Ri-pensare la responsabilità sociale: la cultura come volano per la coesione e la crescita economica nelle politiche aziendali.
Ormai da tempo la presa di coscienza delle ripercussioni ambientali e sociali delle attività produttive monopolizza il dibattito socio-economico sull’intrinseca natura delle aziende.
Una recente indagine del Mit Sloan Management Review in collaborazione con The Boston Consulting Group (“Sustainability Nears a Tipping Point”, gennaio 2012) evidenzia come, su un campione di 153 aziende sensibili al tema della responsabilità sociale d’impresa, la maggior parte continui a misurare i benefici in termini di reputazione (85%), mentre una parte sempre crescente inizi a riferirli al miglioramento delle relazioni con il territorio (77%) e con gli stakeholders (74%).
Tuttavia, dallo studio emergono pure due dati critici che denunciano il persistere di un approccio opportunistico o superficiale. Innanzitutto all’accresciuto interesse da parte delle imprese, testimoniato dall’aumento di progetti a scopo sociale o ambientale, si riscontra un peggioramento qualitativo delle iniziative. In secondo luogo, una lettura puramente economica, basata sul rapporto tra i progetti intrapresi e gli andamenti del PIL per l’anno di riferimento, dimostra come la crisi condizioni la responsabilità sociale delle aziende. In altre parole, se le aziende stanno bene sono buone, altrimenti chiudono i rubinetti della cosiddetta Corporate Social Responsibility.
Eppure la RSI (responsabilità sociale d’impresa), così come pensata negli Stati Uniti agli inizi degli anni ‘50, nasce da un atto volontaristico ed espressivo dell’identità aziendale, che una volta implementato all’interno dei processi gestionali diventa lo scheletro stesso della strategia e delle politiche organizzative dell’impresa.
La presa di coscienza da parte delle aziende dell’intrinseca natura della responsabilità sociale come vero e proprio modello di governo e non semplice filantropia o sponsorship è necessaria per scongiurare la diffidenza di quanti percepiscono le pratiche di responsabilità sociale come un’operazione di facciata volta all’ottenimento di maggiori profitti tramite operazioni di “marketing reputazionale”.
Proprio in questi giorni sta per svolgersi a Milano Dal Dire al Fare, primo (e unico) salone italiano dedicato al tema della responsabilità sociale d’impresa, che si terrà il 30 e 31 maggio negli spazi dell’Università Bocconi.
Una veloce scorsa al programma della manifestazione basta a confermare la cultura nel ruolo di “grande assente”.
I numerosi incontri e dibattiti volti ad analizzare la relazione tra strategie d’impresa orientate alla sostenibilità e creazione di valore nel lungo periodo hanno il merito di riconoscere la funzione determinante giocata dagli asset intangibili, ma il velo di Maya resta sempre a oscurare quanto proprio la cultura sia la leva vitale per l’emersione di risorse immateriali imprescindibili, quali le competenze e la formazione del capitale umano, la cultura organizzativa, l’insieme delle conoscenze accumulate.
Il profilo culturale dell’azienda, nella moderna economia della conoscenza, è infatti un fattore che non può più essere sottovalutato per una competitività che sia duratura e sostenibile.
Enfatizzare l’aspetto culturale nella strategia societaria significa formulare obiettivi e programmi capaci di generare ricadute positive tanto all’esterno (territorio e destinatari delle operazioni) quanto all’interno, attraverso la costruzione di uno “spirito di squadra” capace di superare i limiti geografici e amministrativi per relazionarsi con i molteplici ambienti in cui si opera.
Il capitale umano rappresenta la risorsa principale di ogni azienda, e l’arte e la cultura, come espressioni della contemporaneità e dell’identità di una società, consentono di superare i vincoli tipici delle specificità locali (credo religioso, pensiero politico,…) e di allineare interessi e valori per il raggiungimento di obiettivi comuni senza l’imposizione di regole e comportamenti.
È lecito allora parlare di CSR come “Cultural social responsibility”, con ciò indicando la capacità della cultura di divenire parte integrante delle strategie di responsabilità sociale d’impresa, non solo in quanto ambito di intervento, ma come vera e propria leva di crescita e valore.
Di Fabiana Lanfranconi, CULTURE IN SOCIAL RESPONSIBILITY