Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, interviene alla Camera sulla situazione dell’Ilva di Taranto impegnandosi a offrire interventi immediati per scongiurare la perdita di posti di lavoro e, al contempo, offrire ogni tipo di garanzia e tutela della salute dei cittadini
«Signor Presidente, cercherò di riferire gli elementi essenziali relativi all’attuale situazione di ILVA in maniera abbastanza schematica, dal momento che potremmo stare qui anche un po’di ore perché è una storia molto lunga, soprattutto in relazione alle procedure che sono state seguite. Mi riservo di dare elementi più puntuali in relazione anche agli interventi.
Prima di tutto vorrei ricordare il contesto. L’ILVA di Taranto, oggi di proprietà del gruppo Riva, è uno stabilimento industriale costruito a Taranto ormai più di cinquant’anni fa; è attualmente il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, tra i più grandi del mondo, e l’area a caldo delle produzioni dello stabilimento ILVA di Taranto è il primo step del ciclo di produzione di tutta la siderurgia nazionale, nel senso che è da Taranto che partono i semilavorati che servono all’industria siderurgica nei vari siti e nei vari impianti del nostro Paese. Dunque l’impianto a caldo si può considerare come impianto integrato dal punto di vista del ciclo produttivo per tutto il sistema della siderurgia italiana e non solo per le produzioni localizzate a Taranto. Questo dà il senso anche dell’importanza strategica che ha l’impianto di Taranto nel contesto del sistema industriale italiano.
Va anche detto che ILVA di Taranto rappresenta il 75 per cento del prodotto interno lordo della provincia di Taranto e il 76 per cento della movimentazione del porto. Questo è un altro dato che mette in evidenza dal punto di vista del contesto il ruolo che questo stabilimento ha anche nella regione Puglia e nel Mezzogiorno.
Per l’approvvigionamento di materia prima, l’impianto riceve i materiali attraverso 1.300 navi all’anno che operano nel porto e, nello stesso tempo, il porto è anche l’infrastruttura per il trasferimento dell’85 per cento dei prodotti generati dagli impianti di produzione.
Lo stabilimento è stato progressivamente autorizzato nelle diverse fasi di aggiornamento tecnologico e produttivo, secondo le leggi vigenti. Pertanto, una parte delle problematiche rilevate, per esempio, dalle indagini epidemiologiche che sono state realizzate per conto della magistratura, ma anche da quelle che sono state realizzate dall’Istituto superiore di sanità, dà conto di uno stato della salute della popolazione, con evidenti eccessi di mortalità, che fa riferimento presumibilmente a contaminazioni ambientali derivanti da impianti che a quel tempo operavano nel rispetto delle leggi.
Voglio cioè mettere in evidenza il fatto che siamo in presenza di una situazione che ha avuto nel tempo evidenti impatti ambientali e probabili impatti sulla salute, che vanno però messi in relazione alle normative del tempo e alle autorizzazioni che nel tempo gli impianti stessi hanno ricevuto, come per tutte le tecnologie e per tutti gli impianti che hanno operato in Europa negli ultimi cinquant’anni.
Forse, per spiegarmi, il caso più semplice è quello delle automobili: le emissioni dei veicoli diesel, in particolare per il particolato, all’inizio degli anni Novanta erano circa il 98 per cento superiori alle emissioni che sono autorizzate oggi con i nuovi motori e con le nuove tecnologie. È probabile, dai dati epidemiologici che abbiamo a disposizione, che le emissioni dei motori diesel allora, cioè vent’anni fa o più di vent’anni fa, siano state causa o concausa di malattie dovute all’inquinamento ambientale. Però, quei motori rispettavano gli standard dell’epoca. Lo dico per inquadrare il tema in qualche modo dal punto di vista storico.
L’ultima autorizzazione ambientale che ha ricevuto ILVA è dell’agosto 2011: si chiama «autorizzazione integrata ambientale» in attuazione della direttiva europea del 1996 (integrated pollution prevention control, cioè prevenzione e controllo integrato dell’inquinamento), che prevede che l’autorizzazione per l’esercizio di impianti industriali debba essere finalizzata a minimizzare le emissioni e gli impatti ambientali.
Questa autorizzazione è stata rilasciata, come dicevo prima, nell’agosto 2011 dal Ministro dell’ambiente d’intesa con il presidente della regione Puglia e identifica prescrizioni alle quali, in materia di gestione degli impianti e di monitoraggio delle emissioni, l’impresa deve adeguarsi con un piano di interventi, ovvero di investimenti, che va realizzato in un arco di tempo definito.
Questa autorizzazione ambientale è in fase di aggiornamento perché, tra il febbraio e il marzo del 2012, abbiamo avuto, da un lato, nuove informazioni circa la concentrazione in aria nell’area di Taranto, non tanto specificatamente in ILVA, di un inquinante, il benzopirene, che è un inquinante cancerogeno, e, dall’altro lato, la decisione della Commissione europea dell’8 marzo del 2012, che ha stabilito le migliori tecnologie disponibili nel settore della siderurgia che devono essere adottate dagli impianti industriali in tutta Europa.
Questa decisione prevede che, entro quattro anni, vengano aggiornate le autorizzazioni integrate ambientali, in maniera tale che le imprese aggiornino, poi, le loro tecnologie e i loro impianti secondo le indicazioni di quello che in termine tecnico si chiama BREF, cioè l’inventario delle migliori tecnologie disponibili a livello europeo. Pertanto, l’autorizzazione integrata ambientale già rilasciata è in corso di rivalutazione tenendo conto di questi due elementi.
L’autorizzazione integrata ambientale è stata in parte contestata da ILVA, che ha fatto ricorso al tribunale amministrativo regionale ritenendo che alcune delle prescrizioni fossero eccessive rispetto alla normativa nazionale – cioè più severe – e che, in parte, non fossero corrispondenti all’obiettivo di riduzione dell’inquinamento ambientale. Il tribunale amministrativo regionale ha dato in parte ragione all’ILVA e, in questa fase, stiamo verificando, anche oggi, con ILVA, quali sono i termini che possono superare il contenzioso, ovvero evitare che il Ministero dell’ambiente si costituisca, cioè faccia ricorso al Consiglio di Stato, aprendo un percorso che diventerebbe molto lungo e assolutamente poco efficace rispetto all’urgenza degli interventi di risanamento ambientale.
Fra parentesi, voglio ricordare che siamo in presenza, per effetto anche della normativa italiana, di procedure molto lunghe. La procedura per l’autorizzazione integrata ambientale di ILVA è cominciata nel 2007 e si è conclusa nel 2012: una procedura troppo lunga, se comparata con quella degli altri Paesi europei e, spesso, che rischia di essere fuori fase rispetto anche agli investimenti nelle tecnologie. C’è il rischio di individuare come soluzioni tecnologiche, all’inizio della procedura, soluzioni che alla fine della procedura stessa sono già superate. Da questo punto di vista, il mio impegno è stato subito quello di cercare di verificare, d’accordo con la regione Puglia e con il Ministero dello sviluppo economico, la strada per semplificare tale procedura, entrare direttamente nel merito ed individuare, secondo quanto previsto dalle direttive europee, le misure tecnologiche migliori al costo minore, perché la direttiva europea, naturalmente, prevede che il risanamento ambientale avvenga tenendo conto anche dell’esigenza di sostenibilità economica.
Questo è il lavoro che abbiamo avviato da un mese, più o meno, da quando, cioè, il Presidente del Consiglio Monti ha istituito il tavolo del Governo con la regione e con le autorità locali per affrontare, con una visione integrata, il problema di Taranto e non solo dell’ILVA.
Una seconda questione aperta riguarda la bonifica del sito inquinato dell’ILVA. Il sito industriale dell’ILVA è inserito all’interno del sito di interesse nazionale di Taranto, che comprende, oltre all’ILVA, altre aree industriali importanti, una parte delle aree portuali e una parte di aree che non sono di pertinenza industriale. Anche a tal riguardo, le procedure per il risanamento dei siti di interesse nazionale sono molto complesse, non sono molto lineari, basti pensare che il Ministero dell’ambiente ha cominciato a negoziare la strategia per il risanamento del sito di Taranto nel 2002 e del sito dell’ILVA nel 2003 e che questa procedura non è ancora conclusa.
Anche in questo caso, la mia considerazione è che procedure di questo tipo non hanno grandi risultati in termini di bonifiche di siti contaminati in Italia: di 57 siti contaminati, abbiamo tre o quattro casi di bonifiche che sono state avviate e due che sono state realizzate. Anche per questo abbiamo promosso a Porto Marghera, a Trieste e poi a Taranto – e ne parlerò tra un attimo – accordi di programma tra le amministrazioni per semplificare le procedure e legare le procedure agli obiettivi e a una tempistica certa.
Il problema della bonifica dell’ILVA di Taranto è rappresentato da due elementi chiave. In primo luogo, la contaminazione del suolo, la quale è certamente e sicuramente connessa alle attività industriali nel sito. Le caratteristiche del sito, che è stato – come si dice in termine tecnico – «caratterizzato», mettono in evidenza un rapporto diretto tra le attività degli impianti siderurgici e la qualità dei suoli. Perciò, l’indicazione che è stata data per affrontare questo tema in parte è condivisa dall’impresa.
L’altro aspetto, invece, riguarda la contaminazione della falda, che rappresenta a Taranto, come in quasi tutti i siti di interesse nazionale, un problema molto complesso, in quanto è abbastanza difficile individuare la sorgente o l’unica sorgente inquinante della falda, per cui le prescrizioni che vengono date per il risanamento della falda nel sito di pertinenza – in questo caso, dell’ILVA – sono contestate dall’impresa, come avviene in altri casi in altre zone d’Italia, perché l’impresa ritiene di non avere la responsabilità dell’inquinamento della falda.
A tale riguardo abbiamo una vertenza aperta con ILVA perché nel 2007 abbiamo dato le prescrizioni per la bonifica del sito. Tali prescrizioni non sono state accettate da ILVA, che ha presentato ricorso al TAR, che ha dato ragione a ILVA. Noi abbiamo presentato ricorso al Consiglio di Stato e ci aspettiamo un suo pronunciamento entro la fine dell’anno. Questo è un altro dato che caratterizza la situazione – potrei dire – di divergenza tra le urgenze di risanamento ambientale e le tempistiche delle procedure amministrative che dovrebbero assicurare interventi urgenti. Perciò, di nuovo, il caso dell’ILVA, come quello di Porto Marghera, come quello di Bagnoli a Napoli o di Napoli-est e altri, richiamano l’esigenza di semplificare in maniera molto rapida queste procedure.
Comunque, in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato, ho dato la mia disponibilità alla regione e a ILVA ad esaminare insieme le problematiche nel merito, per capire quali sono le soluzioni che si possono adottare congiuntamente, d’accordo con l’impresa, in modo tale da essere operativi.
Domani a Bari, presso la regione Puglia, si terrà una riunione insieme con l’impresa proprio per affrontare queste tematiche, che riguardano sia le criticità dell’autorizzazione integrata ambientale, sia le criticità relative alla bonifica del sito inquinato.
Abbiamo poi una problematica aperta in fase di definizione, che riguarda l’avvio della procedura di danno ambientale. Cioè, in relazione agli effetti ambientali che sono stati provocati dall’impresa, stiamo esaminando la modalità attraverso la quale si può avviare, nei confronti dell’impresa, una procedura di danno ambientale, che è finalizzata a realizzare il risanamento del sito. Anche su questo aspetto stiamo lavorando con prudenza, perché l’esperienza degli ultimi anni ha generato degli effetti che non sono coerenti con la direttiva europea in materia di danno ambientale, tant’è che abbiamo una procedura di infrazione in merito. Sostanzialmente, avviando la procedura di danno ambientale, il Ministero dell’ambiente ha poi avviato in parallelo procedure di transazione con le imprese, e le stesse, in alcuni casi, hanno transato e perciò hanno versato delle risorse, che il Ministero dell’ambiente ha utilizzato, quando il Ministero dell’economia e delle finanze le ha trasferite, per realizzare interventi di risanamento ambientale.
La direttiva europea dice, invece, che la procedura di danno ambientale serve per assicurare che le imprese realizzino il risanamento dei siti che hanno contaminato, e perciò considera come ultima possibilità quella di avere il riconoscimento di un danno economico e di incassare soldi. Allora, pensando a questo, in questa prospettiva, stiamo lavorando in maniera tale che la procedura di danno ambientale serva per identificare il programma di risanamento che l’azienda deve sostenere e finanziarie per restituire il sito. Questo è un altro degli aspetti che possono essere considerati in un confronto tra istituzioni, Governo, regione e impresa, avendo in mente l’obiettivo della direttiva europea, che è quello del risanamento del sito e non tanto quello di incassare soldi per la pubblica amministrazione.
L’ultima considerazione riguarda i dati che sono stati raccolti attraverso le indagini epidemiologiche. Come dicevo prima, i dati raccolti dall’Istituto superiore di sanità attraverso un programma che si chiama «Sentieri», che ha considerato i dati di mortalità nelle zone industriali italiane più contaminate e più complesse anche dal punto di vista del rapporto tra ambiente e salute, mettono in evidenza che, a Taranto, nel periodo 2003-2005 e poi 2006-2008, vi è stato un eccesso di mortalità per tumori, che ha una caratteristica abbastanza articolata, cioè non sono identificati in particolare soltanto tumori che possono avere una relazione diretta causa-effetto tra l’ambiente e la salute e perciò tra fattori di rischio ambientale, ma l’analisi ha messo in evidenza che si ha uno spettro più ampio, sia nella popolazione femminile che nella popolazione infantile, il che non esclude che vi sia un rapporto tra rischi ambientali e danno alla salute; però questo richiede un’indagine più complessa. Quello che però emerge anche dall’indagine che è stata effettuata dai periti della procura della Repubblica di Taranto è che siamo in presenza di dati che fanno riferimento a malattie che, comunque, hanno la caratteristica di un decorso, di un’evoluzione lunga, e hanno la caratteristica, quando non sono tumori, della cronicità.
In altre parole, si tratta di patologie che si manifestano nel corso del tempo e nel caso in cui si rilevasse una relazione tra l’ambiente e queste patologie, tra i rischi ambientali e queste patologie, bisogna considerare che i rischi ambientali sono quelli dei decenni passati, mentre potrebbe essere più complesso identificare una relazione diretta, causa effetto, con la situazione attuale degli stabilimenti ILVA a Taranto che, per effetto delle misure imposte dall’autorizzazione ambientale, per effetto di leggi regionali, per effetto delle leggi nazionali comunque, hanno avuto un’evoluzione. C’è stato, cioè, un aggiornamento delle tecnologie, ci sono stati, dal punto di vista delle performance delle tecnologie, significativi risultati in termini di riduzione delle emissioni. In particolare, le emissioni di diossina sono state abbattute drasticamente, ma c’è stato anche un abbattimento importante delle emissioni delle polveri, delle emissioni del ciclo a caldo anche per quanto riguarda i composti idrocarburi policiclici aromatici.
Dunque, questa è una problematica aperta. Si tratta sostanzialmente di capire se lo stato attuale degli impianti può essere messo in relazione con quel tipo di patologie che si sono verificate nel corso degli anni e se perciò gli impianti attuali costituiscono tuttora una sorgente di rischio. Qui si tratta di distinguere tra le caratteristiche delle tecnologie e l’esercizio. Infatti, capita a volte che si hanno le migliori tecnologie ma i risultati non sono i migliori perché, per esempio, l’esercizio degli impianti avviene in maniera tale da non assicurare il meglio dei risultati o perché, per semplificare le procedure, i tempi e i costi, come si dice, si fanno dei bypass, per cui avviene che la migliore tecnologia può non essere utilizzata.
Questo è oggetto dell’indagine della magistratura, da un lato, ed è anche oggetto delle rilevazioni, delle analisi che noi stiamo facendo congiuntamente con la regione Puglia. Però, dal punto di vista delle tecnologie, non c’è dubbio che un confronto tra le tecnologie negli impianti prima del 2005 e le tecnologie attuali mette in evidenza che le tecnologie attuali hanno performance e risultati ambientali molto migliori.
Detto questo, vorrei concludere presentando il Protocollo di intesa che è stato sottoscritto il 26 luglio tra i Ministeri dell’ambiente, dello sviluppo economico, della coesione territoriale, la regione Puglia, il comune di Taranto e la provincia di Taranto. Il Protocollo, da un lato, ha ripreso tutti i programmi in corso nell’area di Taranto che riguardano aree di pertinenza pubbliche, in particolare il mar grande e il mar piccolo, l’area, il quartiere di Tamburi, a ridosso del parco geominerario dell’ILVA, l’area di Statte, che è anche luogo di una discarica non di pertinenza industriale ovvero una discarica che è stata utilizzata per rifiuti industriali ma non esercìta da impianti industriali. Questo Protocollo di intesa considera poi altre due linee innovative aggiuntive. Una riguarda interventi per il miglioramento delle tecnologie utilizzate negli impianti industriali, non identificate, non attribuibili direttamente ed esclusivamente ad ILVA.
Esse fanno riferimento sostanzialmente alla possibilità che, nell’ambito del risanamento ambientale di Taranto, possano essere adottate nuove tecnologie negli impianti industriali, che rientrano in quelle tipologie che la Commissione europea ritiene finanziabili con risorse pubbliche per il carattere innovativo.
Qui vi è la possibilità – è uno degli oggetti del nostro lavoro – di affrontare in modo innovativo il tema molto critico del parco geominerario di Taranto, che è il più grande al mondo (sono 78 ettari). Non ci sono tecnologie note che possano eliminare la polverosità diffusa. Attualmente c’è una barriera fisica attorno al parco geominerario, che è chiaramente insufficiente. Ci sono (sono state adottate dall’impresa) alcune misure per ridurre la polverosità attraverso anche l’innaffiamento, ma questo è un tema che deve essere oggetto di una ulteriore valutazione tecnologica e organizzativa, per capire se quella logistica deve continuare ad avere le dimensioni attuali (cioè 78 ettari) e se esistono delle condizioni e delle possibilità per utilizzare tecnologie per l’abbattimento o comunque per il confinamento delle emissioni diffuse di polvere.
L’altra linea di lavoro aggiuntiva riguarda il progetto che abbiamo chiamato smart area (area di Taranto intelligente per intenderci) e che è finalizzato ad individuare tutte le soluzioni infrastrutturali e gestionali e tutti gli elementi che consentano nel complesso dell’area di Taranto (dove, come sapete, insistono molti altri stabilimenti e dove è presente un’attività portuale in grande espansione) di razionalizzare il flusso dei materiali, da un lato, la gestione della domanda elettrica, la gestione delle acque e dei servizi che possono sostanzialmente essere ottimizzati, riducendo ulteriormente gli impatti ambientali.
Questo Protocollo di intesa si inserisce, peraltro, in un contesto che è già stato definito con un accordo sottoscritto tra il Governo, l’autorità portuale e le autorità locali nel giugno scorso (il 20 o 21 giugno) e che prevede la finalizzazione degli interventi di risanamento ambientale nell’area portuale per favorire l’espansione con investitori stranieri cinesi che hanno identificato Taranto come hub nel Mediterraneo meridionale.
Pertanto, il Protocollo d’intesa fa seguito all’impegno, che il Governo ha già preso, molto importante a favore dello sviluppo di Taranto e soprattutto delle infrastrutture e della logistica portuale di Taranto. Questo Protocollo non è finalizzato a sostenere finanziariamente ILVA, se non nel caso in cui si identificassero soluzioni tecnologiche avanzate e compatibili con le previsioni delle direttive europee dal punto di vista del finanziamento. È un protocollo che serve a velocizzare e a razionalizzare tutti gli interventi nell’area che servono per la riqualificazione e il rilancio di Taranto.
Mentre, per quanto riguarda l’ILVA nel Protocollo d’intesa è esplicitamente prevista la possibilità che, per superare il contenzioso tra l’impresa e le amministrazioni pubbliche, possono essere individuate procedure semplificate o riconsiderate prescrizioni già previste e già date soprattutto a fronte, per esempio, delle sentenze del tribunale amministrativo regionale che, entrando nel merito, non soltanto con le sospensive, ha identificato contraddizioni, in qualche modo, tra le prescrizioni date e le leggi esistenti. Questo è quello che posso riferire, in maniera molto sintetica, nel merito delle questioni aperte.
Come sapete, la situazione a Taranto è molto delicata in questo momento, perché soltanto nell’area di Taranto sono circa 20 mila le persone – e perciò le famiglie – che sono, in questo momento, molto preoccupate per un’eventuale chiusura degli impianti. Domani vi sarà una manifestazione organizzata dai sindacati. Nel pomeriggio a Bari incontreremo poi i segretari delle maggiori organizzazioni sindacali, per riferire del lavoro che faremo nel corso della mattinata e anche per proseguire un dialogo che abbiamo avviato nelle settimane scorse con le organizzazioni sindacali e con Confindustria, in maniera tale da cercare di gestire la situazione di Taranto e i programmi che sono in corso e, soprattutto, quelli che abbiamo individuato come programmi da mettere in campo e da sviluppare, in modo tale da gestire questa situazione non dico in maniera concertata ma sicuramente in maniera coordinata tra le diverse componenti.
Ci è stato chiesto se questa iniziativa sia una risposta alla magistratura. Non è una risposta alla magistratura! Questa iniziativa era stata presa prima che la magistratura attivasse le procedure. È una procedura che sta nel solco delle leggi italiane e delle direttive europee, cioè è una procedura per valorizzare il rispetto delle normative esistenti. Questo è un punto molto chiaro e molto fermo. Non ho nulla da dire nel merito dell’iniziativa della magistratura, ma voglio confermare che stiamo lavorando per rafforzare la capacità delle amministrazioni pubbliche e la responsabilità delle imprese a rispettare le leggi esistenti».
Camera dei Deputati, 1 agosto 2012