Incandidabilità, stretta sugli eletti Via con la condanna definitiva

abusivi Partiti divisi – I democratici: stop dal primo grado. I tempi: il divieto di candidatura dovrebbe durare un tempo uguale al doppio della pena. I criteri: critiche da Bongiorno, a capo della commissione Giustizia della Camera: criteri troppo blandi 

Il problema della scrittura del decreto legislativo sull’incandidabilità dei condannati non è di facile soluzione per i tecnici del governo. Tant’è che, in queste ore, ben tre uffici legislativi – Interno, Giustizia, Funzione pubblica – stanno facendo lo slalom tra i dieci articoli della bozza che venerdì potrebbe arrivare in Consiglio dei ministri per poi essere consegnata ai pareri del Parlamento.

L’incandidabilità dei condannati in via definitiva (a pene superiori ai due anni per i reati contro la pubblica amministrazione, e per altri delitti per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore nel massimo a tre anni) è l’architrave dalla legge delega. Ma l’articolazione del testo farà la differenza, per cui i tre ministri interessati – Anna Maria Cancellieri, Paola Severino e Filippo Patroni Griffi – si sono dati appuntamento giovedì prima di portarlo a Palazzo Chigi.

L’avvocato deputato Niccolò Ghedini (Pdl), uno che di imputati illustri se ne intende, segnala «il forte rischio di incostituzionalità per una legge che attribuisce a una vecchia sentenza la possibilità di sviluppare effetti negativi per il futuro». E questo aspetto, insiste l’avvocato di Silvio Berlusconi, «è ancora più delicato dal momento in cui il patteggiamento verrebbe equiparato alle sentenze di condanna ai fini dell’incandidabilità». Il patteggiamento, spiega Ghedini, «è un accordo tra le parti e non si capisce come, in un secondo tempo, dovrebbe produrre effetti negativi per una delle parti».

L’avvocato Giulia Bongiorno (Fli), presidente della commissione Giustizia della Camera, la pensa in maniera diametralmente opposta: «La delega al governo stabilisce criteri troppo blandi. L’asticella dell’incandidabilità, infatti, è fissata dalla pena effettiva e non da quella edittale. Per cui sarà facile, con le attenuanti, passare sotto la soglia dei due anni». Ma c’è di più, osserva l’avvocato Bongiorno: «Dalla delega, se si fa riferimento ai delitti puniti con pena superiore ai tre anni, sono esclusi la truffa, il traffico di influenze, la corruzione tra privati, le false comunicazioni sociali, la frode fiscale… Per questo non mi sembra che si possa promettere chissà quale rivoluzione nel campo della lotta alla corruzione».

Oggi chi subisce condanne superiori ai tre anni si prende anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Resta da vedere, dunque, cosa prevederà nella sua ultima stesura il decreto che per ora sembra essersi fermato alla seguente formula: l’incandidabilità dura un tempo che è uguale al doppio della condanna. Ma per i condannati in primo grado e in secondo grado, che dovessero subire il terzo verdetto negativo della Cassazione dopo l’eventuale elezione in Parlamento, scatterebbe comunque la decadenza. E questo meccanismo dovrebbe far riflettere i partiti sulla necessità di confezionare liste non pulite ma pulitissime.

Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che pure ha sostenuto la legge anticorruzione, fa capire che questo testo ha una funzione soprattutto deterrente: «I partiti dovrebbero darsi da soli la soglia di accesso alle candidature. Tocca ai partiti, come abbiamo fatto noi, mettere un limite anche solo con sentenza di primo grado». Poi gli esperti giuridici del Pd, da Gerardo D’Ambrosio a Donatella Ferranti, hanno rilanciato l’ipotesi di escludere per legge anche i condannati in primo grado pur sapendo che in Parlamento, al momento di tracciare i confini della delega, la battaglia è stata persa.

Il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, rivendica il fatto che il suo partito, in Sicilia, la «pulizia» l’ha già portata avanti con le recenti elezioni. E anche Bobo Maroni dice che è ora «di usare la ramazza».

Il ministro Cancellieri è convinta che entro la settimana «il cerchio si chiude». Poi tocca al Parlamento, che ha 60 giorni per i pareri e quindi per mettere in condizione il governo di imporre liste pulite alle regionali di gennaio/febbraio 2013.

 

Corriere della Sera

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