Rappresentanti delle regioni Veneto e Lazio
L’assessore alle politiche dell’economia, dello sviluppo, della ricerca e dell’innovazione della regione Veneto, Vendemiano Sartor, ha messo in evidenza anzitutto alcuni dati sul settore manifatturiero nel Veneto, che riguardano il 30 per cento delle imprese (circa 104 mila su 500 mila) e il 40 per cento di occupazione, corrispondente a oltre 820 mila persone, con punte, su alcune province – in particolare Vicenza e Treviso – che toccano il 35 per cento delle imprese e il 45 per cento dell’occupazione.
Il settore attualmente presenta alcune problematiche, derivanti principalmente dalla crisi finanziaria, ma in alcuni casi (ad esempio nel settore della chimica) anche di natura strutturale.
I dati relativi al secondo semestre dell’anno 2009 fanno emergere un calo del 15 per cento della produzione e del 16 per cento degli ordini totali, in dipendenza, soprattutto, di un calo delle vendite all’estero. Alcuni settori ne soffrono maggiormente, in particolare quelli legati ai metalli, che registrano anche una diminuzione del 30 per cento, relativa soprattutto al sistema della meccanica e della meccatronica applicate al sistema di costruzione di impianti e macchinari.
Ciò comporta anche un riflesso sull’occupazione. Il tasso di disoccupazione, solitamente inferiore al 3 per cento nel territorio veneto, pur rimanendo al di sotto della media nazionale risulta aumentato ormai di oltre due punti.
La regione sta cercando di intervenire su alcuni parametri della congiuntura, soprattutto sul settore del credito e dell’occupazione: è stato stipulato un accordo con il sistema bancario per moratorie e interventi di straordinarietà, sono state destinate risorse comunitarie ad interventi di innovazione, ricerca, internazionalizzazione e ingegneria finanziaria, si è agito con la liberalizzazione per stimolare la partenza di nuove imprese. Per quanto riguarda l’occupazione, oltre alle tutele passive sono previste rimodulazioni del Fondo sociale europeo per alcune tutele attive, soprattutto sulla formazione e la rioccupazione delle risorse umane.
A parte il territorio di Marghera, la realtà del Veneto è costituita da un tessuto di piccole e medie imprese diffuse sul territorio, che accusa ora la sofferenza maggiore anche in termini di occupazione.
La cassa integrazione in deroga, che coinvolge per il 77 per cento imprese artigiane, ha attualmente 47 mila lavoratori in carico. Considerato che l’occupazione complessiva dell’artigianato è di 210 mila dipendenti, significa che 23-24 per cento del settore ha richiesto l’utilizzo di questi ammortizzatori specifici.
Nel territorio di Marghera, oltre alla chimica vi è insediato anche il «meta distretto» digital-mediale, che attualmente presenta una situazione meno problematica rispetto agli altri settori.
Un settore sul quale la Regione sta investendo molto, sia dal punto di vista dello start-up che del finanziamento per le imprese, e su cui c’è un accordo anche con il Ministero dello sviluppo economico è quello delle nanotecnologie. Tale settore è in crescita, però attualmente esso risulta relativamente ininfluente nell’ambito del’intero tessuto produttivo.
L’assessore, infine, ha illustrato le modalità di finanziamento del sistema imprese tramite la società finanziaria Veneto Sviluppo Spa (al 51 per cento di capitale regionale e al 49 per cento delle banche), evidenziando che – in relazione ai tempi per ottenere un finanziamento – il passaggio per la finanziaria regionale richiede, in media, venti giorni in più rispetto a un finanziamento normale della banca. In questo periodo di crisi, inoltre, i fondi di rotazione, che normalmente erano utilizzati solo per investimenti, vengono utilizzati anche per liquidità temporanea.
L’assessore alla piccola e media impresa, commercio e artigianato della regione Lazio, Daniele Fichera, ha puntualizzato che la peculiarità del Lazio è quella di aver apparentemente risentito della crisi meno di altre aree, perché la quota di produzione esposta al ciclo internazionale della regione è, sul totale, non particolarmente elevata. Questo, secondo gli indicatori, ha attutito gli effetti complessivi della crisi, ma non gli aspetti specifici.
Il complesso dell’economia regionale, dunque, tiene per il peso determinato non tanto dalla pubblica amministrazione, quanto dai servizi di tipo metropolitano, che sono comunque anticiclici. Il comparto industriale, invece, soffre con particolare evidenza: nell’ultimo periodo la cassa integrazione guadagni ha avuto una crescita esponenziale di utilizzo. Gli effetti della crisi si sono concentrati sul settore dell’economia laziale che aveva avuto, nell’ultimo decennio, un’evoluzione in direzione del rafforzamento delle aree del manifatturiero, quelle più dinamiche e più esposte alla concorrenza.
Si temono inoltre gli effetti indotti, di seconda fase, della crisi, che derivano dal ciclo dei consumi e si scaricano sull’economia dei servizi.
Attualmente la Regione sta cercando di passare, nel campo degli strumenti di incentivazione e di supporto al credito, da un’impostazione strutturale a una congiunturale, mettendo tali strumenti a disposizione del sistema delle imprese in quanto tale, e non di particolari filiere o di settori innovativi.
È stata poi conclusa un’intesa con il sistema bancario che consentirà l’attivazione di un flusso di credito alle imprese di 240 milioni nei primi mesi del 2010, metà ricavati spostando, come si diceva, i fondi regionali, e gli altri messi a disposizione dal sistema bancario.
Assumono una particolare importanza, in questa fase, decisioni come l’innalzamento del de minimis, che consente di gestire alcune situazioni di difficoltà.
Sul fronte della patrimonializzazione delle imprese, è in via di definizione un accordo per un meccanismo simile a quello appena descritto, che prevede la compartecipazione del sistema bancario e del finanziamento pubblico.
È stata poi evidenziata l’esigenza di un perfezionamento degli strumenti che riguardano le situazioni di crisi per le imprese di media dimensione. Alcune di queste erano nate e si erano sviluppate, negli ultimi anni, con una proiezione internazionale, rappresentando con ciò una novità per il tessuto imprenditoriale laziale, e che rischiano di chiudere proprio perché non vivono in un ambiente diffuso, che assorbe tali impatti. Per quanto riguarda le piccolissime imprese, risulta particolarmente pressante la domanda di credito commerciale, e dunque sarebbero opportuni in via eccezionale strumenti di tipo agevolativo al credito ordinario. Inoltre, ragionando in termini di piccolissime imprese, si avrebbe alla fine una distribuzione del rischio su una moltitudine di casi, il che consentirebbe di assorbirne i costi.
Un’ulteriore esigenza di revisione è stata manifestata in merito ad alcuni strumenti di tipo programmatorio, definiti «pre-crisi», come l’individuazione delle zone franche, in cui concentrare alcune operazioni che, essendo state definite in un contesto che non teneva conto dell’impatto degli ultimi due anni, potrebbero non risultare effettivamente corrispondenti alle necessità del territorio.
Prof. Marco Fortis, docente di economia industriale presso l’Università cattolica di Milano
Il prof. Fortis ha ricordato che l’origine della crisi economica è da rinvenirsi nella gigantesca bolla immobiliare e finanziaria che, a partire dall’inizio di questo decennio, ha avuto il suo epicentro negli Stati Uniti, coinvolgendo però anche diversi altri Paesi avanzati, in modo particolare la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Spagna. La crisi si è poi rapidamente trasferita all’economia reale e si è verificato un vero e proprio crollo del commercio mondiale, generando un impatto formidabile soprattutto sul settore manifatturiero. Pertanto, paradossalmente, il calo del prodotto nazionale è stato meno forte nei Paesi che hanno generato la crisi, come, per esempio, gli Stati Uniti, ma anche la stessa Gran Bretagna e la Spagna, rispetto ad altri che, invece, non vi hanno concorso, come la Germania, il Giappone e la stessa Italia, perché, in quanto paesi manifatturieri ed esportatori, hanno sofferto per la caduta dei consumi altrui, più che dei propri.
Fortunatamente, alcuni punti di forza hanno consentito all’Italia di sopravvivere alla tempesta:
la bassa esposizione del sistema bancario italiano verso i Paesi più colpiti dalla turbolenza finanziaria;
il ridotto indebitamento delle famiglie italiane;
la specializzazione nell’economia reale, in modo particolare nel manifatturiero.
Quest’ultimo punto di forza però – almeno nel breve periodo – costituisce al contempo un elemento di vulnerabilità.
Grazie agli ammortizzatori sociali, ha tenuto abbastanza fino ad ora anche il nostro mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione a giugno 2009 vede l’Italia con il tasso di disoccupazione più basso tra i grandi Paesi europei e gli Stati Uniti, anche se tale indicatore non coglie esattamente la situazione del mercato del lavoro in quanto sconta un effetto di scoraggiamento.
Un ulteriore elemento positivo è che anche i composite leading indicator dell’OCSE dimostrano che l’Italia – insieme alla Francia e alla Germania – potrebbe essere uno dei primi Paesi ad agganciare la ripresa internazionale.
Non vanno, però, sottovalutati i rischi per l’Italia di una ripresa mondiale troppo fiacca e lenta, soprattutto per le pressioni internazionali sul debito pubblico.
Vi sono poi altri aspetti critici per l’Italia:
il rischio di mortalità eccessiva di un gran numero di piccole e medie imprese, soprattutto dell’indotto manifatturiero;
l’aumento della disoccupazione, soprattutto tra i lavoratori precari;
la caduta dell’export (ben 67 miliardi di euro da ottobre 2008 a settembre 2009) insieme al calo degli investimenti delle imprese esportatrici.
La crisi, comunque, secondo il prof. Fortis, non annichilirà le nostre competenze manifatturiere: secondo gli ultimissimi dati elaborati sulla base delle statistiche del WTO per il 2008 l’export dell’Italia di meccanica non elettronica e mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli – 178 miliardi di dollari nel 2008 – è più alto rispetto a quello di prodotti per le telecomunicazioni della Cina, il primo esportatore mondiale in questo comparto hi-tech. Ciò dimostra che la nostra meccanica tradizionale, che alcuni ritengono obsoleta, esporta più del maggiore settore hi-tech che esista oggi al mondo, insieme all’elettronica dei computer, ossia quello dei prodotti per le telecomunicazioni (telefonia cellulare, radio, tv, schermi al plasma). Anche i nostri beni per la persona e per la casa diversi dal tessile e abbigliamento – 51 miliardi di dollari di esportazione nel 2008 – valgono di più dell’export degli Stati Uniti, sempre nei prodotti per le telecomunicazioni.
Infine, il tessile e abbigliamento, nonostante tutti i problemi e i disastri che ben conosciamo in molti distretti, la concorrenza asiatica, le crisi di Prato, della Val Seriana, di Busto Arsizio, di Como, di Biella, ha esportato prodotti per 41 miliardi di dollari nel 2008, mentre il Giappone, sempre per quanto riguarda i prodotti per le telecomunicazioni, ne ha esportati solo 34.
Per quanto riguarda gli interventi, secondo il Prof. Fortis più che rilanciare i consumi occorre rilanciare gli investimenti produttivi, e l’Europa è l’unica area del mondo che al momento può permetterselo.
Ambasciatore Antonio Armellini, rappresentante italiano presso l’OCSE
L’ambasciatore Armellini ha evidenziato che l’ultimo Economic Outlook dell’OCSE conferma i segnali di ripresa dell’attività economica a livello mondiale, anche se la crescita, a mano a mano che si esce dalla recessione, si preannuncia debole e ancora decisamente dipendente dagli interventi pubblici, nonché dalla dinamica delle economie emergenti, in primo luogo quella cinese.
Le variabili rilevanti per capire la reazione dei singoli Paesi alla crisi e le loro prospettive di crescita, sono, nell’analisi nell’OCSE:
il commercio internazionale (i Paesi maggiormente colpiti dalla crisi internazionale sono stati quelli con economie più legate al commercio internazionale, quali il Giappone, la Germania e l’Italia, ma è probabile che proprio questi saranno i più avvantaggiati dalla ripresa degli scambi a cui si sta assistendo);
l’esposizione e il peso del settore finanziario (l’Italia è stata valutata come uno dei Paesi meno investiti dalla dimensione finanziaria della crisi, ma l’alto debito pubblico costituisce effettivamente un freno);
lo spazio di manovra dei bilanci pubblici (l’alto debito pubblico italiano è visto come un punto di debolezza);
le condizioni strutturali dal lato dell’offerta (le deboli condizioni strutturali dell’economia italiana costituiscono un freno per la ripresa).
Per il mercato del lavoro, il quadro complessivo appare in peggioramento, dato anche lo sfasamento temporale tradizionale fra ciclo economico e occupazione. In l’Italia, il dato per il 2010 del tasso di disoccupazione si attesta all’8,5 per cento per salire all’8,7 nel 2011.
L’OCSE sottolinea anche l’opportunità di interventi settoriali, che sono stati adottati in settori specifici, in primo luogo quello automobilistico, che è stato giudicato utile a diminuire l’impatto della crisi. Tuttavia siccome tale mercato è saturo, soprattutto in Italia, andrebbero evitati interventi che inibiscano i necessari aggiustamenti strutturali e sviluppate invece politiche volte ad accrescere l’eco-compatibilità dei nuovi prodotti, nonché a facilitare una maggior penetrazione nei mercati automobilistici cinesi e indiani.
La debolezza maggiore della timida ripresa cui stiamo assistendo risiede, secondo l’OCSE, nella dipendenza dall’intervento pubblico.
Un altro aspetto sottolineato dall’OCSE, è la necessità di reintrodurre nel sistema, appena possibile, maggiori dosi di concorrenza nel settore bancario che, a seguito della crisi, è stato in parte rinazionalizzato e ha visto ridursi considerevolmente il numero delle banche.
Infine, l’Ambasciatore ha ricordato due importanti strumenti operativi a livello globale per fuoriuscire dalla crisi: l’innovazione e la crescita verde, ossia compatibile con la tutela dell’ambiente.
Claudio SCAJOLA, ministro dello sviluppo economico
Il ministro Scajola ha anzitutto indicato i due i pilastri fondamentali della strategia del Governo per fronteggiare la crisi:
misure anticongiunturali in grado di fronteggiare l’emergenza, salvaguardando strutture produttive e occupazione;
riforme strutturali, che pongano le basi per un recupero di competitività allo «svegliarsi» della ripresa.
Sul fronte anticongiunturale, sono stati rafforzati gli ammortizzatori sociali con 8 miliardi di euro e sono stati stimolati i consumi in settori strategici della nostra economia, con gli incentivi per le auto, gli elettrodomestici ecocompatibili, gli sgravi fiscali per le ristrutturazioni edilizie che rispondano a criteri di efficienza energetica e il Piano casa che le regioni stanno mettendo in cantiere su concorde individuazione di linee guida da parte del Governo centrale.
Per assicurare alle imprese accesso al credito e liquidità, allentando la morsa esercitata dalla stretta creditizia, lo strumento che ha meglio funzionato e ha avuto un riscontro oggettivo nel mondo delle imprese è il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Nei primi dieci mesi, ha dato risposta a 18 mila aziende, ha consentito finanziamenti per complessivi 3,6 miliardi, ossia il 90 per cento in più rispetto all’ottobre 2008.
A questi strumenti, che riguardano trasversalmente tutti i comparti produttivi, è stata affiancata una gestione capillare delle crisi di ciascun settore e delle singole imprese più importanti, con la costituzione presso il Ministero di oltre 150 tavoli per la gestione di crisi settoriali e aziendali, che coinvolgono più di 300 mila lavoratori.
Per quanto riguarda le politiche strutturali, in grado di consolidare la ripresa e di innalzare in modo stabile il livello di competitività del nostro sistema Paese, sono usciti tre bandi del programma di incentivi all’innovazione industriale, con la destinazione di 570 milioni a progetti innovativi della mobilità sostenibile, dell’efficienza energetica e delle nuove tecnologie del made in Italy.
Il Ministero sta poi lavorando alla ridefinizione del credito di imposta per la ricerca, importante soprattutto per le piccole e medie imprese, che stentano a reperire le risorse da investire in ricerca.
Per le piccole e medie imprese, in particolare, gli obiettivi principali sono: aggregazione e capitalizzazione. È stato, in proposito, varato il contratto di rete per le imprese.
Per la grande industria – anch’essa seriamente colpita dalla crisi – il Governo punta a promuovere e valorizzare, anche con accordi internazionali, le nostre competenze e i nostri asset tecnologici nei settori dell’aerospazio, dell’energia, dei trasporti, delle grandi infrastrutture, della cantieristica e dell’auto. Un altro settore di rilevanza strategica è quello della chimica di base.
Con riferimento alle azioni di promozione e di sostegno all’attività internazionale delle nostre imprese, nella legge «sviluppo» (L. 99/2009) è stata prevista la revisione degli enti di internazionalizzazione ICE, Simest, Finest, Informest, Camere di commercio all’estero, con l’obiettivo della legge di adeguare la missione di questi enti alle esigenze dei mercati in rapidissima evoluzione e quindi di accrescerne l’efficacia, l’efficienza e di potenziarne l’azione.
L’azione a tutela delle produzioni del made in Italy sta procedendo attraverso la nuova direzione generale per la lotta alla contraffazione e grazie alla nuova disciplina sanzionatoria delle false o fallaci indicazioni di provenienza introdotta dalla legge «sviluppo» e successivamente perfezionata con il decreto-legge «salvainfrazioni» (decreto-legge n. 135/2009).
Infine, il ministro ha ricordato alcuni importanti interventi strutturali non più rinviabili:
il piano infrastrutture;
lo sviluppo della banda larga;
la questione energetica, in termini di riduzione dei combustibili fossili, sviluppo delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica, rilancio del nucleare e potenziamento delle infrastrutture;
il superamento degli squilibri territoriali.
CONCLUSIONI
Le audizioni svolte nel corso dell’indagine conoscitiva hanno generalmente rilevato che la debolezza del nostro sistema industriale dipende da molteplici fattori:
gli eccessivi costi dell’energia;
un sistema fiscale farraginoso e tendenzialmente spostato sulle imprese e sulle famiglie; un’insufficiente dotazione infrastrutturale con particolare riguardo ai settori del trasporto, della logistica e della banda larga;
una burocrazia lenta e ridondante;
uno scarso collegamento tra formazione, ricerca e imprese;
un costo elevato dei servizi bancari, delle assicurazioni, delle professioni e dei servizi in genere;
un mercato del lavoro ancora troppo caratterizzato da un’occupazione scarsamente posizionata nei settori tecnologici e della green economy;
il permanere di forti squilibri territoriali.
La timida ripresa in atto appare, nel nostro Paese, più debole a causa della limitata incidenza dell’intervento pubblico. È necessario un programma nazionale strategico che punti:
a introdurre nel sistema maggiori dosi di concorrenza a partire dal settore bancario;
a una politica energetica, in linea con le direttive dell’Unione Europea, fondata sull’efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture;
alla riallocazione delle energie lavorative sui livelli più alti della filiera produttiva e sui livelli più raffinati dal punto di vista tecnologico;
a un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze;
alla riduzione del carico fiscale e contributivo per liberare risorse da destinare alla produzione e al lavoro;
al sostegno della domanda, procedendo velocemente alle liberalizzazioni di settori protetti;
all’accelerazione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione; all’allentamento del Patto di stabilità interno per rilanciare in particolare il settore dell’edilizia;
a un migliore utilizzo dei fondi strutturali europei;
a modernizzare il sistema produttivo con lo sviluppo delle tecnologie ambientali e dei servizi sociali, settori che possono offrire interessanti sbocchi occupazionali.
ENERGIA
L’Italia deve stare al passo con gli ambiziosi obiettivi europei individuati nel pacchetto clima-energia. Il Paese soffre di un gap consistente dovuto all’elevato costo dell’energia rispetto ad altri competitori europei, in tale contesto le micro e piccole imprese hanno un ulteriore svantaggio nei confronti delle imprese di più grandi dimensioni. Il costo dell’energia è stato segnalato come elemento strutturale di debolezza anche del mercato dei filati e delle calze, laddove in Italia si paga circa il 20-30 per cento in più degli altri concorrenti e rispetto alla Francia quasi il doppio.
Conseguentemente si deve:
rivedere la disciplina che prevede l’annullamento dell’imposizione fiscale per le attività che superano la soglia dei duecentomila kilowattora/mese, a discapito delle attività che operano al di sotto di tale soglia;
sostenere la competitività delle imprese nazionali con una politica mirante a una maggiore differenziazione delle fonti energetiche e a ridurre in particolare il differenziale di costo del gas naturale (metano), rispetto ai competitori europei, che penalizza pesantemente le imprese industriali energivore;
favorire la concorrenzialità nel mercato del gas, dell’accesso alle reti, del potenziamento della capacità di stoccaggio, per garantire una maggiore pluralità e differenziazione sul lato dell’offerta, in modo da ridurre il costo del gas, principale materia prima di molte industrie manifatturiere, in particolare di quella delle ceramiche.
CREDITO
Il tema del credito è considerato centrale da tutti i soggetti auditi. Le banche sono determinanti per rendere la crisi meno profonda e duratura, ma non si considera ancora raggiunto l’obiettivo di conciliare il necessario equilibrio economico e patrimoniale con il sostegno finanziario alle imprese.
I punti più critici sono innanzitutto la quantità di credito che attualmente viene allocata sull’economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese e anche sulle famiglie, e il costo di tale credito.
Una migliore applicazione di Basilea 2 può rappresentare l’occasione per rendere più moderne e trasparenti le relazioni tra banche e imprese, consentendo alle singole aziende di beneficiare di condizioni dipendenti dalla propria qualità creditizia, senza dover scontare inefficienze di altri.
In attesa del completamento delle modifiche strutturali di Basilea 2, è necessario allentare i parametri imposti dagli accordi vigenti, rendendo meno stringenti i vincoli patrimoniali e consentendo alle banche di effettuare minori accantonamenti a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese, anche concertando con i partner europei un accordo, per un tempo non superiore a 18 mesi, la riduzione della ponderazione del rischio di credito che determina il livello di accantonamento delle banche.
Infine, è necessario operare sulla patrimonializzazione dei Confidi, attraverso un intervento di sostegno.
Altrettanto necessario è il rafforzamento delle banche italiane sui mercati internazionali, ritenute non adeguate alle necessità delle imprese, aumentandone la trasparenza e il coinvolgimento nel finanziamento di investimenti produttivi, anche individuando sistemi per «disintermediare» il credito e facilitare direttamente le imprese.
FISCALITÀ
Sul versante della fiscalità è stata da più parti sottolineata l’esigenza di misure eccezionali sul piano della riduzione del carico fiscale e contributivo, volte a garantire la sopravvivenza delle piccole e medie imprese tramite:
la sospensione degli acconti fiscali;
il versamento dell’IVA a fattura incassata, in particolare nei contratti di subfornitura;
l’abolizione dell’IRAP o, in subordine, la diminuzione della percentuale di acconto dell’IRAP, la deducibilità totale degli oneri finanziari ai fini IRAP, la previsione della deducibilità totale o parziale dell’IRAP dall’IRES e dall’IRPEF;
l’aumento della deducibilità degli interessi passivi ai fini IRES;
la revisione del Patto di stabilità interna al fine di liberare risorse per gli investimenti degli enti locali,
gli sgravi fiscali per gli investimenti sui beni strumentali compresi la ricerca e l’innovazione;
il ridimensionamento della portata degli studi di settore, riguardo agli accertamenti automatici i quali debbono concorrere più elementi, rivedendo i metodi di calcolo ed i moltiplicatori per tener conto del peggioramento dell’andamento dell’economia.
DISTRETTI INDUSTRIALI E PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Molte audizioni hanno trattato questo tema, le soluzioni che ne scaturiscono sono:
approvazione di provvedimenti volti ad agevolare le filiere produttive, in particolare per alcuni comparti, quali ad esempio il tessile-abbigliamento-calzaturiero, che risentono di situazioni di crisi «settoriali» precedenti a quella internazionale iniziata nella seconda metà del 2008;
maggiori iniziative a tutela delle risorse umane, adottando provvedimenti premianti non solo verso le aziende che assumono, ma anche verso le aziende che mantengano inalterati i livelli occupazionali;
sostegno al made in Italy con l’introduzione di un sistema di etichettatura obbligatoria per i prodotti commercializzati nell’Unione europea;
incentivi all’aggregazione tra imprese al fine di intervenire sull’assetto dimensionale del tessuto produttivo;
intervento sull’Unione Europea per promuovere, su scala mondiale, l’adozione di standard di reciprocità a livello sociale e ambientale, per evitare fenomeni di dumping, e affinché gli stati membri del WTO rimuovano le barriere non tariffarie che ostacolano l’accesso ai mercati;
promuovere un tessile «etico» per rilanciare i distretti del tessile attraverso il sostegno alle imprese che producono tipi di tessuto senza emissione di gas ad effetto serra, l’innovazione e la formazione con particolare riguardo alla realizzazione dei «tecnopoli»;
intervenire in modo definitivo sulla questione dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese, con un provvedimento che obblighi le pubbliche amministrazioni a saldare le fatture delle aziende in tempi ragionevoli, anche sulla base dell’emananda direttiva europea in materia di termini di pagamento nelle transazioni commerciali;
prevedere nelle gare per appalti di forniture alle pubbliche amministrazioni, una riserva di beni e servizi riservata alle piccole imprese e a fornitori locali nei piccoli comuni;
incrementare il credito d’imposta in ricerca e sviluppo ripristinando l’automaticità del credito e integrando la dotazione finanziaria per garantire l’agevolazione;
proseguire nelle politiche di sostegno e incentivazione delle reti di impresa.
OCCUPAZIONE
Per quanto riguarda l’occupazione, il tema centrale è il sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro. Più in generale, occorre un progetto nazionale innovativo per il medio termine, nell’ambito del quale si possono individuare alcune priorità:
maggiori risorse da destinare agli ammortizzatori sociali con particolare riferimento ad interventi di prolungamento della CIG ordinaria e straordinaria, alla cassa integrazione in deroga, soprattutto per le imprese artigiane, e ai contratti di solidarietà;
rendere più spedite le procedure di accesso da parte delle imprese agli strumenti di sostegno del reddito;
sostegno della domanda interna di consumo attraverso un’ampia defiscalizzazione dei redditi di lavoro e del salario di produttività;
maggiori interventi a favore dei giovani alla prima occupazione, del reimpiego di chi ha perso il lavoro, soprattutto attraverso iniziative di formazione.
INNOVAZIONE TECNOLOGICA
L’Italia è un Paese debole sotto il profilo dell’innovazione tecnologica, come emerge da alcune statistiche dell’Unione europea, soprattutto nei settori ad alta e medio-alta tecnologia. Un’ulteriore caratteristica distintiva del nostro mondo dell’innovazione è stata individuata nella debolezza della finanza specializzata per l’innovazione, una carenza di venture capital, per la quale si auspica un ruolo di maggior rilievo.
I suggerimenti avanzati dai soggetti auditi possono essere così sintetizzati:
drastico ridimensionamento degli incentivi individuali, modesti ma diffusi, spostando le risorse pubbliche sulla costruzione di grandi reti di collaborazione con radicamento locale;
rafforzamento della finanza specializzata per l’innovazione, anche attraverso l’azione delle fondazioni bancarie più radicate nei territori;
promozione della ricerca universitaria con maggiori potenzialità di ricadute sull’innovazione economica, per aumentare le attività di spin off, e il numero di imprese coinvolte nei processi innovativi con le università;
prevedere incentivi premiali per le università che investono maggiormente nei rapporti con l’economia locale;
promuovere la ricerca di frontiera con finanziamenti adeguati, concessi con rigorosa valutazione di merito;
favorire la competizione tra progetti di aggregazione costruiti volontariamente da imprese e mondo dell’università;
compiere uno sforzo per collegare maggiormente le università meridionali con le imprese, evitando la distribuzione a pioggia dei fondi europei.
RICERCA E SVILUPPO
È stata sottolineata l’importanza strategica della ricerca e della formazione, per puntare sulla qualità dei prodotti e non sul semplice abbattimento dei costi di produzione, si propone pertanto la valorizzazione della ricerca universitaria, con particolare riferimento al trasferimento tecnologico e ai rapporti pubblico/privato.
Le proposte avanzate in sede di audizioni:
sostenere uno sviluppo industriale basato su prodotti, servizi, tecnologie, applicazioni, bisogni e mercati, che si fondino su nuova conoscenza, capaci di prospettare una vera competitività innovativa: fare sistema tra ricerca pubblica, industria, comparto industriale nel suo insieme, la finanza e il Governo;
basare il Programma nazionale della ricerca su azione, responsabilità e risultati attesi;
dare seguito alle azioni intraprese con tempi e strumenti certi, garantire processi di selezione, valutazione e indirizzo trasparenti e rapidi, nonché tempi certi di istruttoria dei progetti finanziari;
produrre strumenti normativi e giuridici per la gestione dei processi di ricerca e di sviluppo, il potenziamento dei finanziamenti nelle diverse forme precedentemente individuate e delle regole per l’impiego degli addetti alla ricerca e la valorizzazione del personale di alta formazione;
dare reale autonomia regolamentare e finanziaria delle università, per massimizzazione gli effetti positivi del trasferimento tecnologico e dei rapporti con le imprese, eliminando vincoli normativi che inibiscono tali azioni;
incentivare l’assunzione di dottori di ricerca da parte delle imprese, per l’introduzione di nuove competenze;
risolvere la situazione dei precari della ricerca,
prevedere incentivi fiscali per il trasferimento tecnologico a beneficio delle imprese che investono in azioni di trasferimento di conoscenza scientifica e tecnologica di origine pubblica;
prevedere finanziamenti o cofinanziamenti di nuovi centri realizzati anche in partnership pubblico-privato dotati di strutture di trasferimento tecnologico, trasferimento di conoscenza ed operanti per la massimizzazione dei risultati della ricerca;
fare chiarezza nel campo delle società spin-off, superando la legge finanziaria del 2008 che, all’articolo 3, comma 27, che ha vietato alle amministrazioni pubbliche di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, e di mantenere o assumere partecipazioni direttamente o indirettamente, anche di minoranza, in tali società;
modificare il Codice della proprietà industriale, con una nuova versione dell’articolo 65, al fine di consentire una migliore gestione dell’invenzione nella ricerca pubblica, tutelando gli inventori e aumentando la capacità di trasferimento, in linea con quanto accade negli altri Paesi.
SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA
È stata sottolineata la necessità di procedere sulla via della semplificazione normativa e amministrativa, attraverso uno snellimento burocratico efficace, prevedendo una fase finale in cui sia chiara la responsabilità della decisione anche contro le indicazioni provenienti da altri enti. Inoltre, per rendere efficienti i procedimenti amministrativi, deve essere evitato il meccanismo dello spoil system che crea una stretta dipendenza dell’alta dirigenza dal potere politico, puntando alla separazione tra responsabilità politica e responsabilità amministrativa.
CHIMICA
È emerso il ruolo chiave della chimica per lo sviluppo economico e per il benessere, poiché dalla chimica sono rese disponibili in continuazione sostanze, prodotti, materiali innovativi e nuove soluzioni tecnologiche per tutti i settori economici. L’Italia, come previsto dall’Unione europea, deve promuovere un’industria chimica orientata alla sostenibilità. Per conseguire questo obiettivo, è necessario sostenere sia l’innovazione e la ricerca, che la qualità normativa e una corretta implementazione e applicazione della medesima.
La chimica di base vive forti difficoltà, non solo a livello italiano, ma anche europeo. In Italia è stata incrementata la chimica fine, la chimica delle specialità, la chimica di formulazione, fondamentali perché più vicine al mercato.
È tuttavia necessario intervenire per eliminare alcuni condizionamenti che pesano sulla chimica italiana per restituire competitività alle imprese attraverso:
una politica industriale finalizzata a introdurre normative meno penalizzanti e in linea con quelle europee;
la riduzione del costo dell’energia, le infrastrutture e il sostegno alla ricerca;
l’avvio veloce di progetti di ricerca, con l’eliminazione delle barriere normativo-burocratiche che bloccano i programmi delle imprese.
SETTORE DELLE MACCHINE UTENSILI
Il settore delle macchine soffre di debolezze strutturali che rendono difficile la sperimentazione di idee coraggiose. È dunque indispensabile:
operare per rafforzare il sistema fieristico e di promozione all’estero, attraverso il coordinamento delle diverse iniziative;
focalizzare gli investimenti in ricerca e innovazione;
dare vita a un sistema di cooperazione comunitario, che aggreghi imprese costruttrici di beni strumentali, ma anche utilizzatori, centri di ricerca, università, finalizzata alla condivisione della conoscenza già esistente e allo sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche;
procedere alla revisione dell’accordo Basilea 2, prevedendo una temporanea sospensione in attesa del completamento delle modifiche strutturali dell’accordo;
rendere sempre più competitiva la produzione, sia del made in Italy sia del made in Europe, con l’introduzione di un sistema di incentivi alla rottamazione, per aggiornare e sostituire macchinari datati e consentire un sensibile miglioramento alla sicurezza degli operatori che lavorano nelle fabbriche e una significativa riduzione dell’impatto ambientale delle lavorazioni.
INDUSTRIA FARMACEUTICA
Si ritiene, in primo luogo, necessario incrementare gli investimenti delle imprese internazionali nel nostro Paese, un settore che non delocalizza ma, al contrario, può creare sviluppo.
Necessario un credito d’imposta sugli investimenti in ricerca e innovazione e l’attivazione di network di ricerca con le università.