche rendono improponibile, secondo l’Italia, la candidatura di Teheran a far parte dei Consiglio per i diritti umani nel periodo 2010-2013.
Il 1º marzo nella sua casa di Teheran veniva arrestato il regista Jafari Panahi, uno dei più famosi dell’Iran, unitamente alla moglie, alla figlia e ad altre persone che si trovavano con loro. Panahi è stato vincitore nel 2000 del Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia con il film “Il cerchio”, che illustra la condizione delle donne in Iran: le sue opere sono state in generale boicottate nel paese, e alle presidenziali del 2009 il regista aveva sostenuto la candidatura di Mussavi, aderendo poi alle proteste contro la rielezione di Ahmadinejad. Tra le numerose reazioni di condanna a livello internazionale va segnalata quella delMinistro italiano ai beni culturali Sandro Bondi, che si è spinto fino a porre in discussione la futura collaborazione italo-iraniana nei settori culturali, qualora il Governo di Teheran non desista dalle repressioni, liberando anzitutto proprio Panahi.
Il 3 marzo è stata resa nota la conferma in appello della condanna a morte di un oppositore iraniano ventenne arrestato dopo le manifestazioni del 27 dicembre, la cui esecuzione è divenuta dunque possibile in ogni momento: già in precedenza, in febbraio, si era sparsa la notizia della condanna a morte di un altro oppositore ventunenne, appartenente a un’organizzazione monarchica e come tale ritenuto colpevole, per il quale pende tuttavia una richiesta di esame in appello.
Un forte richiamo al rispetto dei diritti delle donne iraniane è venuto in occasione dell’8 marzo da parte della moglie di Mussavi, la docente universitaria Zahra Rahnavard, che si è impegnata a battersi perché il movimento di contestazione includa tra i proprii progetti anche l’eliminazione delle leggi discriminatorie e tiranniche contro la libertà delle donne dell’Iran. In particolare la Rahnavard, sempre a fianco del marito dal momento delle presidenziali, ha sostenuto la necessità di migliorare le leggi che riguardano i divorzi, la custodia dei figli e il calcolo del valore pecuniario della vita di una persona nei procedimenti giudiziar – in cui oggi viene attribuita alle donne la metà del valore rispetto agli uomini. Un’altra battaglia, secondo la Rahnavard, dovrebbe riguardare l’elemento dell’età minima per essere considerati responsabili innanzi alla legge, che per le bambine scatta già dai nove anni, a fronte dei 15 anni per i maschi.
Come contributo al contrasto della spirale repressiva in Iran, e nell’ambito della battaglia per la libertà totale della Rete che ha condotto tra l’altro a notevoli frizioni con la Cina, l’Amministrazione statunitense ha esentato le imprese americane del settore dal rispetto dell’embargo nei confronti di paesi come Sudan, Cuba e Iran, in considerazione della valenza democratica degli strumenti veicolati da Internet – si ricordi infatti quanto in precedenza richiamato sulle azioni delle autorità di Teheran per oscurare sistematicamente siti Internet e telecomunicazioni di vario tipo nei giorni più caldi della protesta.