CAMERA DEI DEPUTATI – SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione
Resoconto stenografico Seduta del 23/11/2010
Audizione del Capo della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea, Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle nuove politiche europee in materia di immigrazione, l’audizione del Capo della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea, Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci.
Diamo inizio a questa audizione, che è stato necessario differire dalle 12 alle 14 a causa delle votazioni in Assemblea, e che si è comunque necessitati a svolgere in un’orario problematico a causa della concomitanza con i lavori di altre Commissioni di camera e Senato. Me ne scuso pubblicamente con l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci che è il nostro rappresentante permanente presso l’Unione europea a Bruxelles. Desidero altresì ringraziarlo moltissimo a nome del Comitato per avere accettato questo nostro invito.
Ricordo che questa audizione è finalizzata ad acquisire informazioni e valutazioni sullo stato di attuazione e sulle prospettive di adeguamento della regolamentazione europea in materia di immigrazione.
Altri temi su cui la valutazione dell’ambasciatore Nelli Feroci saranno di grandissimo interesse, sono l’impatto della prossima adesione a Schengen di Romania e Bulgaria, sulle politiche di immigrazione e sui flussi migratori, nonché lo stato di funzionamento dell’Agenzia europea Frontex, presso la quale siamo stati recentemente in visita a Varsavia, per il suo raccordo con organismi nazionali competenti in materia di immigrazione.
Do quindi immediatamente la parola all’ambasciatore Nelli Feroci.
FERDINANDO NELLI FEROCI, Capo della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea. La ringrazio, presidente Boniver, per questo invito che ho accettato molto volentieri. So che non molto tempo fa avete audito il Ministro Maroni, cercherò di integrare e completare quanto egli ha detto soprattutto da un punto di vista europeo.
Lo farò concentrando la mia presentazione, che cercherò di rendere più sintetica possibile, su tre aspetti: il tema delle politiche migratorie in termini generali, prendendo lo spunto dal programma di Stoccolma; il tema dell’Agenzia Frontex, relativamente alle recenti esperienze operative e al progetto di riforma dell’Agenzia che è attualmente all’esame del Consiglio; la questione, che so stare particolarmente a cuore di questo Comitato, dell’adesione prevista per la prossima primavera di Romania e Bulgaria al sistema di Schengen.
Una notazione di metodo probabilmente superflua, ma che mi preme ricordare, è che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona si applica ormai generalmente, al settore delle politiche migratorie oltre che ad altri settori del cosiddetto ex terzo pilastro, la regola della cosiddetta procedura legislativa ordinaria, che comporta l’adozione in Consiglio delle decisioni a maggioranza qualificata e la codecisione del Parlamento europeo. Lo dico perché questo comporta sicuramente una maggiore complessità dell’articolazione del processo decisionale, un ruolo importante del Parlamento europeo e, non ultimo aspetto, una responsabilità dei parlamenti nazionali nella vigilanza sul rispetto del criterio della sussidiarietà.
Si tratta di provvedimenti che vengono proposti dalla Commissione all’attenzione del Consiglio e sono previamente sottoposti all’attenzione dei parlamenti nazionali perché siano in grado di valutare se i provvedimenti sono congrui sotto il profilo della sussidiarietà.
Vi citavo prima il programma di Stoccolma perché è un documento di lavoro che è stato adottato in maniera solenne dal Consiglio europeo nel dicembre del 2009 e contiene una road map, un programma di misure e di iniziative da realizzare nei prossimi cinque anni, dal 2010 al 2014 in tutto il settore della giustizia e degli affari interni.
Gli assi che caratterizzano il programma di Stoccolma sono quelli del rispetto dei diritti fondamentali, quindi l’idea di dare concretezza al principio della cittadinanza europea attraverso un meccanismo di migliore protezione dei diritti fondamentali; un’Europa del diritto e della giustizia, cioè l’idea di creare uno spazio europeo in cui sia agevolato l’accesso alla giustizia per tutti, a prescindere dalla nazionalità e dalla residenza; un’Europa della sicurezza, cioè un’Europa che sia in grado di garantire, soprattutto attraverso la cooperazione della polizia, una maggiore sicurezza dei propri cittadini; quello che viene chiamato l’accesso all’Europa in un mondo globalizzato, cioè la regolamentazione dei criteri di accesso soprattutto al mercato del lavoro in Europa di cittadini di Paesi non europei, che siano in grado di contribuire al mercato del lavoro europeo attraverso una gestione integrata delle frontiere e una politica dei visti che sia anche commisurata rispetto a queste finalità; il tema delle politiche migratorie, che viene declinato sia nel senso di una progressiva armonizzazione dei criteri di ingresso e di soggiorno dei lavoratori che immigrano legalmente, sia attraverso il capitolo delle misure mirate a contenere e a reprimere il fenomeno dell’immigrazione illegale o clandestina; poi il tema cosiddetto del volere esterno, cioè l’integrazione delle politiche migratorie nel quadro più generale delle relazioni esterne dell’Unione.
Per venire in maniera più diretta e specifica al tema che mi è stato proposto, partirò dall’immigrazione legale, il primo grande capitolo delle politiche migratorie. L’obiettivo che ci si è posti in Europa è quello di realizzare delle forme attive di gestione dei flussi di immigrazione legale, favorendo in qualche modo la ricerca di un equilibrio ottimale tra domanda e offerta di lavoro, utilizzando criteri e procedure flessibili e affidabili, che si adattino in qualche modo al mutare delle esigenze del mercato del lavoro soprattutto con l’obiettivo di creare un sistema di diritti uniformi per i lavoratori che emigrano legalmente nel territorio dell’Unione europea e in tutti i Paesi dell’Unione stessa; trattamento che, per quanto possibile, deve essere analogo o assimilabile a quello riservato al cittadino comunitario.
Per realizzare questi obiettivi sono stati in passato già adottati vari provvedimenti. Oggi sono tre i provvedimenti di natura legislativa sui quali si sta concentrando l’azione del Consiglio e del Parlamento; il primo di questi è la proposta di direttiva quadro sul permesso unico, che intende completare il quadro della regolamentazione di specifici aspetti dell’ingresso e del soggiorno nel territorio dell’Unione di cittadini di Paesi terzi; essa va a completare un quadro che si era articolato attraverso l’adozione nel corso degli anni di una direttiva sui ricongiungimenti familiari, di una direttiva sui soggiornanti di lungo periodo, di una direttiva sui soggiorni per motivi di studio e di una direttiva sui ricercatori scientifici.
Oggi siamo ad uno stadio sufficientemente avanzato di questa direttiva; lo scoglio principale sono le riserve di alcuni Paesi membri, non l’Italia che non ha problemi da questo punto di vista, sul tema della piena assimilazione o meno dei lavoratori stranieri ai cittadini comunitari sotto il profilo della titolarità dei diritti collegati al sistema del welfare, previdenza sociale, assistenza sanitaria e simili.
La seconda direttiva è una direttiva settoriale che riguarda le condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per lavoro stagionale e anche qui siamo a uno stadio sufficientemente avanzato. È ovvio che il fenomeno è noto, particolarmente pressante in alcuni Paesi membri, meno in altri, e l’obiettivo è quello di rispondere anche in questo caso a una esigenza fortemente sentita dal mercato del lavoro all’interno dell’Unione europea con un provvedimento che regoli le condizioni di accesso e di soggiorno degli stagionali in maniera quanto possibile omogenea.
Terzo provvedimento è la direttiva che riguarda le condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di Paesi terzi nell’ambito dei trasferimenti intrasocietari, che si realizzano all’interno di un unico gruppo economico. Come vi ho detto, sono ulteriori tasselli di un quadro complessivo che mira a definire le condizioni per quanto possibile omogenee e armonizzate di ingresso e di soggiorno di cittadini di Paesi terzi che vengono nei Paesi dell’Unione per lavorare in maniera legale.
Un corollario della regolamentazione, che ha anche una sua importanza autonoma e a sé stante, è la materia dell’asilo.
Sulla materia dell’asilo farò un’esposizione rapida, poiché non era oggetto di una specifica richiesta in questa audizione, ma mi è sembrato utile accennarvi perché anche il lavoro che stiamo svolgendo nell’ambito dell’asilo concorre a definire un sistema comune di regole.
L’obiettivo è proprio quello di creare un cosiddetto sistema europeo comune in materia di asilo. Si è già fatto molto a partire dal 1999 con l’obiettivo di realizzare una progressiva armonizzazione dei sistemi giuridici degli Stati membri sulla base di norme minime comuni; si sta continuando a lavorare: oggi attualmente sono all’esame del Consiglio, dove però i progressi sono più lenti perché le difficoltà che si incontrano sono più rilevanti, quattro provvedimenti. Una direttiva cosiddetta qualifiche, una proposta di modifica del regolamento Dublino (vi dirò poi di cosa si tratta), una proposta di modifica del regolamento Eurodac e un progetto di direttiva che mira a estendere ai beneficiari di protezione internazionale il sistema di diritti attualmente previsto per i cittadini di Paesi terzi che abbiamo soggiornato a lungo, con la qualifica di titolari di uno status di rifugiato politico, nel territorio dell’Unione.
Sono disponibile eventualmente a rispondere a quesiti specifici se vi saranno delle questioni di interesse sul punto, ma per brevità non entro nel dettaglio di ciascuno di questi provvedimenti.
Passo rapidamente a un tema che è direttamente collegato a quello della immigrazione legale o della definizione di un sistema comune di asilo, che è quello del contrasto dell’immigrazione clandestina.
Sotto questo profilo abbiamo in particolare due criticità e due aspetti sui quali è concentrata l’azione dell’Unione europea. Il primo è quello del controllo delle frontiere esterne, che tratterò più in dettaglio affrontando il tema dell’Agenzia Frontex; l’altro è la questione degli overstayers, ossia i cittadini che entrano in maniera legale nel territorio dell’Unione, titolari di un visto turistico che consente loro di rimanere per un periodo di tre mesi e che poi prolungano illegalmente il proprio soggiorno nel territorio dell’Unione.
Sul problema degli overstayers la misura individuata come strumento più efficace è quella dei rimpatri, che sono però fondamentalmente una responsabilità dei governi degli Stati membri. Da parte del programma di Stoccolma e da parte dell’Unione c’è un incoraggiamento al ricorso a certe condizioni e secondo certe modalità allo strumento dei rimpatri, purché attuati in un quadro di legalità riconosciuta dalle istituzioni dell’Unione e dal diritto comunitario, nel rispetto del principio del non-refulment; inoltre la direttiva 2008/115/CE, definisce le condizioni e le modalità attraverso cui si possono effettuare rimpatri di cittadini di Paesi terzi, favorendo in questo modo il rientro nei loro Paesi di origine.
Sottolineo che il tema dei rimpatri a cui ho accennato, riferito soltanto a cittadini di Paesi non comunitari, è diverso dal tema dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE, e al tema molto delicato e molto controverso della possibilità di effettuare rimpatri di cittadini comunitari, sul quale il Governo ha recentemente presentato un disegno di legge che stiamo esaminando con i servizi della Commissione per garantirci che corrisponda pienamente ai requisiti del diritto europeo.
La dimensione esterna a cui ho accennato rapidamente nella mia introduzione è uno dei pilastri, dei cardini del programma di lavoro che l’Unione si è dato nel settore della gestione delle politiche migratorie. L’obiettivo, lo dirò in estrema sintesi, è quello di ottenere nel rapporto con i nostri maggiori partners, ma non soltanto con i maggiori, anche con tutti quelli con i quali l’Unione stabilisce rapporti contrattuali, un capitolo dedicato alla definizione di un rapporto collaborativo nella gestione dei fenomeni migratori. Come si articola di volta in volta dipende molto dal tipo di partner con il quale si sta negoziando; si può arrivare (torneremo su questo argomento) fino all’inserimento di disposizioni in materia di riammissione, che possono essere parte di un accordo più generale o essere negoziate con negoziati ad hoc con Paesi terzi; si possono sviluppare in maniera più ampia i cosiddetti partenariati per la mobilità, che servono non soltanto a rimandare nei Paesi di origine cittadini che emigrano illegalmente, ma anche a organizzare forme di gestione cooperativa dei fenomeni migratori.
È importante tener presente l’obiettivo condiviso che cerchiamo di attuare concretamente di volta in volta quando capita un negoziato con un Paese terzo particolarmente interessante da questo punto di vista, come è il caso della Libia. L’obiettivo è di approfittare del complesso delle relazioni che l’Unione europea può avere con il Paese terzo per inserire delle disposizioni che sono di nostro interesse in quanto Unione, in materia di gestione dei fenomeni migratori.
Quanto ho esposto è interconnesso al tema del controllo delle frontiere esterne e allo strumento principale di cui dispone oggi l’Unione Europea in materia di collaborazione fra Stati membri nel settore della gestione delle frontiere esterne.
Il presidente ha accennato alla visita che il Comitato ha effettuato recentemente a Varsavia all’Agenzia Frontex. Questo Comitato ha quindi già una approfondita conoscenza del tema, io posso limitarmi a dire che l’Agenzia è stata concepita ed è attualmente il principale strumento di collaborazione che abbiamo in materia di contrasto all’immigrazione illegale, attraverso una cooperazione sulle frontiere esterne dell’Unione, terrestri e marittime. Inoltre l’Agenzia ha funzionato bene, ma già da qualche tempo è all’esame del Consiglio una proposta di regolamento che ne modifica alcuni aspetti delle modalità di funzionamento.
Questo progetto, che è stato presentato dalla Commissione, corrisponde in larga misura alle richieste che erano state formulate da parte italiana. Ricordo che su questo argomento c’era stata una iniziativa congiunta del Presidente del Consiglio Berlusconi e del Presidente della Repubblica francese Sarkozy; noi siamo complessivamente soddisfatti di come avanza questo processo di riforma dell’Agenzia Frontex.
In particolare attiro la vostra attenzione su due aspetti particolarmente rilevanti: uno è il rafforzamento delle capacità tecniche operative. Aggiungo in particolare, per esempio, la possibilità, non ancora prevista, che l’Agenzia Frontex gestisca in proprio voli per rimpatri di cittadini extracomunitari entrati nel territorio dell’Unione in maniera illegale. Un rafforzamento, quindi, delle capacità operative attraverso questo sistema e la possibilità da parte dell’Agenzia di effettuare interventi di assistenza tecnica a Paesi terzi di origine e di transito, che abbiano manifestato l’intenzione di collaborare in maniera operativa con l’Unione europea sul tema del controllo alle frontiere esterne.
Rimane sullo sfondo un’ipotesi su cui ancora non si è coagulato un sufficiente consenso, che è quella di dar vita a un vero e proprio corpo europeo delle guardie di frontiera. Finora il principio su cui si basa l’operatività di Frontex è quello di favorire al massimo la collaborazione tra forze di polizia e forze nazionali adibite al controllo alla frontiera; per ora rimane ancora allo stadio di ipotesi la creazione di un corpo europeo di guardie di frontiera.
Mentre avanza sul piano dell’esame da parte delle istanze dell’Unione il progetto di riforma del regolamento istitutivo di Frontex, se ne sviluppa sul piano operativo l’attività.
Volevo ricordare almeno due sviluppi recenti che sono meritevoli di essere segnalati: in primo luogo l’apertura di un ufficio operativo regionale in Grecia, al Pireo, con un focus particolare di attenzione sul tema del controllo delle frontiere meridionali terrestri e marittime ma comunque meridionali. Frontex è a Varsavia, diretta da un finlandese, e abbiamo sempre ritenuto che fosse opportuno che venisse in qualche modo rifocalizzata sulle varie emergenze che si creano nel Mediterraneo
L’altro sviluppo importante sul piano operativo, che dimostra anche la capacità di adattamento di Frontex, a fronte della recente emergenza creatasi sulla frontiera terrestre tra la Grecia e la Turchia, è la prima operazione Rabit, acronimo che significa rapid border intervention teams, grazie alla quale Frontex ha mobilitato un numero cospicuo di risorse nazionali. Hanno partecipato a questa operazione 24 Stati membri tra cui l’Italia, che ha fornito, se non ricordo male, cinque ufficiali di polizia, per rafforzare i controlli alla frontiera greco – turca, su richiesta della Grecia, sottoposta ad una straordinaria pressione su quella frontiera terrestre.
Frontex quindi è uno strumento dinamico, la cui operatività può sicuramente essere migliorata. In passato abbiamo avuto forse qualche motivo di rimprovero nei confronti di Frontex sul piano dei controlli delle frontiere marittime, ma credo che su questo vi abbia intrattenuto il Ministro Maroni.
A me preme far rilevare, da un lato, che c’è una disponibilità e una volontà comune di riformare Frontex, nel senso di renderla più efficace e più operativa, dall’altro che comunque Frontex, se sollecitata, sia pure con i mezzi limitati di cui dispone, è riuscita a dare una risposta, come testimonia quanto accaduto sulla frontiera greco-turca.
Ultimo tema è quello dell’adesione di Bulgaria e Romania al sistema di Schengen. So che la questione viene seguita con comprensibile preoccupazione non solo in Italia, ma anche in altri Paesi; io volevo ricordarvi che l’adesione al sistema Schengen si fonda su un meccanismo fiduciario rafforzato, nel quale la verifica dell’attuazione degli impegni assunti dagli Stati non si limita all’aspetto formale, ma si spinge in questo caso devo dire in maniera inusualmente invasiva a un esame di merito e di efficacia. È quello che stiamo facendo con Bulgaria e Romania, è quello che abbiamo fatto in passato con tutti i Paesi che hanno chiesto di aderire a Schengen ed è lo stesso tipo di controllo invasivo che ha subito l’Italia quando a suo tempo ha aderito, non senza qualche difficoltà, al meccanismo di Schengen. Nel nostro caso si trattava soprattutto di difficoltà di collegamento con il sistema informatizzato di raccolta dei dati il cosiddetto SIS, che è una delle tante complessità.
Oggi la valutazione di conformità agli standard di Bulgaria e Romania è abbastanza positiva, si tratta in particolare di un sufficiente livello di conformità agli standard. Nel caso della Bulgaria la valutazione per ora è quella di una sufficiente preparazione all’applicazione delle prescrizioni degli standard correlati; allo stato attuale la Commissione giudica che se la Bulgaria prosegue nel percorso che gli è stato indicato, attuando le ultime misure che le sono state richieste, dovrebbe essere possibile una raccomandazione in senso positivo. Per la Bulgaria, ma come vedremo anche per la Romania, la questione più delicata che resta ancora aperta è quella dei controlli alle frontiere esterne della Bulgaria, che, dopo l’adesione, diventeranno frontiere esterne comuni dell’Unione. È una giusta e legittima preoccupazione ancor più forte nel caso della Romania.
I controlli vengono effettuati quindi su settori che vanno dalla cooperazione di polizia alla protezione dei dati, alla gestione dei visti nelle frontiere aeree, terrestri e marittime. C’è un’ampia e minuziosa gamma di controlli che viene esercitata non solo dalla Commissione, ma da quest’ultima con l’assistenza di esperti che vengono mandati dagli Stati membri. Lo stesso vale per la Romania, si valuta che il Paese abbia dimostrato di essere sufficientemente preparato ad applicare prescrizioni e standard propri di Schengen; il punto delicato anche per questo Paese è quello dei controlli alle frontiere esterne.
Nessuna questione invece è stata mai sollevata durante la fase di valutazione sul tema della libera circolazione dei cittadini bulgari e rumeni all’interno del territorio dell’Unione, anche perché nel momento in cui è stato abolito il regime dei visti per questi Paesi, buona parte delle preoccupazioni collegate alla libera circolazione di questi cittadini erano state all’epoca già superate.
La vera sfida su cui in questi ultimi mesi Bulgaria e Romania dovranno essere in grado di aver fatto completamente e bene il loro «compito a casa» è quello del controllo delle frontiere esterne. Il meccanismo di valutazione di Schengen è congegnato in modo tale che una volta entrati non si smette di essere esaminati: è un meccanismo costante di monitoraggio sulle capacità di applicazione di standard comuni per tutti gli Stati membri. Questo vale sia per i membri originari, sia per i membri che avranno diritto successivamente e varrà ancor più per Bulgaria e Romania, proprio per il motivo che l’adesione al meccanismo di Schengen trova il suo fondamento in un rapporto fiduciario che funziona se, a fronte delle verifiche, gli Stati membri di Schengen avranno dimostrato di essere in grado di rispettare pienamente regole, standard e criteri comuni.
Credo di aver esaurito la mia esposizione e sono a disposizione per eventuali domande e chiarimenti.
PRESIDENTE. Desidero ringraziare ancora l’ambasciatore Nelli Feroci per questa sua straordinariamente ricca esposizione ultime sugli ultimi sviluppi delle politiche dell’Unione europea sul problema dell’immigrazione. Mentre era in corso questa audizione ci hanno raggiunto telefonicamente i senatori Stiffoni e Livi Bacci che dovevano essere qui e che si scusano per la loro assenza dovuta alla contemporaneità del lavoro in altre Commissioni parlamentari; analogo rammarico per l’assenza dovuta alle stesse ragioni hanno espresso i colleghi deputati Delfino, Paladini, Crosio e Taddei.
Ringrazio l’onorevole D’Ippolito che è riuscita a essere presente; come ho avuto modo di spiegare all’ambasciatore non poteva crearsi un intreccio di orari più complicato di quello che si è verificato oggi.
DIANA DE FEO. Mi scusi, presidente, devo allontanarmi per recarmi in un’altra sede per le votazioni, sono però riuscita ad assistere e ad ascoltare tutto l’intervento dell’ambasciatore, che ringrazio.
PRESIDENTE. Desidererei porre, ambasciatore, alcuni quesiti. Mi riallaccio alle sue ultime considerazioni per quanto riguarda la proposta italiana di modifica della direttiva 2004/38/CE che, da quanto ricordo, contempla già la possibilità di un allontanamento nei confronti di quei cittadini comunitari che si recano in altri Paesi senza avere i requisiti del reddito minimo e dell’abitazione, e che dovrebbe scattare dopo circa tre mesi. Questo punto, sul quale il Governo italiano è intervenuto, non è stato specificato meglio. Volevo chiederle, pertanto, se poteva elaborare maggiormente questo aspetto, a mio avviso molto importante.
Per quanto riguarda Frontex, mi sembra evidente che siamo di fronte ad un valoroso tentativo di rendere questa agenzia la più operativa possibile, non soltanto dal punto di vista di sorveglianza di alcune frontiere marittime, ma come una sorta di vera e propria polizia di frontiera europea e non più nazionale. Volevo una conferma per la nostra obiettiva sensazione dopo l’interessantissimo breefing avuto a Varsavia.
Ritengo, infine, che sarebbe molto interessante per il Comitato conoscere quale è lo stadio, immagino avanzato, di un accordo di riammissione collettivo, cioè europeo, per quanto riguarda gli immigrati illegali provenienti dalla Turchia. Come ben sappiamo, a darci una mano, paradossalmente, è la gravissima crisi nella quale si trova anche l’Europa in questo momento, una crisi finanziaria, ma anche economica e di occupazione, che alleggerisce la pressione alle nostre frontiere. Dal lungo elenco che lei ha fatto, ambasciatore, emerge perfettamente che il primo pensiero dell’Unione europea è come salvaguardarsi, come tutelarsi, come impedire e come sigillarsi e tirare giù le saracinesche nei confronti del fenomeno delle migrazioni di massa che hanno caratterizzato questi ultimi decenni.
Do ora la parola ai colleghi deputati e senatori che intendono porre quesiti e formulare osservazioni.
IVANO STRIZZOLO. Ringrazio l’ambasciatore Nelli Feroci per la esaustiva seppur sintetica esposizione, che ha toccato molti punti importanti. Una prima considerazione: dal quadro che ci ha esposto comprendo che finalmente, a livello di Unione europea, c’è uno sforzo forse per recuperare il tempo perduto nell’affrontare in maniera più collettiva e più comunitaria il tema delicato e complicato dell’immigrazione, posto che il nostro Paese e quelli del bacino del Mediterraneo appartenenti all’Unione europea siamo i più esposti.
Da quello che lei ci riferisce si comprende che finalmente c’è una «accelerazione» dell’Unione europea per affrontare diverse questioni. Dal momento che non c’è il tempo per approfondire tutti i punti che lei ha toccato, mi limito a due richieste.
In primo luogo vorrei sapere qualcosa in più circa lo sforzo che dovrebbe essere fatto dall’Unione europea per realizzare una politica sempre più comune relativamente ai richiedenti asilo.
In secondo luogo esprimiamo un giudizio positivo su quanto avevamo già sentito nel corso della nostra visita a Varsavia presso l’Agenzia Frontex, circa l’apertura di un ufficio in Grecia, Paese che sappiamo essere diventato nuovo terreno di approdo di larga parte di immigrazione dalla Turchia, che poi prosegue verso gli altri Paesi dell’Unione europea.
Abbiamo rappresentato nel corso di questa visita, facendo anche qualche riflessione fra noi componenti di questo Comitato, la necessità di andare avanti su un rafforzamento dell’Agenzia Frontex, dandole maggiore autonomia operativa. C’era un punto che nel complesso della funzione e del ruolo di questa Agenzia può essere secondario o marginale, ma per quanto riguarda il nostro Paese abbiamo colto una condizione per la quale spesso l’Agenzia Frontex non utilizza gli apparati e le strutture del nostro Paese per far fronte alla sua missione.
Questo è anche un dato di «ritorno economico», nel senso che il nostro Paese contribuisce come gli altri Paesi ad alimentare finanziariamente l’Agenzia Frontex e questa, in base a criteri e a programmi, assume delle decisioni quando deve attuare i propri interventi e si avvale operativamente di gruppi, di squadre, di attrezzature, di mezzi che appartengono ai singoli Paesi.
Pertanto, anche se, ripeto, può essere nella politica complessiva di Frontex un aspetto secondario, vorrei capire se nell’ambito di questa ristrutturazione, riorganizzazione e rafforzamento di Frontex si tiene conto dei Paesi che possono offrire le migliori garanzie dal punto di vista dell’efficienza e della qualità dei servizi e dei mezzi da mettere a disposizione, oppure se questo aspetto non viene tenuto in particolare considerazione. Dopo la visita che abbiamo effettuato era emerso anche questo problema.
Ci sarebbero altri punti da toccare, ma il tempo scorre veloce e alle 15 dobbiamo rientrare in Aula alla Camera. La ringrazio per l’esposizione e per il quadro che ci ha fatto.
PRESIDENTE. Ha la parola l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci per rispondere ai quesiti proposti.
FERDINANDO NELLI FEROCI, Capo della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea. Grazie, cercherò di rispondere rapidamente ai vari quesiti.
La presidente Boniver ha parlato della direttiva 2004/38/CE, che è costata fatica negoziare, perché è stata una delle direttive più complicate e politicamente più sensibili e, se posso aggiungere, anche delle più difficili da attuare operativamente negli ordinamenti interni.
Nell’estate e nell’autunno del 2008, se non sbaglio, si era aperto un ampio dibattito in Consiglio, non a seguito di vicende originate in Italia, vorrei chiarirlo, ma da una sentenza della Corte di giustizia su un caso che aveva avuto origine in Irlanda, sull’opportunità di rivedere i termini della direttiva 2004/38/CE. Si è preferito poi non aprire quello che era considerato un pericoloso vaso di Pandora, un equilibrio raggiunto in maniera molto difficile.
Sta di fatto però che nel momento dell’applicazione pratica, non solo in Italia, ma in molti Paesi membri, abbiamo potuto constatare che la direttiva contiene delle lacune che nemmeno le modalità di interpretazione che la Commissione ci ha fornito nel 2009 aiutano a colmare.
Una delle lacune è quella a cui accennava la presidente Boniver e cioè la circostanza che la direttiva, mentre è abbastanza chiara sulle condizioni alle quali a un cittadino comunitario è consentito di continuare a soggiornare nel territorio di un altro Stato membro trascorsi i tre mesi che gli sono comunque consentiti dal visto per motivi turistici, cioè la capacità di dimostrare di avere mezzi di sostentamento, nulla dice nell’ipotesi in cui invece si constati che quel cittadino comunitario non dispone di mezzi adeguati di sostentamento.
Senza dover quindi citare il termine espulsione, che è già di per sé controverso, la possibilità che si possano immaginare delle situazioni in cui è consentito l’allontanamento o il riaccompagnamento del cittadino nel suo territorio di origine, è una questione che è stata posta alla Commissione non solo dal Governo italiano.
Qualche settimana fa il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che abbiamo sottoposto ai servizi della Commissione perché vogliamo procedere con loro in maniera collaborativa e cooperativa per ottenere una luce verde sulla possibilità di procedere a un esame del disegno di legge senza incorrere in un rischio di procedura di infrazione. Ci auguriamo che dal dialogo avviato con la Commissione si possano definire esattamente i termini e le condizioni alle quali è possibile procedere all’allontanamento dal territorio nazionale di cittadini comunitari che non sono in grado di dimostrare che hanno i mezzi per rimanere nel territorio stesso.
L’idea di un corpo comune, come vi accennavo, è qualcosa che va oltre le finalità di Frontex, che nasce come Agenzia che funziona perché riesce a far lavorare insieme forze nazionali di polizia o altre con il compito del controllo delle frontiere esterne. Sulla possibilità di procedere verso la creazione di un corpo comune ancora non si è andati avanti, sarà importante che da comitati come questo possano emergere delle indicazioni indirizzate al Governo.
Se dovessi dare un giudizio mi sembra che per ora prevalga un atteggiamento di prudenza, non dico nella posizione italiana, ma in generale, e il motivo è abbastanza comprensibile: il controllo delle frontiere esterne viene percepito legittimamente come una delle funzioni in cui si manifesta la sovranità di un Paese. Pertanto l’idea che si continui a procedere rafforzando la cooperazione tra forze nazionali è forse allo stato attuale più praticabile che non quella – che io peraltro non mi sento di escludere, ma se dovessi dare un giudizio mi sembra meno a portata di mano – della collaborazione fra forze nazionali.
Frontex in Grecia è sicuramente uno sviluppo importante fortemente sostenuto da anni, noi volevamo un ufficio regionale di questa Agenzia che lavorasse sul Mediterraneo e per il Mediterraneo, perché avevamo individuato da tempo il Mediterraneo come area di altissima criticità sotto il profilo degli afflussi massicci di immigrazione illegale; è uno sviluppo positivo e non a caso è proprio la Grecia che si è dimostrata in questa fase l’anello debole della catena.
Quanto alla possibilità e opportunità che Frontex si avvalga di assets e di mezzi nazionali, non ho una risposta precisa perché non ho con me il quadro delle operazioni a cui partecipa l’Italia e di quelle alle quali ha preferito non partecipare; credo che dipenderà molto anche dalle scelte dei singoli Paesi membri al momento dell’offerta della possibilità di intervenire. Penso soprattutto alle operazioni sulle frontiere marittime, dove effettivamente partecipare vuol dire mettere a disposizione assets, ossia imbarcazioni, radar, equipaggi con una formazione specifica e quindi anche di avvalersi di tecnologie e di equipaggiamenti nazionali.
Per quanto riguarda gli accordi di riammissione, il tema è molto delicato e critico, perché come Unione europea siamo riusciti a negoziare e concludere accordi con 11 Paesi terzi che sono l’Albania, la Bosnia, la Macedonia, il Montenegro, l’Ucraina, la Russia, la Serbia, Hong Kong, Makao, Sri Lanka e Pakistan. Alcuni di questi Paesi sono sicuramente particolarmente sensibili, per alcuni di loro è abbastanza semplice e agevole capire perché abbiamo concluso l’accordo, perché sono Paesi ai quali l’incentivo che offrivamo era molto forte. Sto pensando ai Paesi dei Balcani, Albania, Bosnia, Macedonia, Montenegro, abbastanza facili da convincere a concludere degli accordi di riammissione. Si sta rivelando molto più difficile purtroppo con Paesi ad alta criticità come il caso della Turchia, che ha citato la presidente Boniver, e con la Libia, tanto per fare il nome di un Paese che per noi è ad altissima criticità.
I Paesi terzi, a meno che non abbiano fortissimi incentivi o pressioni o un rapporto di do ut des per cui riescono a compensare su altri fronti, sono abbastanza riluttanti a concludere accordi di riammissione con l’Unione europea e lo posso anche capire dal loro punto di vista.
Il caso della Turchia è clamoroso particolarmente rilevante. Siamo formalmente in negoziato con la Turchia da otto anni e nonostante segnali contraddittori che di tanto in tanto possiamo raccogliere – sembra a volte che si facciano dei passi avanti poi se ne fanno alcuni indietro – di fatto questo accordo non si è ancora sbloccato. Devo ritenere purtroppo che il quadro sia più complesso e di carattere molto più generale e non mi sorprende la resistenza della Turchia a chiudere su un accordo che è di grande interesse per l’Unione. C’è evidentemente il desiderio del governo turco di collegare questo dossier con quello più complessivo della prospettiva dell’ingresso nell’Unione europea della Turchia, che in questo momento è seriamente in difficoltà.
Per quanto riguarda la constatazione del vicepresidente su una nuova attenzione ai fenomeni migratori, direi che effettivamente è così, ed è stata fortemente voluta soprattutto dall’Italia e dal gruppo di Paesi più esposti poiché si affacciano sulla sponda sud del Mediterraneo. Ciò però non significa automaticamente che la maggiore attenzione e il maggiore senso di urgenza politica si possano tradurre automaticamente in misure e decisioni operative; bisognerà continuare a mantenere questa pressione, a far valere il principio della solidarietà e a mantenere vigile l’attenzione nella Commissione e delle istanze dell’Unione su questo tema.
Abbiamo recentemente registrato dei progressi particolarmente significativi sul fronte del rapporto con la Libia; una visita dei commissari Malmstrom e Fuele ha fatto registrare un accordo che sulla carta è estremamente ambizioso e importante e spero si confermi nei fatti. Sicuramente abbiamo raccolto alcuni frutti del nostro impegno di questi ultimi due anni.
Circa le prospettive per una politica comune dell’asilo, stiamo procedendo come accennavo, faticosamente e con non poche difficoltà, perché se a parole tutti condividono l’obiettivo di un sistema comune di asilo, nei fatti constatiamo che non è facile procedere. Vorrei però dire su questo una parola di prudenza e di chiarezza: non dobbiamo pensare che sia facile e agevole tradurre in termini operativi il principio di solidarietà in materia di ridistribuzione di richiedenti asilo. A volte si è data l’impressione che fossimo un Paese particolarmente sottoposto a pressione sul fronte dei richiedenti asilo, ma nella percezione europea non siamo un Paese particolarmente esposto sotto il profilo dei numeri; non ho con me le statistiche, ma ci sono Paesi che hanno molti più richiedenti asilo di noi, sono i Paesi del nord Europa, anche perché sono noti come particolarmente aperti nei confronti dei richiedenti asilo e in secondo luogo perché i veri Paesi che rappresentano un’emergenza nella percezione europea sono quelli che hanno in termini assoluti un numero relativamente modesto di richiedenti asilo, che però rispetto al territorio di cui dispongono diventa un numero assolutamente sproporzionato e ingestibile. Penso soprattutto a Malta, ma anche in parte a Cipro, piccoli Paesi che per la loro posizione geografica nel cuore del Mediterraneo sono a rischio di massicci afflussi in numeri che magari per la Germania, per la Svezia o anche per l’Italia sarebbero gestibili ma per loro diventano un fenomeno di crisi maggiore, di emergenza nazionale.
Gli unici due esempi di solidarietà operativa sono stati una decisione ad hoc che fu adottata nel 2008 per rifugiati politici iracheni su base volontaria: un gruppo di Paesi europei si è assunto l’onere di ospitare nel proprio territorio dei rifugiati politici iracheni che si trovavano nei Paesi vicini, in particolare in Siria ma non solo. Più di recente, su appello di Malta, è stato attuato un meccanismo di ridistribuzione su base volontaria di asilanti, di cui si sono fatte carico soprattutto la Francia e la Germania.
Credo che il principio della volontarietà dei meccanismi di ridistribuzione sia insuperabile allo stato attuale, non credo che ci siano le condizioni per ipotizzare o immaginare meccanismi di ridistribuzione degli asilanti su base obbligatoria.
PRESIDENTE. Ognuno fa da sé.
FERDINANDO NELLI FEROCI, Capo della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea. Sostanzialmente sì, con queste note di cautela che vi dicevo per quei Paesi su cui l’impatto del numero dei richiedenti asilo può essere particolarmente destabilizzante.
PRESIDENTE. Ringrazio l’ambasciatore per il suo intervento. Dichiaro conclusa l’audizione.