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SERGIO MICHELE PIFFARI. Però, Realacci, lasciamoglielo dire…
AGOSTINO CONTE, Vicepresidente del Comitato tecnico energia e mercato di Confindustria. Comunque sia, esiste un problema molto serio. Questa rete prima vedeva pochi punti, perché le centrali erano in numero limitatissimo, e grandi poli di consumo: oggi non è più così.
Fare questa operazione – a prescindere che Terna la stia facendo o no, non è mio compito valutarlo, lo faranno loro ascoltando Terna – ha un costo enorme. In questo momento si sta pensando, ad esempio, se è opportuno installare batterie per accumulare questa energia.
Ebbene, ascoltate in audizione Terna, fatevi dire qual è il costo delle batterie e immaginate che anche questi costi andranno sull’A3. Come voi sapete, l’ammontare della bolletta elettrica è determinato dal costo della commodity più la cosiddetta A3. Quando è partito questo meccanismo, l’A3, ai tempi di Bersani, valeva 8-9 euro, oggi siamo tendenzialmente a 35 euro, cioè la metà del prezzo della commodity. Se continuiamo così, per l’energia elettrica, il fiscale e il parafiscale, sarà come per la benzina.
Siccome, tra l’altro, abbiamo un’autorità che costa tanto, cominciamo a risparmiare su questa. Non servirà più l’autorità, dovremo discutere in sede politica qual è il costo sostenibile per l’apparato industriale italiano.
Come loro sanno (vengo all’ultimo tema) in questo momento di gravissima crisi del Paese per fortuna abbiamo raggiunto – siamo a settembre, ci sono i dati oramai consolidati dell’export del sistema industriale – i picchi «storici» di prima della grande crisi del 2007-2008. Quindi, se tutto il Paese funzionasse così, i livelli dell’apparato industriale italiano sarebbero ritornati al 2007-2008. Quest’anno otteniamo nuovamente questo straordinario risultato che è riconducibile tutto all’export perché il mercato interno, come è noto, è molto più depresso. Ebbene, noi seguitiamo a competere con Paesi come la Francia che, ad esempio nel settore siderurgico, paga l’energia 35 euro a megawattora. La Germania paga molto meno dell’Italia…
ERMETE REALACCI. La Germania sul grande paga di più…
AGOSTINO CONTE, Vicepresidente del Comitato tecnico energia e mercato di Confindustria. Di più perché ha meno nucleare.
Ho richiamato questa questione perché, secondo me, dovremmo valutare appieno quella parte dell’apparato industriale italiano che è interessata al tema dell’efficienza energetica. Mentre sulle altre fonti, come è noto, stiamo con difficoltà cominciando a creare un sistema industriale italiano – sapete che ancora oggi i pannelli fotovoltaici sono per il 92,7 per cento di importazione, e così le pale, salvo la Vestas, società danese, che ha sedi in Italia – nel settore del risparmio energetico noi siamo i leader nel mondo. Lo dice uno che non fa parte di questo sistema (mi occupo di siderurgico), quindi non vi sono conflitti di interesse, richiamando l’articolo di Giavazzi di oggi.
Noi abbiamo, nel settore del risparmio energetico, una leadership indubbia in Europa. Questo settore, peraltro, secondo i dati dell’ENEA, ha tre milioni di addetti, comprendendo ovviamente l’indotto in edilizia. Nel sistema industriale proprio sono 1.300.000 addetti, e non è poco.
Oggi, come loro sanno, sull’efficienza energetica il settore non ha sostanzialmente nulla. Il nostro invito è quello di fare, sull’efficienza energetica, uno sforzo vero. Occorre, inoltre, in tempi di risorse scarse, ripensare attentamente dove mettiamo i soldi.
Mi permetto di dire che l’incentivazione sul fotovoltaico vale circa 120 miliardi per dieci anni. Quest’anno andiamo molto oltre le previsioni: al 2020 erano previsti, complessivamente, tra fonti termiche e fotovoltaico, 10.000 megawatt, siamo già a 12.000 e chiudiamo nel 2013 a 16.000 e, stando ai dati del GSE, andremo a 25.000. Ebbene, si deve sapere che con questa escalation è necessario ripensare in maniera decisa il livello degli incentivi e fare un discorso serio sulla parity grid. Vedo con disperazione il fatto che, ogni anno, sembra di assistere alla programmazione dei sovietici, laddove i piani quinquennali si allungavano sempre di un anno. La parity grid è sempre di tre anni, ma ogni 31 dicembre si sposta all’anno successivo. Ci avevano garantito il termine del 2013, ma adesso è stato spostato al 2014, e l’anno prossimo magari si sposterà ancora.
Su questi aspetti – questo è il mio invito finale – bisogna porre molta attenzione. Chiedo scusa se in qualche momento sono stato poco professionale, ma seguirà un testo scritto.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Conte, anche per lo sforzo di sintesi che ha compiuto e per la chiarezza della sua esposizione.
Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
ELISABETTA ZAMPARUTTI. Considero molto importanti le informazioni che ci avete voluto riferire, e di questo vi ringrazio.
Vorrei sapere se, rispetto a questo grave fenomeno di mancata immissione in rete dell’energia prodotta in particolare nel Meridione, voi riscontrate che il problema riguardi in particolare l’eolico piuttosto che il fotovoltaico. Di fronte allo scenario preoccupante che avete descritto, con l’enorme costo che, in particolare sulle rinnovabili e sul fotovoltaico, abbiamo deciso di fissare, con le gravissime ricadute che sappiamo sul costo dell’energia per gli utenti o per i consumatori industriali, vi chiedo se non ci sia anche un problema di mancata programmazione complessiva.
La famosa strategia energetica nazionale che era stata promessa a inizio legislatura ancora manca. Questo incide, secondo noi, su questo mal governo del sistema produttivo dell’energia del nostro Paese.
Infine, avete accennato ai dati occupazionali del settore dell’efficienza energetica. In particolare, vi chiedo se, in una prospettiva di maggiore incentivazione o sostegno a questo settore, le possibilità occupazionali sarebbero più forti nell’ambito del settore dell’efficienza energetica piuttosto che in quello delle rinnovabili. Rispetto a queste ultime, a quanto ho capito, il nostro Paese è più arretrato, mentre è in una posizione di maggior vantaggio nel settore dell’efficienza energetica.
SALVATORE MARGIOTTA. Nell’esprimere alcune riflessioni sull’esposizione di Confindustria, voglio anche io sottolineare – come era già nelle parole del collega Realacci – che se si spreca energia prodotta da rinnovabili, poiché non arriva in rete, non si deve rispondere che si deve produrre meno da rinnovabili. Peraltro, facciamo ancora parte dell’Unione europea (e spero che anche Confindustria sia d’accordo che ci dobbiamo rimanere) e questa ci dice che dobbiamo produrre ancora molto di più in energie rinnovabili per conseguire gli obiettivi fissati. Obiettivi dai quali, peraltro, come Paese siamo i più lontani dalla media europea di quantità di energia rinnovabile rispetto al totale.
Il tema è, dunque, costringere Terna ad adeguare, e non produrre di meno.
Passando alla seconda riflessione, devo dire che ormai mi tocca farla sempre e la faccio anche oggi con Confindustria. Ci sono molti motivi per cui soprattutto al sud ci sono le pale eoliche e gli impianti fotovoltaici. Il motivo principale è che effettivamente al sud c’è più vento e più sole; su altri motivi potremmo a lungo ragionare e riflettere, ma sono assolutamente secondari.
Per il vento questo vale ancora di più. Non è vero quel che si dice con molta approssimazione, ossia che le imprese hanno convenienza a realizzare centrali eoliche anche laddove non c’è vento in ragione degli incentivi. Non è assolutamente così. Le centrali eoliche costano molto e conviene installarle dove c’è vento. Non conosco ancora un imprenditore del settore che abbia realizzato un impianto in una zona in cui non c’è vento.
Al di là di queste breve riflessioni, vorrei ora porre una domanda che in qualche modo vi riguarda direttamente. Mi ha molto colpito un’affermazione che so rispondere al vero: l’industria italiana è assolutamente preminente nel campo dell’efficienza, mentre i pannelli e le pale si producono tutti all’estero. Questo non può essere visto anche in una chiave autocritica da parte dell’industria italiana? Perché l’industria italiana non aggredisce anche questo settore? Perché non ci scommette, visto che, essendo noi nell’Unione europea, questo è un settore che comunque nei prossimi anni darà lavoro, reddito e produzione?
Non ritiene che ci sia un ritardo dell’industria italiana, quindi anche di quelle che voi rappresentate, nell’aggredire un settore di sicuro interesse e di sicuro sviluppo?
ERMETE REALACCI. Con Conte e con Beccarello ci conosciamo da tempo ed è per questo che il dialogo a volte è così serrato.
Devo dire con franchezza che a me colpisce l’ottica con cui si fanno certe affermazioni, alcune vere, altre discutibili. Bisogna capire se l’ottica è quella di guardare al futuro e capire quali sono le linee di sviluppo del Paese oppure se è un’ottica un po’ vecchia, come se si dovessero giustificare altre scelte.
Dico con franchezza che ho ascoltato con interesse e con piacere – e anche con un po’ di ironia – un dato che lei citava. Ho letto con attenzione il documento in cinque punti di Confindustria, Rete Imprese Italia, ABI e via elencando, in cui il punto più propulsivo è quello del risparmio energetico e della green economy. Ora, che la Confindustria scommetta sulla green economy lo ritengo un fatto positivo, ma i numeri sono completamente fuori dalla grazia di Dio. Essendo io un fan della green economy e conoscendo la materia, mi permetto di dire che le cifre di 400 mila imprese, fra diretto e indotto, e tre milioni di occupati, soltanto nel settore del risparmio energetico, sono fantasiose. Però è importante che in quel documento, allorché si è voluto indicare una strada positiva, si è fatto riferimento a quel settore.
Potremmo citare casi infiniti. Le piastrelle di Sassuolo consumano la metà dell’energia dei concorrenti stranieri ed è anche per questo, oltre che per la bellezza e la qualità, che ogni anno continuiamo a produrre a Sassuolo tante piastrelle quante ne basterebbero per coprire il territorio del comune di Parigi. Si potrebbero citare casi in tanti settori.