Con la mozione a sostegno delle libere professioni «vogliamo dare valore al settore variegato che costituisce il mondo delle professioni e che rappresenta un ingranaggio di qualità del sistema produttivo italiano. Ecco allora che chiediamo che, sin dalla prossima legge di bilancio, il Governo che, con le parole di Conte, si è impegnato in quest’Aula a dare attuazione in primis all’equo compenso, possa effettivamente già realizzarlo » ha affermato Chiara Gribaudo, parlamentare del Partito Democratico, durante l’intervento per la dichiarazione di voto a favore della mozione di cui è prima firmataria.
Resoconto stenografico dell’Assemblea
Seduta n. 248 di martedì 29 ottobre 2019
CHIARA GRIBAUDO (PD). Grazie, Presidente. Oggi, in quest’Aula, affrontiamo un tema a me molto caro, quello delle professioni, dei lavoratori e delle lavoratrici a partita IVA, al quale ho dedicato molto del mio impegno parlamentare fin dalla scorsa legislatura, non a parole ma costruendo politiche per i professionisti e con i professionisti.
Purtroppo, però, le mozioni che sono state presentate dalla destra – ahimè, per l’ennesima volta – si legano ad un grande equivoco dei bisogni del mondo contemporaneo delle professioni, ovvero che i loro problemi di reddito, di crescita, di sviluppo siano unicamente legati alla fiscalità. Questo è il grande comodo errore che la destra continua a compiere e lo ha fatto anche Salvini quando ha promosso l’estensione del regime forfettario chiamandolo impropriamente Flat tax, un regime già introdotto dai nostri Governi e che agiva, certo, sulla leva fiscale, ma, ripensato da voi, ha di fatto riportato il mondo degli autonomi a perdere stimoli nell’aggregazione, mentre invece ciò che serve sono competenze che si uniscono, perché nell’economia della conoscenza i saperi devono essere sommati per competere a livello globale e non isolati.
In un mondo che corre, rinchiudere ciascuno nel proprio recinto è esattamente la visione sovranista in salsa italiana che non sa andare oltre il proprio orticello. Diciamolo chiaramente: eliminare l’aliquota forfettaria del 20 per cento per i ricavi fino a 100 mila euro era doveroso, perché si tratta di una misura che legittima disuguaglianze, falsificando impropriamente la concorrenza e oggi voi ripercorrete lo stesso sentiero pericoloso perché mettete lavoratori in contrapposizione tra di loro, dipendenti contro autonomi. Fermiamo queste strumentalizzazioni, colleghi: è stato importante discutere delle professioni oggi, ma non mettiamo i lavoratori gli uni contro gli altri. La manovra finanziaria è un disegno complesso che darà risposte a milioni di persone, di lavoratori, di pensionati e renderà finalmente universale l’approccio agli strumenti di welfare familiare. Certo, occorre fare attenzione e in questo sentiero non va colpito chi non lo merita, mentre si correggono dei regimi che sono fortemente iniqui.
Per questo siamo soddisfatti della decisione del Governo di non cambiare le regole in corsa per centinaia di professionisti che hanno scelto il regime forfettario di 65 mila euro meno di un anno fa. Ma i problemi delle professioni non si risolvono sempre e solo spostando una aliquota o con uno spot.
Noi rivendichiamo anche un metodo, un metodo molto diverso, che ha portato alla legislazione della scorsa legislatura, che è stata citata – li ringrazio – dai colleghi di Italia Viva e dai colleghi di LEU. Questo metodo di confronto, di ascolto e di costruzione ci ha consentito di dare risposte vere, soprattutto alle generazioni più giovani, alla mia generazione, che più di altre ha pagato il prezzo delle trasformazioni del lavoro. Fino a pochi anni fa, a causa della spaccatura esasperata della crisi economica fra i diritti dei lavoratori autonomi e quelli dei lavoratori dipendenti, chi sceglieva di mettersi in gioco con le proprie competenze, con la voglia di fare e di aprire una partita IVA non aveva nessuna tutela di carattere sociale.
Ebbene, nella scorsa legislatura, abbiamo voluto sanare quella frattura e lo abbiamo fatto con la legge n. 81 del 2017, il cosiddetto Jobs Act del lavoro autonomo, che con il metodo poc’anzi ricordato ha finalmente esteso diritti come la maternità, la malattia, l’infortunio a chi ne era sempre stato privo, e non a caso è stata citata nella mozione di ciascuno di voi. Con quella legge noi abbiamo investito risorse non per aumentare disuguaglianze attraverso il fisco, ma per incentivare la formazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) fino a renderla deducibile fino a 10 mila euro l’anno e lo abbiamo fatto anche per dare nuove opportunità ai professionisti; anche per questo li abbiamo equiparati alle piccole e medie imprese dando loro la possibilità di accedere ai finanziamenti europei.
Noi, poi, a differenza di altri, abbiamo sì corretto le distorsioni della riforma Fornero, senza tuttavia creare altre ingiustizie. Abbiamo riportato l’aliquota previdenziale al 25 per cento, mentre invece sarebbe cresciuta fino al 33 per cento: prima l’abbiamo fermata al 27 e poi l’abbiamo fermata e bloccata definitivamente al 25 per cento nella legge di bilancio 2017. Inoltre abbiamo introdotto nell’ordinamento, dopo anni di difficili discussioni, il principio dell’equo compenso, che è stato citato anche qui da tutti. Vorrei sottolinearlo perché è stato citato da destra e da sinistra da persone che sono da ben più tempo della sottoscritta in Parlamento, che tuttavia hanno considerato per molti anni questa battaglia sbagliata. Mi fa piacere che oggi ci sia questa unanimità: spero che non sia solo a parole ma che sia nei fatti. Rivendico quella battaglia perché quel principio, oggi citato da tutti, è un principio costituzionale che attende di essere attuato per tutte le categorie professionali e che noi abbiamo introdotto nel decreto fiscale del 2017 e al quale non è stato dato alcun seguito dal Governo precedente. Lo dico perché è un principio di giustizia sociale. È tuttavia un dibattito su cui la discussione è ancora molto aperta: ci sono moltissime voci autorevoli che continuano a sostenere che la vera concorrenza stia nel poter offrire sempre un prezzo più basso e che la vera libertà per i giovani stia nel poter fare prezzi da fame o, addirittura, di lavorare gratis. Ma come si fa, dopo dieci anni di studio e praticantato, ad avere la forza economica per lavorare gratis o per pochi soldi e fare concorrenza attraverso i grandi committenti o magari nella pubblica amministrazione con studi professionali che hanno trenta-quaranta anni di esperienza? Evidentemente non è fattibile e lo sappiamo.
Ed è per questo che il primo datore di lavoro, che è il datore di lavoro pubblico, non deve sfruttare questa debolezza dei giovani professionisti. La mancanza di parametri legittima soltanto la legge del più forte. Ecco allora, colleghe e colleghi, che credo sia proprio questa, oggi, tra le tante battaglie, quella su cui non possiamo più arretrare perché il lavoro è lavoro e, come tale, deve essere pagato e non sfruttato soprattutto, ripeto, dallo Stato. Non servono nuove leggi: lo dico per i colleghi che ho sentito dire, in quest’Aula, che hanno presentato nuove proposte di legge. Le leggi, come avete citato nelle vostre mozioni, ci sono già. Non servono quindi altre scuse: serve procedere con l’emanazione del decreto, parametri indicati dalle norme che sono state introdotte precedentemente e i luoghi della discussione ci sono. Certo c’è il Ministero della Giustizia e sappiamo che si sta facendo un lavoro ma dico che c’è anche il Ministero del Lavoro e su questo invito il Governo a convocare quanto prima il tavolo dei professionisti, così come prevede la legge n. 81 all’articolo 17: quell’articolo che abbiamo voluto perché il mondo delle professioni è cambiato, si è allargato e vanno rispettate, e a tutti deve essere dato pari spazio e pari dignità, perché il lavoro autonomo cambierà ancora e noi abbiamo il dovere di farcene carico.
Ci sono poi altre storture da correggere e cambiamenti del mondo del lavoro ai quali le leggi devono adeguarsi. Per questo, unitariamente con le forze di maggioranza, oggi esprimiamo indirizzi chiari al Governo per la valorizzazione del mondo delle professioni e per proseguire nell’opera di universalità dei diritti del lavoro. Chiediamo l’impegno a confermare e completare la rivoluzione universalistica del welfare perché alle casse professionali sia consentito di erogare forme di sostegno ai propri iscritti prevedendo l’eliminazione della doppia tassazione sui rendimenti degli investimenti, attraverso la riduzione progressiva dell’aliquota al 26 per cento. Lo Stato, per le professioni prive di casse, deve fare la sua parte a partire dal riordino e dall’unificazione degli strumenti di sostegno alla famiglia che non dovranno più riguardare solo i dipendenti, ma anche i titolari di partita IVA. C’è la gestione separata dell’INPS da allargare per rendere più forti maternità, tutelare la malattia a garanzia del reddito per le partite IVA non ordiniste, vista anche la recente sentenza della giustizia europea che sancisce il diritto dei lavoratori autonomi a godere di un assegno di disoccupazione come avviene per i lavoratori dipendenti. Il sostegno ai professionisti in difficoltà deve essere potenziato e devono essere individuati strumenti per affrontare seriamente il ritardo dei pagamenti, non solo della pubblica amministrazione, ma anche e soprattutto tra i privati.
Non possiamo poi non ricordare la necessità di un confronto serio e oggettivo per arrivare a una vera semplificazione fiscale, come hanno chiesto in particolare i commercialisti a proposito della revisione del sistema degli ISEE e dell’emanazione dell’obbligo di trasmissione delle liquidazioni trimestrali dell’IVA che, date tutte le novità in materia di fatturazione elettronica, pare a questo punto superflua.
Potrei andare avanti gli impegni sono tanti: rivediamo i codici Ateco per venire incontro alla grande trasformazione tecnologica delle professioni ma non mi dilungo oltre, Presidente, so che ho poco tempo. Mi faccia però dire che noi non accettiamo che si riducano le rivendicazioni dei professionisti ad una mera battaglia fiscale o ad uno scontro tra lavoratori con nomi diversi, ma con gli stessi bisogni. La diversità del nostro approccio, cari colleghi, sta proprio nel fatto che, come ci ha insegnato Bruno Trentin, per noi mettere al centro i diritti del lavoro vuol dire mettere al centro i diritti della persona, intesi come diritti universali e indivisibili di cittadinanza, e, per questo, non riusciamo a vedere muri tra autonomi ordinisti e non ordinisti, tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. La sinistra è da sempre dalla parte di chi vede nel lavoro una forza di emancipazione e di affermazione della propria dignità e non cambia niente se chi lavora sta in una catena di montaggio o ha la partita IVA.
Noi con l’ascolto e il confronto, un metodo condiviso, vogliamo davvero dare valore al settore variegato che costituisce il mondo delle professioni e che rappresenta un ingranaggio di qualità del sistema produttivo italiano. Ecco allora che chiediamo che, sin dalla prossima legge di bilancio, il Governo che, con le parole di Conte, si è impegnato in quest’Aula a dare attuazione in primis all’equo compenso, possa effettivamente già realizzarlo e, con questa mozione, diamo indirizzi precisi.
Per cui esprimo voto favorevole e ringrazio ancora il Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).