Dopodiché, in relazione agli impianti che oggi non si riesce a collegare, è chiaro che non si dovrebbero fare fino a che non esiste la certezza che Terna è pronta a collegarli. Non ha senso costruire l’impianto e poi correre dietro a Terna perché lo colleghi. Noi partiamo dal tetto e poi pretendiamo che Terna faccia il collegamento, e intanto si prendono gli incentivi. Adesso c’è stata la corsa al business perché i comuni introitavano qualche soldo, qualcuno ci guadagnava. Ci sono anche pale che non girano, purtroppo, onorevole Margiotta, e in giro per l’Italia io ne ho trovate.
A volte il sospetto, come per qualche off-shore, è che sia più facile per la mafia e la ‘ndrangheta investire in questo campo, in modo che prendendo gli incentivi riescono a pulire i soldi. Qualche imprenditore che fa investimenti senza guadagnare c’è, perché pulisce i soldi, e qualche esempio lo abbiamo trovato in giro per l’Italia.
Credo che non dovremmo più prevedere incentivi. Lo dico da artigiano: se, facendo l’artigiano, avessi gli stessi incentivi che vengono destinati a questo settore, sarebbe molto più facile per me fare l’artigiano. Addirittura il finanziamento è quasi a fondo perduto per l’intero investimento, si può pagare in dieci anni. In nessun altro settore esiste una possibilità del genere. L’incentivo, secondo me, deve essere tale, cioè piccola roba. Dopodiché, il business arriva solo se si produce. Ma di fronte a un finanziamento a fondo perduto, di fatto, che va a finire sulla bolletta dei cittadini io mi indigno.
I cittadini, gli indignati dell’altro giorno, dovrebbero parlare di queste cose. I posti di lavoro non possiamo costruirli; abbiamo fatto una scelta – legittima, con un referendum – di rinunciare al nucleare, ma dobbiamo sapere che questo ci costa, che porta via aziende (siderurgiche, ma non solo) che non vengono a investire in questo Paese, che paghiamo uno scotto.
Onorevole Realacci, i dati di tutto quello che abbiamo speso in fonti rinnovabili per l’autosufficienza di questo Paese…
ERMETE REALACCI. È ancora molto meno del nucleare.
PRESIDENTE. I dati citati prima, 120 miliardi in dieci anni…
ERMETE REALACCI. Ma sono veri 120 miliardi in dieci anni per il fotovoltaico?
PRESIDENTE. Noi paghiamo sulle bollette un costo enorme, ma per non creare autosufficienza.
Grazie a Dio, abbiamo l’idroelettrico realizzato negli anni Cinquanta e Sessanta, che ci tiene un 7-8 per cento di autosufficienza in questo Paese. Quella, secondo me, è la vera fonte primaria rinnovabile. Per il resto – qui mi riallaccio all’intervento dell’onorevole Piffari, dandogli ragione – personalmente se penso che buona parte di questi investimenti vanno a finanziare o il monopolio del silicio cinese o tecnologie che vengono da altri Paesi mi chiedo, come ritorno reale per questo Paese, quanto abbiamo ottenuto, considerando quello che abbiamo pagato, e quanti posti di lavoro e quante opportunità, invece, abbiamo eliminato.
Ognuno ha i suoi interessi da difendere e difende la propria teoria, però, se guardiamo alla vicenda con occhio distaccato – come la guardo io, non avendo interessi da difendere – mi sembra che abbiamo esagerato e sarebbe ora, con un po’ di sano realismo, anche venendo incontro alle famiglie in un momento come questo, di cominciare a dire che questo business forse ha superato anche il limite del non ritorno, e un passo indietro dovremmo farlo.
Tuttavia, sapendo che anche nell’ambito della maggioranza non tutti la pensano così, ribadisco che questa è una posizione totalmente personale.
Do la parola ai rappresentanti di Confindustria per la replica.
AGOSTINO CONTE, Vicepresidente del Comitato tecnico energia e mercato di Confindustria. Dividerò il compito con il professor Beccarello, vicedirettore politiche per lo sviluppo, energia e ambiente di Confindustria, che risponderà con precisione assoluta sui numeri.
Sull’impostazione generale, noi non guardiamo al passato, anzi stiamo guardando assolutamente al futuro. E non c’è dubbio – non solo perché siamo in Europa – che il futuro sono anche le tematiche di cui stiamo parlando. L’unico invito che rivolgiamo è a tener conto con più attenzione del problema dei costi generali del sistema. Questa è la riflessione di fondo che noi chiediamo sia svolta.
Non guardiamo, dunque, nello specchietto retrovisore. Il problema di fondo che noi poniamo è di stare attenti a un equilibrio generale in presenza di risorse scarse. Noi abbiamo l’impressione netta – e i numeri, purtroppo, la suffragano – che oggi stiamo incentivando troppo alcune fonti e stiamo correndo troppo, con rischi di perdere partite tecnologiche importanti, dal momento che si consuma tutto adesso, sull’attuale livello tecnologico, mentre sono in atto grandissimi mutamenti. Paesi molto più attenti – credo che l’onorevole Realacci sarà d’accordo – hanno una programmazione annuale tale che tutti i vari step tecnologici potranno essere colti. Noi stiamo rischiando, invece, di concentrare tutto adesso.
D’altro canto, la velocità di crescita di queste fonti sorprende chiunque, a meno che non siamo ciechi. Non si tratta di essere divisi tra reazionari e progressisti, quello che è successo è sorprendente. Ogni giorno si legge sui giornali italiani e internazionali che siamo passati in testa a tutti in questo settore. Mi chiedo se, dal punto di vista tecnologico, noi non stiamo passando in testa a tutti su tecnologie che fra poco saranno abbondantemente sorpassate. Questo è il primo problema.
Sull’efficienza energetica – rispetto ai dati risponderà il professor Beccarello – noi seguitiamo a dire che l’apparato industriale italiano è un signore apparato industriale, e non lo si deduce a spanne, l’export sta lì a dimostrarlo. Che siamo il secondo Paese non c’è dubbio, che abbiamo recuperato il 2008 è una circostanza spettacolare e straordinaria. All’onorevole dell’Italia dei Valori mi permetto di dire che non è un problema di parco macchine del contadino, non è una responsabilità dell’apparato industriale; per le macchine agricole siamo indubbiamente leader nel mondo, in quanto le nostre macchine agricole sono vendute dappertutto, abbiamo una iper-eccellenza. Questo, dunque, è un caso che va nel senso che dicevamo noi: che il contadino non disponga di queste macchine, è un conto, ciò dipende da diversi motivi, ma che le nostre macchine siano le migliori è noto e questo conferma la mia tesi.
Per quanto riguarda il condono, siamo assolutamente contrari. Abbiamo subito preso posizione contro; è un’autentica follia, anche perché annunciare un condono significa permettere che si sviluppino ulteriori illegalità rispetto a quelle precedenti.
Vengo all’ultima questione. In Europa il quadro è il seguente: il costo dell’energia italiana è il più alto, il costo dell’energia dei cosiddetti «energivori» (categoria alla quale io appartengo, lavorando nel campo dell’acciaio) è nella media europea, leggermente più basso per alcuni segmenti, tanto è vero che nel settore siderurgico (lo dico per conoscenza all’onorevole Realacci) noi siamo di gran lunga più efficienti e più grandi della Germania. Quella della chimica è una storia vecchia; la grandezza della chimica tedesca non rinvia all’apparato industriale, ma all’università eccetera. La Germania ha fatto tre guerre con la sua superpotenza chimica, quindi questo tema non rientra nella discussione sull’apparato industriale italiano.
Il problema di fondo rimane soprattutto quello delle piccole aziende. Dovunque si va in Confindustria, oramai, si ascolta un grido di dolore sul costo dell’energia, e oggi non stiamo parlando del gas e del suo costo. Questo è il vero problema. Secondo noi, il rischio è che le fonti rinnovabili, gestite come stiamo facendo, contribuiscano ulteriormente a questo iper-costo.
Infine, sul discorso Terna, mi chiedo perché in altri Paesi europei dove c’è il fotovoltaico e dove ci sono tantissime pale eoliche è obbligatorio avere il backup, che è compreso nei loro costi. Questo significa che quando si realizza un impianto si deve prevedere o la capacità di accumulo o, come si diceva prima, la certezza che la rete possa immettere. Non può succedere che in questo Paese le stesse regioni che danno tutte le autorizzazioni sul fotovoltaico e sull’eolico, onorevole Margiotta, sono quelle che non danno alla Terna alcuna autorizzazione (a prescindere dall’efficienza della Terna) a passare.
Io ho uno stabilimento siderurgico a Milazzo, quindi potete immaginare il prezzo che pago, ma lasciamo stare per carità di patria. Perché non si fa la Rizziconi, stando alla Terna? Ci sono stati milioni di ore di riunioni con i comuni interessati e le regioni.
È un po’ strano, onorevole Realacci, che nel sud si diano tutti i permessi per il fotovoltaico, tutti i permessi per l’eolico, e nessun permesso per la rete. Questo mi sembra sospetto.
MASSIMO BECCARELLO, Vicedirettore politiche per lo sviluppo, energia e ambiente di Confindustria. Rimangono due punti inevasi relativi alle domande dell’onorevole Zamparutti, la quale chiedeva da che cosa fossero causati gli effetti di impatto. I 470 gigawatt che abbiamo riportato nella nostra relazione si riferivano prevalentemente alle rinnovabili non programmabili, l’eolico, anche se in questi ultimi mesi si sta avendo un grossissimo problema per quello che viene chiamato tecnicamente la «rampa del fotovoltaico», che impatta prevalentemente in zone che sono strutturalmente eccedentarie in termini di offerta rispetto alla domanda. Si crea, quindi, un grossissimo problema tra le cinque e le sette del pomeriggio e nelle ore di avvio della mattinata.
Nell’ambito della nostra relazione volevamo ricondurre questi due elementi a un obiettivo: va ripensata completamente l’impostazione della rete di trasmissione. Stiamo passando da un modello di generazione centralizzata a un modello sempre più di generazione distribuita. Lo sta studiando anche l’Europa, dunque bisogna, anche nell’ambito della regolazione degli indirizzi di policy, essere perfettamente coscienti che questo è lo stato delle cose.
Voglio tornare su un aspetto, sul quale in parte è intervenuto anche il dottor Conte. In filigrana, ma filo conduttore degli interventi degli onorevoli Zamparutti, Margiotta, Realacci e Pifferi è un tema secondo me veramente importante e ineludibile: la relazione tra l’incentivo pubblico, perché stiamo parlando di componenti parafiscali sulle fonti rinnovabili, e la possibilità di attivare un settore industriale. Su questo vorrei avviare una piccola riflessione perché come Confindustria abbiamo mappato molto bene i distretti; accanto a quelli citati Power-One, siamo andati a vedere quelli che si trovano tra Padova e Vicenza fino a Verona, poi tra Monza e Lecco, quelli nascenti di Rieti, quelli di Ancona.
Se, però, parliamo con questi imprenditori, cioè quei soggetti che comprano sì il cristallino, perché non si può produrre in Italia, ma poi ci mettono una buona parte di industria, di persone che lavorano, vi prego di considerare l’attenzione con la quale ci invitano a usare cautela nei tassi di sviluppo. È evidente che la produzione italiana magari punta sull’innovazione tecnologica, riesce ad abbinare sistemi di accumulo con quelli di produzione, ma se c’è un’escalation stratosferica nelle installazioni allora andiamo su quello.
AGOSTINO CONTE, Vicepresidente del Comitato tecnico energia e mercato di Confindustria. Sapete qual è uno dei problemi per cui i 500 giga si perdono? Tutti gli inverter che abbiamo, o almeno la stragrande maggioranza, che sono di importazione, saltano.
MASSIMO BECCARELLO, Vicedirettore politiche per lo sviluppo, energia e ambiente di Confindustria. Ad esempio, in termini di policy, la Germania sta discutendo di passare i 50.2 hertz per quanto riguarda la frequenza. Ora, visto che abbiamo citato un’azienda che produce inverter ed ha sicuramente una leadership a livello internazionale, perché non accompagniamo, attraverso il frame regolatorio, a cambiare e a innovare in questa direzione, che poi significa risparmio di costi per il sistema? Quello che noi sentiamo da chi si assume il rischio di produzione industriale in Italia è questa lamentela.
Su quello che abbiamo sentito, il breakdown del valore di filiera – questa era la sua domanda – dobbiamo evitare di fare quello che abbiamo visto con il cosiddetto «salva Alcoa». Vorrei ricordare i numeri: in un Ebitda di un progetto fotovoltaico dell’85 per cento il problema era una filiera di valore assurda – avevamo chi produceva, ma avevamo una banca, un intermediario finanziario, un fondo pensione – obiettivamente eccessiva, per cui rimaneva molto poco a chi produceva e faceva industria in Italia e a chi installava il pannello; tutto il resto era una dispersione di rendita di tipo finanziario. Ecco dove stava il problema. Infatti, abbiamo visto che nel momento in cui si è cominciato a mettere mano per riorientare tutto c’è stato oggettivamente un maggiore equilibrio e anche pannelli di importazione improvvisamente sono stati ricondotti ai prezzi di importazione e installazione che prevalevano anche negli altri Paesi europei.
È evidente, quindi, che c’era l’esigenza di ripensare a una taratura dei valori, a beneficio di uno sviluppo industriale italiano.
PRESIDENTE. Ringraziamo i rappresentanti di Confindustria per la disponibilità dimostrata e rimaniamo in attesa del contributo scritto che è stato annunciato.
Dichiaro conclusa l’audizione.