La crisi morde la vita della gente la politica non si lasci schiacciare serve una democrazia sostanziale

scola angelo Non ci si può appiattire sulla crisi.

Il cardinale Angelo Scola a Londra, alla Camera dei Lords, parla della sua Fondazione Oasis,e del confronto tra fedie culture diverse. Ma l’ arcivescovo di Milano non dimentica la crisi italiana che, dice in questa intervista a Repubblica, «morde la carne di tante persone».

Manca una visione, spiega. E aggiunge: «Ci vuole una nuova cultura politica».

Cardinale, per lei il dialogo interreligioso passa attraverso la cultura. Ma è un approccio sufficiente?

«Quello che io chiamo meticciato di civiltà implica un confronto continuoa tutto campo con altre fedi. Il terreno su cui questo avviene è per l’ appunto la “cultura” intesa come esperienza di vita».

E dall’ incontro di oggia Londra che risultato si aspetta?

«Vorrei partire dall’ idea di fondare Oasis, che mi venne nel 2000, a Damasco».

Terra di folgorazioni…

«Esattamente. Quel giorno e lì, a tavola dal nunzio, c’ erano sette vescovi di vari riti cattolici e nacque una discussione perché alcuni di loro lamentavano la mancanza di aiuto culturale da parte delle Chiese occidentali. E io: ma come? In inglese si trova tutto… Ci fu una levata di scudi: ci piacerebbe non essere mediati da una lingua che nonè una delle nostre».

Era il momento di intervenire?

«Ho provatoa vedere che cosa riuscivo a fare, ma non trovavo i mezzi. Due anni dopo, nominato a Venezia, la possibilità è riemersa per la peculiare natura di Venezia».

Di ponte.

«Abbiamo deciso di cominciare dalla rivista, in cinque lingue: italiano, francese, inglese, arabo e urdu. Oggi la Fondazione Oasisè un centro veroe proprio con una rete di persone che vanno da Singapore fino agli Stati Uniti, e il mondo musulmano».

Sul tema della libertà religiosa il 2013 sarà l’ anniversario dell’ Editto di Costantino (o di Milano) sulla tolleranza. Come ci può aiutare oggi quell’ evento, visto che ci sono aree del mondo attraversate dalla violenza religiosa, per ultimo la Nigeria?

«Ci aiuta se abbiamo coraggio in due direzioni. Primo: rifare tutto il percorso che si è sviluppato dopo l’ Editto. Secondo: vedere quello che abbiamo ancora davanti tutti noi, con non pochi nodi irrisolti».

E i nodi di Milano, dove lei è arcivescovo ormai da un anno e mezzo?

«Milano sta configurandosi come una metropoli che scopre il suo nuovo volto di città plurale, in cui si incontrano mondi e credi diversi: cristiani di altre Chiese e confessioni, musulmani, induisti, buddisti».

Qual è la via d’ uscita?

«Anzitutto riconoscere un dato sociale: tutti noi dobbiamo stare insieme. Dobbiamo trovare un criterio che ci consenta una vita buona anche dentro la società plurale. Dove soggettività diverse si narrino e si lascino narrare. Non bisogna neutralizzare nessuna visione, nemmeno il fenomeno religioso. Certo, anche noi come Chiesa risentiamo un po’ del problema di tutta la società milanese. Ci sono tanti frammenti positivi, ma nei frammenti non brilla il tutto».

Non c’ è un insieme?

«Manca visione. Per esempio occorre in generale, parlo di tutto il Paese, una nuova cultura della politica. Questo è il punto».

La politica ha bisogno dell’ insieme?

«Sì, non ci si può lasciare schiacciare sulla crisi finanziaria, che pure va presa di petto con estrema serietà. Parlando di una nuova cultura politica intendo dire che dobbiamo partire dai centri di potere effettivi. Che oggi sono dislocati. Una volta ho parlato della guerra dello spread, si potrebbe parlare del fatto che l’ unica sovranità che resta al Paese è quella del debito pubblico».

Dopo la fine dell’ ideologia questo dovrebbe essere il punto di incontro?

«Noi ci aspettavamo che incominciasse un nuovo “paradiso terrestre”. E invece ci siamo trovati di fronte all’ inedito del post-moderno. Quando mai prima l’ uomo aveva messo le mani sulla sua stessa generazione? Quando mai avevamo assistito a un meticciamento così imponente di civiltà?».

Però la piazza pubblica rischia di essere vuota. E la gente sta perdendo fiducia nella democrazia…

«Certamente. Questo in buona parte a causa degli errori dei politici e della debolezza di noi tutti. E l’ uomo post-moderno è un po’ come un pugile che ha preso una gragnuola di colpi sul ring, è ancora in piedi ma barcolla. Noi siamo in questa fase, tutti quanti, e chi vende certezze a buon mercato sbaglia pesantemente. E’ assolutamente necessaria una democrazia sostanziale, dalle libertà realizzate, non solo conclamate. Questa crisi morde la carne di tante persone: giovani fermi sul posto, gente che perde il lavoro in età intermedia, pensioni troppo ridotte per le fasce deboli».

Lei è un uomo di fede, ma guardando al bene comune, questa crisi della democrazia, questa sfiducia nella politica, nonè un problema di destrao di sinistra, è una corrosione dei fondamenti. La preoccupa?

«Sì, è il segno di una crisi strutturale. Il partitoè una forma che va ripensata. Però io continuo a credere che la società civile italiana sia una grande risorsa».

Per centralità e ricchezza, disponibilità, energia?

«La nostra fede è molto realista e ci insegna che un principio di male c’ è in tutti. Si è disonesti anche quando non si paga l’ Iva, non solo quando si prendono i milioni. Mi aspetto molto per il Paese se realtà associate, forze politiche, imprenditoriali, economiche, sociali, culturali, artistiche, eccetera, assumono questo tipo di visione più larga».

Eminenza, le piazze si svuotano, ma non sempre le Chiese sono piene. Ci sono momenti di difficoltà che i fedeli incontrano, al di là di casi eclatanti come la pedofilia o le carte trafugate dall’ Appartamento del Papa. Quali elementi vi contribuiscono?

«Ma il male è anche negli uomini di Chiesa. Il “personale” della Chiesa è fatto di poveri uomini, uomini che sbagliano talora molto. Giovanni Paolo II ha però formulato la tesi profonda: il male si batte circondandolo da ogni parte con il bene. Anche Benedetto XVI è intervenuto fortemente con il tema della necessaria purificazione».

E il peccato pubblico? La Chiesa è spesso troppo indulgente. Prenda i casi di corruzione della Lombardia, che determinano quella sfiducia anche nella democrazia, parliamo sia di Penati che di Formigoni.

«No, io penso che in tutti i casi la Chiesa la denuncia l’ abbia fatta. Poi devi dare a chiunque la possibilità di difendersi e in ogni caso di ritrovarsi. Ma credo che non si debba assolutamente sottovalutare il fenomeno corruttivo, farlo sarebbe un errore gravissimo, bisogna combatterlo, ognuno a partire dalla posizione che occupa».

Milano è particolarmente malata in questo momento di corruzione, di sfiducia?

«Se non si rinnova la politica attraverso una nuova cultura non sarà possibile creare soggettività sociale nuova. Io resto fiducioso. Abbiamo davanti una fase che sarà delicata da qui fino a giugno per tutto il Paese. Però Milano è chiamata a giocare un grande ruolo».

La crisi finanziaria non rischia di essere qualcosa che il cittadino non sente di poter padroneggiare?

«Di fatto è così. Non è giusto che una cosa che tocca tutti così da vicino rimanga ancorata a un linguaggio criptico, basti vedere gli inglesismi e le sigle».

Si chiedono sacrifici per le difficoltà, ma non la loro comprensione.

«Come dire: pagate tutti, ma le leggi le detto io. L’ altra cosa molto grave è che c’ è una concezione del mercato come fosse un fatto di natura, mentre il mercato è un fatto di cultura, destinato ad evolvere, a cambiare».

Ed è comunque solo uno strumento.

«Esattamente».

Non è il soggetto finale. Sarebbe una nuova ideologia.

«Ma è un po’ una nuova ideologia, diciamolo».

Marco Ansaldo, La Repubblica

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