Estratto da “RIFORME ISTITUZIONALI per la TERZA REPUBBLICA“ di Pierluigi Mantini.
Le critiche da più parti mosse all’attuale legge elettorale sono note. D’altronde anche la fase politica del bipolarismo blindato sembra al declino e non più rispondente alle necessità del Paese.
Non è con un voto in più alla destra o alla sinistra, “l’un contro l’altra armata”, che può riprendere il cammino delle impegnative riforme economiche e istituzionali di cui il Paese ha bisogno.
Le critiche, speso intrise di “antipolitica”, verso un parlamento di “nominati dalle segreterie” si accompagnano a quelle verso l’abnorme premio di maggioranza che in realtà consegna il governo a sempre più esigue minoranze, ricattate dalle componenti più radicali e populiste.
Occorre un cambio di paradigma e ciò tanto più ove si consideri che dal superamento del bicameralismo paritario consegue per necessità una nuova legge elettorale.
Naturalmente la legge elettorale che proponiamo è coerente con il modello parlamentare perché i sistemi istituzionali possono essere diversi.
Come noto, «il presidenzialismo americano è la prima forma di questo tipo e deriva storicamente dal fatto che le Colonie di oltre atlantico liberandosi dalla sovranità della Corona britannica decisero di essere una “repubblica” avendo a capo quello che potremmo definire un re elettivo» (Paolo Pombeni).
Il presidente degli USA è infatti al tempo stesso, come il re tradizionale, il capo dello Stato e il capo del governo: i ministri rispondono a lui (anche se devono superare il vaglio del Senato per entrare in carica) ed è lui che determina principalmente la politica del paese. Il suo potere ha un’origine di legittimazione popolare perché è eletto dal suffragio universale. Il suo mandato è breve (tre anni) e la stessa persona non può essere eletta più di due volte, proprio per evitare la “corruzione” di un lungo potere personale.
Ovviamente nel sistema che è venuto perfezionandosi nei decenni il presidente ha bisogno di un rapporto forte con le due Camere rappresentative, ma appunto non per restare in carica, ma per farsi approvare le leggi che promuove. In tal senso, i poteri di bilanciamento delle camere sono molto forti, come pure dimostra il faticoso iter della riforma sanitaria voluta dal presidente Obama.
Si può dire invece che il semipresidenzialismo francese rappresenta una variazione del sistema americano adattato ad una “storia europea”. Introdotto da De Gaulle fra il 1958 ed il 1962 prende dal sistema americano la legittimazione diretta del Capo dello Stato da parte del voto popolare, cosa che conferisce, a chi lo detiene, un notevole carisma e ovviamente l’impossibilità di essere sfiduciato dal Parlamento.
Però in questo sistema il governo mantiene una posizione autonoma e distinta, fondata anche sulla fiducia parlamentare, oltre che sulla investitura da parte del presidente della repubblica (il governo deriva anch’esso da una investitura elettorale per quanto indiretta). Può addirittura succedere, sebbene gli artefici della costituzione non lo avessero previsto, che il primo ministro e il governo rappresentino una maggioranza politica di segno diverso rispetto a quella che ha eletto il presidente della repubblica (la cosiddetta “co-abitazione”). Resta tuttavia nelle mani del presidente la politica estera e l’indirizzo sulle principali scelte di politica economica e sociale.
Il modello del cancellierato tedesco non è in senso tecnico una forma di presidenzialismo, ma una forma in cui si rafforza il potere del primo ministro e del governo conferendogli di fatto una legittimazione elettorale e non solo parlamentare.
Ciò avviene per via indiretta: le elezioni determinano la coalizione vincente e il suo leader, ma il parlamento può “sfiduciare” il cancelliere e il governo in carica solo se è in grado contestualmente di eleggere un altro cancelliere (“sfiducia costruttiva”), altrimenti si deve andare ad elezioni anticipate (cosa che si fa poi comunque anche nei rari casi in cui scatti la sfiducia costruttiva). Da questo punto di vista il cancellierato tedesco può definirsi una versione formalizzata del sistema del premierato britannico: qui non c’è costituzione scritta, ma la prassi costituzionale che risale agli anni 80 dell’Ottocento, prevede che le elezioni si svolgano sempre sulla candidatura di un leader che se vince diventerà premier (contrazione di prime minister) e, se questi perde la fiducia del parlamento, si deve tornare al popolo per il giudizio delle urne.
Ferma restando la dignità dei modelli sommariamente richiamati, con i tratti peculiari e storici propri, noi esprimiamo una preferenza per il modello tedesco, più vicino alle esigenze attuali dell’Italia, sotto quattro profili:
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per la necessità di un premier forte, ma espressione di partiti e coalizioni e non eletto direttamente (Cancellierato);
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per il riconosciuto ruolo del parlamento, che tra l’altro ha nelle mani la “sfiducia costruttiva”;
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per il senato federale (Bundesrat) che può essere utile riferimento per il nostro Senato delle Regioni, sebbene il più forte contesto federalista determini la designazione, e non l’elezione, dei rappresentanti dei Länder, con compiti di governo e non solo legislativi;
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per la legge elettorale, che è proporzionale, con soglia di sbarramento, per evitare gli eccessi della frammentazione partitica.
Abbiamo avanzato, con spirito aperto, due proposte di legge elettorale in parlamento.