Le proposte del PD al governo Monti
Nelle ultime settimane, dopo aver adottato una serie di misure per l’equità e la crescita rivolte in particolare al Mezzogiorno, il governo ha annunciato l’intenzione di presentare al Parlamento un provvedimento finalizzato alla valorizzazione del merito nel sistema dell’istruzione. Proprio in questo momento drammatico per la tenuta del nostro sistema economico e sociale, è fondamentale attivare tutti gli interventi capaci di generare una nuova fase di sviluppo.
Gli obiettivi ambiziosi dell’UE per il 2020 (innalzamento al 75% del tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni, contrasto alla povertà, investimenti in ricerca e innovazione) stavolta non possono restare sulla carta. Alla base di questi sta l’innalzamento del livello di istruzione: riduzione degli abbandoni scolastici sotto il 10%, aumento al 40% dei laureati.
I dati sono impietosi: il nostro Paese è molto indietro, il governo Berlusconi ha trasmesso all’Unione Europea obiettivi per il 2020 inferiori alle medie raggiunte dagli altri Paesi già nel 2010. E soprattutto, riguardo all’istruzione universitaria, stiamo paurosamente arretrando: il drastico calo delle immatricolazioni nell’ultimo decennio (circa il 20% in meno) testimonia un’intollerabile decrescita culturale e sociale, in cui l’alta formazione tende a trasmettersi nuovamente per censo.
Si può ormai fare un bilancio della “Grande Riforma” Gelmini: l’università italiana è bloccata da procedure macchinose e interminabili, che non ci consegnano un sistema più efficiente, ma più asfittico e di minor qualità, oltre a una generazione perduta di ricercatori.
Nel Programma Nazionale di Riforma il governo ha mostrato attenzione a questi temi, marcando essenziali discontinuità, sostenendo il valore sociale dell’istruzione e il rafforzamento del diritto allo studio. Non basta. Ora si deve cogliere l’opportunità di un nuovo intervento in materia di istruzione per adottare una serie di misure strategiche e interventi urgenti, oltre che possibili in queste condizioni finanziarie.
Siamo consapevoli che il capitale umano si qualifica con una “veduta lunga” che richiede un’azione costante e pluriennale. È il lavoro che ci attende, al quale siamo pronti.
Ma è urgente, oltre che lanciare un grido d’allarme, trovare fin da subito l’energia per ripartire: per questo avanziamo una serie di proposte che per noi rappresentano le priorità di intervento per invertire la rotta. Si tratta di misure che corrispondono agli obiettivi di valorizzazione del merito che il governo intende perseguire, in quanto finalizzate a aprire maggiori opportunità ai “capaci e meritevoli”, al talento e all’impegno delle persone, a prescindere dalla loro condizione socioeconomica. Per l’università è una questione di sopravvivenza, ma può essere anche un primo passo per costruire una società più istruita, più giusta, più ottimista.
Più studenti, più laureati: il diritto (costituzionale) di completare gli studi
Il ritardo dell’Italia rispetto ai principali paesi europei è impressionante. Limita la possibilità di accesso all’istruzione universitaria a molti giovani, strozza la mobilità sociale, frena l’emersione dei talenti. I dati sono noti: la percentuale di borsisti si ferma al 7% con un finanziamento pubblico di 258 milioni di euro, contro il 25,6% della Francia (1,6 miliardi), il 30% della Germania (2 miliardi) e il 18% della Spagna (943 milioni). Inoltre, negli ultimi cinque anni il dato dell’Italia è diminuito dell’11,2%, mentre negli altri paesi si è avuto un netto incremento: in Francia del 25,9%, in Germania del 18,6%, in Spagna del 39%. Evidente il legame con il calo delle immatricolazioni, scese ad una percentuale del 29% dei diciannovenni. 1. Proposte Programma nazionale per il diritto allo studio e il merito, che si affianca al sistema regionale, fondato sui seguenti punti:
- assegnazione di borse annuali in tempo utile per poter scegliere ateneo e corso di laurea (orientativamente entro il 31 marzo).
- trasformazione della Fondazione per il merito in “Fondazione per il merito e il diritto allo studio”, con il compito di gestire il programma e l’erogazione dei prestiti d’onore;
- risorse: oltre 500 milioni all’anno per i primi 3 anni, oltre a prestiti d’onore, provenienti per: – Oltre 500 milioni da fondi premiali e altre attribuzioni non indirizzate direttamente a università del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) e da tasse studentesche – 50 milioni dall’eventuale incremento dei fondi per l’università – Un importo analogo a quello delle borse di studio (oltre 500 milioni) di prestiti d’onore (con meccanismi di garanzia pubblica) – Eventuali ulteriori risorse derivanti da donazioni da parte di finanziatori privati (utilizzando lo stesso regime fiscale agevolato dei versamenti per Onlus)
- i prestiti d’onore intervengono in una percentuale variabile da in base all’operare congiunto dei criteri di reddito e merito. Entro il livello ISEE per le borse a livello regionale si erogano solo borse a fondo perduto, senza obbligo di restituzione, e poi gradualmente, in base ai criteri ISEE e merito, intervengono i prestiti d’onore. Il sistema dei prestiti d’onore è indirizzato anche al supporto dei percorsi post-laurea. In ogni caso i prestiti non devono essere finalizzati al pagamento delle tasse universitarie, per le quali deve essere mantenuto il limite del 20% rispetto al FFO e devono poi essere restituiti nel corso della vita lavorativa in maniera proporzionale al reddito.
- si confermano ovviamente le disposizioni secondo le quali, fatti salvi i criteri di merito, il mantenimento dell’assistenza è legata alla regolarità negli studi.
- estensione del sistema di sostegno del Programma nazionale di diritto allo studio anche agli alloggi (collegi, case studente, affitti calmierati). Equità, progressività, redistribuzione nei sistemi di tassazione: maggiore uniformità (definizione di criteri analoghi) dei sistemi di contribuzione studentesca attraverso le tasse, con incremento graduale della tassazione all’aumentare dell’ISEE, e – al fine di evitare che si produca un effetto redistributivo “inverso”, individuazione di una soglia (elevata) di ISEE oltre la quale la tassazione sia superiore del 50% rispetto al tetto massimo di tassazione individuale (quota da incrementarsi ulteriormente oltre il primo anno fuori corso). Tali risorse non vengono computate ai fini della soglia complessiva del 20% di tasse studentesche – regola da mantenere ferma, con rigorosa verifica del suo rispetto – e devono essere destinate esclusivamente al welfare studentesco. Erasmus e, nel Mezzogiorno, Master and Back: sostegno ai periodi universitari di studio all’estero (Erasmus), e, a partire dalle regioni del Mezzogiorno, meccanismi sul genere “Master and back” per la formazione post-universitaria con l’utilizzo dei Fondi strutturali UE.
L’alta formazione: sostenere e valorizzare il dottorato di ricerca
In Italia il dottorato non è ancora considerato un valore aggiunto nel mondo del lavoro, non è ancora decollata una seria politica di accreditamento delle sedi, mancano linee guida uniformi, sono pressoché assenti politiche di diritto allo studio per i dottorandi. La possibilità di frequenza dei corsi di dottorato è quindi legata alle condizioni economiche individuali o familiari, dato che le borse sono insufficienti e erogate a un numero sempre minore di dottorandi.
Proposte
- Dottorati a tempo pieno e con borse di studio. Il dottorato di ricerca è un’attività da svolgere a tempo pieno e con una dote finanziaria di base: o una borsa di dottorato, o – come accade in altri paesi – integrazione delle borse con altre forme di compenso legate ad attività didattiche o di tutoraggio/orientamento.
- Il Dottorato di ricerca forma una nuova generazione di funzionari pubblici:
- nei concorsi pubblici, tra i titoli culturali e professionali un punteggio significativo (30%) deve essere riservato al dottorato di ricerca:
- programma “Eccellenze nelle PA” (MIUR/Funzione pubblica) per immettere studenti, selezionati attraverso valutazioni competitive all’ultimo anno di università, in percorsi di formazione per l’accesso come dirigenti e quadri nella PA (si prevedono tre anni di studio attraverso dottorato di ricerca o in forme miste dottorato universitario/scuole di formazione PA, con periodi di 6 mesi all’estero e 6 mesi di formazione attiva presso le PA).
- Valorizzare l’aspetto formativo del dottorato attraverso controlli nell’accreditamento, in modo che tutte le sedi prevedano anche percorsi didattici e contemplino la frequenza di corsi e seminari destinati ai dottorandi.
- Obbligo di svolgere un periodo di studio all’estero (minimo 6 mesi) per il conseguimento del titolo di dottore di ricerca.
I giovani ricercatori e le carriere
A 15 mesi dall’entrata in vigore della legge 240 è possibile tracciare un bilancio fallimentare per il percorso di reclutamento disegnato dalla “riforma”.
L’analisi quantitativa dei bandi da Ricercatore a Tempo Determinato (RTD) emanati dalle università dimostra che queste hanno attivato in modo pressoché esclusivo i non impegnativi contratti di tipo “a”, mentre il numero di bandi per i contratti di tipo “b” resta irrilevante.
Le principali cause di questo fallimento sono due: la pretesa di riformare il sistema universitario in condizioni di progressivo de finanziamento, che ha impedito agli atenei di programmare un numero adeguato di impegnative posizioni “con tenure” destinate a trasformarsi in posti da professore associato; i potenziali conflitti fra i nuovi RTD e i Ricercatori a Tempo Indeterminato messi ad esaurimento, acuiti dai ritardi nello svolgimento del reclutamento straordinario di professori associati.
Al momento, la complessità dell’attività di programmazione sta bloccando i processi di reclutamento, e la confusione è massima, tra compresenza dei Ricercatori a Tempo Determinato di tipo a) e b), norme transitorie che consentono ai vecchi precari di accedere direttamente ai contratti di tipo b), reclutamento straordinario di professori associati, possibili chiamate dirette destinate agli attuali ricercatori a tempo indeterminato, concorsi che consentono l’accesso diretto alle posizioni di professori.
L’abolizione della figura del Ricercatore a Tempo Indeterminato richiederebbe invece l’introduzione di meccanismi di tenure track realmente funzionanti, per gestire i flussi contemporanei verso la posizione di professore associato degli attuali Ricercatori a Tempo Indeterminato e dei nuovi ingressi, allo scopo di offrire concrete prospettive di carriera ai primi senza creare tappi o periodi di chiusura del reclutamento di nuovo personale.
Proposte
- Concentrazione di tutte le figure post-doc in due tipologie
- a) Un Contratto unico di ricerca, di natura subordinata e a causa mista, di durata minima annuale (e massima quinquennale) dotato di tutte le garanzie riconosciute agli altri dipendenti delle università (ferie, maternità, previdenza) e del diritto all’accesso alle stesse forme di sostegno al reddito rivolte ai lavoratori precari nel resto del mondo del lavoro. I titolari di Contratto unico di ricerca dovrebbero avere il diritto di ricevere e gestire fondi di ricerca e dignità e prestigio pari ad analoghe posizioni all’estero. Il contratto unico di ricerca dovrebbe applicarsi agli attuali assegnisti, agli attuali contratti a TD di tipo a) e ai vincitori di bandi nell’ambito di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione finanziati dall’Unione Europea o dal MIUR, per i quali devono valere le regole di chiamata specifiche relative ai profili richiesti per ciascun progetto.
- b) Professori junior in tenure track: i percorsi a Tempo Determinato, a cui si accede attraverso valutazioni comparative, devono prevedere fin dall’inizio un meccanismo di tenure track ed impegnare gli atenei a offrire al titolare dei contratti la possibilità di arrivare, previe periodiche valutazioni favorevoli, all’inserimento stabile nei ruoli universitari, attraverso un meccanismo di accantonamento progressivo e scaglionato nel tempo delle risorse necessarie all’inserimento finale nel ruolo di professore associato.
- Sbloccare le risorse per i giovani e separare reclutamento e avanzamenti: intervenire sulle regole di distribuzione delle risorse fra posizioni a TD, associati e ordinari contenute nella legge 240/2010, per investire sui nuovi ingressi ed evitare un blocco “de facto” del reclutamento che innalzerebbe ulteriormente l’età media del corpo docente più anziano d’Europa.
- Investire sulla mobilità. Ad oggi l’unico sostegno alla mobilità è rappresentato dalle disposizioni “anti inbreeding” contenute nella legge 240, che impongono a ciascuna università statale di vincolare le risorse corrispondenti ad almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di esterni. Si tratta di una norma ancora numericamente insufficiente, che curiosamente non si applica alle posizioni iniziali delle carriere (quelle da RTD). Pur tutelando le situazioni degli studiosi che hanno compiuto notevoli investimenti professionali e si trovano in età nelle quali non sempre può essere agevole essere costretti a spostarsi, per il futuro occorre estendere progressivamente l’efficacia delle disposizioni anti inbreeding puntando verso un sistema di tipo tedesco, impedendo lo svolgimento di tutta la carriera sempre nella stessa sede.
- Bandi nazionali per posizioni post-doc e di “tenure track” che offrano ai vincitori il budget economico e i fondi di ricerca, lasciando loro la possibilità di scegliere in autonomia l’ateneo presso il quale svolgere la propria attività (escluso l’ateneo di origine), consolidando il budget legato alla posizione nel FFO. Tale iniziativa sarebbe in grado di contemperare l’autonomia universitaria con lo svolgimento di procedure nazionali, contribuirebbe a scardinare il localismo delle carriere e costituirebbe un elemento di competizione fra atenei, che sarebbero incentivati a costituire strutture e contesti in grado di attrarre i vincitori dei bandi nazionali.
- Restituire opportunità di carriera al personale universitario: abilitazioni e piano straordinario per gli associati. Si tratta di un tema transitorio, ma di estrema rilevanza per l’attuale personale docente e ricercatore. Da troppi anni, prima nell’attesa della riforma e poi a causa dei ritardi nella sua attuazione, le procedure concorsuali per gli avanzamenti di carriera sono di fatto bloccate. Si deve quindi porre fine ai ritardi nell’emanazione dei provvedimenti necessari per l’avvio delle abilitazioni nazionali e accelerare l’attuazione del piano straordinario per la chiamata di professori associati previsto dalla legge 240 (che è opportuno sia esteso di un anno, con un investimento di ca. 100 mln di euro in più).
La circolazione dei talenti: apertura internazionale, mobilità di studenti e ricercatori
Il sistema universitario italiano è troppo chiuso: attrazione di studenti stranieri minima, carriere all’interno dello stesso dipartimento in cui ci si è laureati, scarso afflusso di ricercatori e dottorandi dall’estero, da altri atenei e da altre facoltà dello stesso ateneo, burocratismi bizantini (per esempio, un vincitore di ERC Grant non può utilizzare i propri fondi per pagare il proprio contratto, se non passando attraverso un concorso gestito da altri). Mentre in Europa nasce lo “spazio europeo dell’istruzione superiore”, noi dobbiamo consentire a studenti e ricercatori italiani di entrare a pieno titolo in un sistema di circolazione internazionale, colmando il nostro grande ritardo (si reca all’estero con Erasmus solo il 5,2% dei laureati di primo livello, decisamente troppo pochi). L’obiettivo è garantire un’esperienza di studio all’estero a ogni generazione di studenti. Ci proponiamo di passare entro 5 anni dagli attuali 20mila a 100mila studenti (e a tutti i dottorandi) che svolgano un periodo di studio all’estero.
Allo stesso modo, è necessario attrarre più studenti e studiosi stranieri nel nostro Paese. È necessario, ovviamente, agire su due livelli di mobilità (sia in entrata che in uscita): a) degli studenti e dei dottorandi di ricerca; b) dei post-doc e dei professori e ricercatori strutturati.
Proposte
- Studenti e dottorandi
- Erasmus: sgravi fiscali per le famiglie con figli che svolgono un periodo di studio all’estero, per superare la scarsità delle risorse finanziarie a disposizione dell’Agenzia Nazionale, ricevute dalla UE (e di quelle aggiuntive, ma modeste, del Ministero).
- Erasmus: meccanismo chiaro di riconoscimento dei crediti ottenuti presso un’università straniera attraverso la sottoscrizione del piano di studi Erasmus e l’effettiva equiparazione dei crediti formativi; qualificazione del percorso con una denominazione specifica (“Programma Europeo”).
- Erasmus: definizione, insieme ai partner comunitari, di un sistema di “buoni” (gestito da consorzi di università con il supporto MIUR) da accreditare alle famiglie che ospitano un “incoming student”, da spendere poi per un “outgoing student”.
- Erasmus: promozione di accordi tra Atenei perché all’interno degli studentati siano riservati (a condizione di reciprocità) posti letto per gli studenti Erasmus.
- Erasmus: meccanismo di premialità nella valutazione degli Atenei legato al numero degli studenti Erasmus (sia in ingresso che in uscita):
- Lingue straniere: potenziare gli insegnamenti delle lingue straniere e in lingua straniera, da affiancare a quelli in italiano, per aumentare gli studenti in ingresso e in uscita. Incentivi alle università, attraverso l’erogazione di fondi premiali, al superamento di determinate soglie di corsi in lingua straniera e (sulla base delle serie storiche dei dati sugli studenti in uscita ed in entrata, parametrati agli studenti in corso) del totale degli studenti in corso in mobilità).
- Dottorato all’estero: rendere obbligatorio nel dottorato di ricerca un periodo di 6 mesi o di un anno (a seconda della disciplina) presso un’istituzione straniera.
- Rendere più aperto il sistema accademico (secondo quanto già affermato in precedenza) per consentire a tutti gli studenti iscritti a corsi di dottorato all’estero di competere per le posizioni successive in condizioni di reale parità con i colleghi rimasti in Italia e ai laureati stranieri di poter accedere ai corsi di dottorato in Italia.
- Post-dottorato e ruoli accademici Nella mobilità post-dottorale la chiusura del sistema rende difficile che ai trasferimenti stabili in altri Paesi possa seguire normalmente il rientro in Italia. In realtà, dal nostro punto di vista, dovremmo operare soprattutto per favorire la “circolazione” dei ricercatori, sia rendendo più fluidi i meccanismi di accesso ai ruoli delle nostre università, sia incentivando la circolazione di ricercatori e professori già incardinati in un ateneo italiano.
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- Valorizzazione in sede concorsuale, come già accade in alcuni settori, delle esperienze di insegnamento e ricerca all’estero.
- Incentivi agli insegnamenti in lingua straniera per stimolare le università a chiamare studiosi con esperienze in atenei e centri di ricerca stranieri.
- Bandi nazionali per la fase post-doc (con possibilità di scegliere in autonomia l’ateneo presso il quale svolgere la propria attività, vedi sopra, punto 3, proposta d) rivolti anche a studiosi italiani all’estero e a studiosi stranieri.
- Equipollenza e riconoscimento dei titoli all’estero: per i titoli di laurea esistono disposizioni di legge e accordi internazionali (tali per cui, ad esempio, il laureato in giurisprudenza italiano può vedersi riconosciuta la propria laurea anche negli Stati Uniti d’America seppur a certe condizioni, ovvero nei paesi dell’Unione Europea senza troppe problematiche), mentre per i titoli accademici in senso stretto tale sistema manca. Può accadere che un laureato con anni di ricerca e docenza certificata presso importanti atenei esteri e impact factor altissimo, per proseguire la propria ricerca in Italia debba ricominciare da zero, come fosse un neo laureato. Secondo la legge 240 ciascuna università, con proprio regolamento, definisce le equipollenze tra il percorso curriculare accademico italiano e quello straniero, individuando le posizioni pari o superiori. È una disposizione troppo vaga, che lascia a ciascun ateneo margini discriminatori troppo ampi e deve essere rimpiazzata da una disciplina nazionale di riferimento.
- Attivazione di un sistema di “cattedre parziali”, sul modello di quelli già esistenti in Paesi stranieri, nell’ambito del quale sia possibile assegnare a studiosi (italiani e stranieri) che insegnano presso università straniere una parte variabile di una cattedra.
- Al fine di rendere più competitivo il sistema dei compensi, previsione di basi retributive adeguate per tutte le attività post-doc, incremento della parte variabile della retribuzione dei docenti strutturati.
Una laurea di valore
Un’indagine conoscitiva del Senato, una consultazione on-line promossa del Ministero dell’Università e della Ricerca: si è aperto così un ampio confronto sul tema, al quale hanno partecipato esperti, istituzioni del mondo universitario, associazioni di docenti e studenti. Partiamo da un assunto di fondo: il valore legale non deriva da una norma specifica, di cui si possa prevedere l’abrogazione, ma è l’insieme degli effetti derivanti da un titolo di studio.
Crediamo sia giusto che il titolo di studio sia un requisito per l’accesso a determinate professioni e a determinati impieghi pubblici, ma è necessario intervenire su due aspetti:
- far partire rapidamente le procedure di accreditamento – iniziale e periodico – delle sedi e dei corsi di studio, oggetto di un recente decreto legislativo, così da far corrispondere valore formale e sostanziale dei titoli;
- intervenire per eliminare gli effetti potenzialmente distorsivi connessi al valore legale dei titoli. Sarebbe invece sbagliato “pesare” il valore della laurea, per la partecipazione ai concorsi pubblici, in base all’ateneo che l’ha rilasciata (il che peraltro costituirebbe un accrescimento del valore legale).
Ciò anche in ragione delle enormi carenze del nostro sistema di diritto allo studio, che impedisce l’esercizio effettivo del diritto alla mobilità studentesca: si introdurrebbe infatti un forte elemento di discriminazione sociale e territoriale, in contrasto con lo stesso articolo 3 della Costituzione. Inoltre un meccanismo del genere sarebbe del tutto incompatibile con la partecipazione ai concorsi pubblici di candidati provenienti da altri paesi europei, o di italiani laureati all’estero, in quanto richiederebbe la stesura di un ranking addirittura planetario. Ancora peggiore la proposta di consentire alle commissioni di concorso di costruire ranking in base alla provenienza dei candidati (evidente il rischio di veder accrescere a dismisura comportamenti arbitrari e opachi).
Del resto, le indicazioni provenienti dalle risposte alla consultazione pubblica organizzata dal MIUR confortano – almeno in larga parte – le proposte per l’agenda del governo Monti presentate dal PD all’insediamento del nuovo esecutivo: siamo stati i primi ad avanzare l’idea di ridurre gli effetti distorti del “valore legale” del titolo di studio, mantenendone le funzioni abilitative per lo svolgimento di determinate professioni. Si tratta, dunque, di proposte rivolte ad evitare che gli Atenei – e in particolar modo i cosiddetti “diplomifici” – siano incentivati a farsi concorrenza puntando sulla facilità di assegnazione dei titoli e di punteggi alti anziché sulla qualità degli insegnamenti impartiti.
Proposte
- Eliminare il voto di laurea come requisito per l’accesso e elemento di valutazione nei concorsi pubblici. Non è corretto affermare, come alcuni fanno, che questa scelta finirebbe per disincentivare gli studenti dalla ricerca dei voti alti, in quanto il punteggio di laurea manterrebbe comunque tutta la sua importanza per le assunzioni nel settore privato, che rappresentano una quota molto alta degli sbocchi lavorativi dei neolaureati, nonché quale prova della preparazione individuale, utile in tutti i percorsi professionali.
- Eliminare il requisito del possesso di un titolo di studio per i passaggi di carriera interni alle P.A.. Le progressioni di carriera, infatti, dovrebbero dipendere esclusivamente dal livello di competenze effettivamente acquisite ed essere affidate a selezioni aperte e competitive. In tal modo si scoraggia il ricorso a lauree facili conseguite presso diplomifici e si valorizzano le capacità dimostrate dai pubblici dipendenti nello svolgimento della propria attività lavorativa, nonché le competenze eventualmente acquisite attraverso percorsi di studio.
- Limitare a casi specifici l’obbligo di possedere un titolo in una classe di laurea specifica per partecipare a concorsi pubblici, e in questi casi, così come per l’accesso agli esami di Stato per lo svolgimento delle professioni e tranne specifiche eccezioni, sostituire tale obbligo con quello di aver acquisito un numero minimo di crediti in discipline essenziali.
Leggi tutte le proposte del PD per l’università e la ricerca (Giugno 2012)