Pubblichiamo il testo integrale della relazione svolta dall’on. prof. Pierluigi Mantini all’inaugurazione di EIRE (Expo Italia Real Estate), l’evento che riunisce la community del real estate per fare il punto sull’industria immobiliare in Italia, e per segnalare alle istituzioni le criticità cui rispondere perchè il settore possa dare un contributo concreto al rilancio del Paese.
Principi fondamentali di governo del territorio
È molto condivisibile la scelta di E.I.R.E. 2012 di dedicare ai “principi fondamentali del governo del territorio” la sua sessione inaugurale. Abbiamo necessità di principi nazionali, unitari e innovativi, per far crescere la coesione competitiva del Paese e semplificare la giungla amministrativa.
In questi giorni di lutto per il sisma in Emilia cresce la riflessione sulla necessità di politiche stabili per la prevenzione e la messa in sicurezza del territorio, che non possono ridursi ai soli interventi post-calamità che determinano in media costi per tre miliardi l’anno. Per questo sosteniamo l’azione pubblica intitolata al RI.U.SO., acronimo di “rigenerazione urbana sostenibile” (amplius si rinvia all’appendice della relazione).
E, sotto altro profilo, l’emergenza economica ci ricorda che anche le politiche di dismissione e valorizzazione dei patrimoni immobiliari pubblici devono essere unitarie e nazionali, se vogliono essere efficienti.
Noi sosteniamo la tesi che queste politiche non possano disperdersi nei molti rivoli dell’urbanistica regionale e comunale, pena l’allungamento dei tempi decisionali e l’incertezza acuita dalle mediazioni locali di interessi, ma debbano invece procedere spedite, con norme nazionali di semplificazione delle destinazioni di uso: in sostanza esse sono rette dal nuovo art. 81 Costituzione e dal principio di “armonizzazione dei bilanci”, di competenza dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Costituzione, più che dalla legislazione concorrente in tema di “governo del territorio”.
Su questo tema abbiamo svolto considerazioni più ampie e motivate nel recente Quaderno del Consulente Immobiliare, Sole 24 Ore, ora in distribuzione, e a cui rinviamo. Ma sono anche questi due temi, due principi, che devono integrare, a nostro avviso, una buona legge nazionale di principi del governo del territorio.
Vi sarebbe, in realtà, un ulteriore rinvio da fare. Nel 2005 la Camera dei Deputati votò un testo appunto intitolato “principi fondamentali del governo del territorio”. Il provvedimento non ebbe seguito al Senato, sebbene fosse fondato su un’ampia condivisione. Da quel testo, che qualcuno definì Lupi-Mantini, perché si realizzarono ampie convergenze, scaturì un libro (Mantini. P., Lupi M., Principi fondamentali nel governo del territorio, Il Sole 24 Ore, 2005) che raccolse le analisi più avanzate.
Si può dire che, dopo diversi anni, siamo ancora fermi lì, sebbene diversi principi legislativi siano stati introdotti in modo disorganico nella legislazione nazionale.
Nell’attuale legislatura la Commissione ha avviato, il 23 luglio 2008, l’esame di diverse proposte di legge (C. 329 Mariani, C. 438 Lupi, C. 1794 Mantini) recanti principi fondamentali per il governo del territorio. Successivamente ad un ciclo di audizioni svolto in sede di Comitato ristretto, sono state abbinate alle suddette proposte di legge le proposte C. 3379 Lupi e C. 3543 Morassut recanti disposizioni su aspetti specifici in materia di urbanistica. Dopo una sospensione dell’attività istruttoria, il Comitato ristretto ha convenuto di restringere l’ambito di intervento normativo del testo da elaborare concentrando quindi l’istruttoria legislativa sugli aspetti di urbanistica di seguito elencati.
Nuovo modello di pianificazione urbanistica. Alla pianificazione urbanistica prescrittiva e vincolante occorrerebbe sostituire un nuovo modello di gestione del territorio più flessibile, distinguendo un livello strutturale che non abbia efficacia conformativa della proprietà e che faccia riferimento all’intero territorio comunale o intercomunale, e un livello operativo della pianificazione, che disciplini le trasformazioni dei suoli con un orizzonte temporale stabilito.
Perequazione, compensazione e premialità urbanistica. La legge dovrebbe introdurre principi generali in materia di perequazione urbanistica, al fine di dare una copertura legislativa nazionale a quegli interventi regionali già introdotti su tale aspetto. Al riguardo, occorrerebbe chiarire che la perequazione deve perseguire l’equa ripartizione dei diritti edificatori previsti dalla pianificazione urbanistica e dei relativi oneri derivanti dalla realizzazione delle urbanizzazioni tra i proprietari di immobili, nonché l’effettivo e comprovato raggiungimento di obiettivi di interesse pubblico anche attraverso la cessione gratuita al comune di aree e di opere occorrenti per le dotazioni territoriali.
Occorrerebbe altresì prevedere principi generali in materia di compensazione, in virtù della quale è attribuito al privato la facoltà di chiedere al comune il trasferimento dei diritti edificatori già assentiti, ma non più esercitabili per imposizione di vincoli urbanistici, su un’altra area del territorio comunale, previa cessione gratuita dell’area originariamente gravata. Attraverso la compensazione urbanistica sarebbe così possibile procedere a riqualificazioni urbanistiche che producano la delocalizzazione di immobili produttivi dismessi o di immobili non coerenti con le caratteristiche architettoniche e ambientali, nonché interventi di sostituzione edilizia con il riconoscimento di volumetrie aggiuntive.
Rivalutazione e rivitalizzazione dei centri storici. Per rilanciare il processo di riqualificazione urbana occorrerebbe intervenire sulla disciplina relativa agli interventi edilizi introducendo un nuovo concetto di sostituzione edilizia libera dal vincolo della sagoma, soprattutto a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 309 del 2011 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge della regione Lombardia nella parte in cui consentiva gli interventi di ristrutturazione edilizia tramite demolizione e ricostruzione senza obbligo del rispetto della sagoma.
Riduzione del consumo del suolo. Occorre dare avvio ad una nuova cultura della pianificazione, che, attraverso processi in cui vi sia il giusto bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato, passi da una logica di incontrollata espansione del consumo del suolo, che ha portato ad oggi ad uno sviluppo disomogeneo delle città, ad una logica di riduzione del consumo del suolo, che veda valorizzati gli interventi sul patrimonio esistente nella ricerca di un punto di sintesi tra bisogni della collettività ed esigenze economiche, tra antico e moderno in una visione comunque integrata del disegno urbano.
Valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico. La proposta di legge da elaborare dovrà inoltre recare disposizioni per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, individuando forme di coinvolgimento di privati nell’intervento di valorizzazione.
Riduzione degli oneri di compensazione per la realizzazione delle infrastrutture strategiche. Il ruolo delle compensazioni ambientali e territoriali nella realizzazione delle opere pubbliche è diventato, sempre più, fonte abnorme di lievitazione dei costi delle opere programmate e di allungamento dei tempi della loro realizzazione. La proposta di legge da elaborare dovrà per questo intervenire sulla normativa vigente fissando regole certe, da un lato, sui soggetti adibiti a partecipare alla fase preventiva di concertazione (sul modello francese del “dibattito pubblico”), sul suo oggetto, sugli oneri che dalla stessa possono derivare e sui tempi e modalità del suo svolgimento, dall’altro, sulla terzietà e affidabilità degli studi e delle verifiche tecniche relative all’impatto ambientale e territoriale delle opera da realizzare.
Abbiamo detto, in premessa, che a nostro avviso tra i principi fondamentali devono essere inclusi anche i temi delle dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico e quelli della rigenerazione e della messa in sicurezza del territorio e dei tessuti urbani.
C’è una maggioranza ampia che sostiene l’attuale governo, è tempo di decisioni anche in questo fondamentale settore del nostro Paese.
APPENDICE: il programma RI.U.SO.
I programmi di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico incrociano un’azione che sta sempre più crescendo in Italia e che è identificata con l’acronimo RI.U.SO. che vuol dire “rigenerazione urbana sostenibile” (estratto da Mantini P., Inzaghi G., Valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, Quaderno de Il Consulente Immobiliare, Il Sole 24 Ore, n. 1/2012).
Si tratta di un’azione ben fondata, promossa in particolare dall’ANCE, dal Consiglio Nazionale degli Architetti e da Legambiente, con la crescente attenzione del governo e del parlamento. In effetti, per promuovere la crescita del Paese, è possibile ed anzi necessario ripartire dai luoghi in cui viviamo, per recuperare valori, qualità, futuro.
Nella scena della rigenerazione urbana sostenibile i programmi di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico possono trovare notevoli sinergie e azioni comuni. E’ opportuno, in tal senso, dar conto ampiamente del documento di presentazione di RI.U.SO., Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile, in occasione di due Convegni svoltisi di recente a Roma e a Milano. Correttamente si sostiene che l’Italia, messi sotto controllo i conti pubblici e l’evasione fiscale, ha bisogno di politiche per lo sviluppo per tornare a crescere garantendo un habitat migliore alle nuove generazioni. Per questo il CNAPPC ha chiesto al CRESME un rapporto sullo stato delle città e ha attivato un percorso di proposta comune con ANCE e Legambiente.
L’obiettivo principale, per dare competitività al paese e attrarre gli investimenti è ridare efficienza, sicurezza e vivibilità alle 100 città italiane che ospitano il 67% della popolazione italiana , che sono il principale patrimonio non solo culturale ma anche produttivo del Paese producendo l’80% del PIL, oltreché – con i suoi milioni di case frutto del risparmio degli italiani – la vera garanzia a fronte del debito pubblico. In Italia il 70% degli edifici ha oltre 40 anni ed è stata costruita nel dopoguerra con tecniche e materiali ormai a fine vita, non possiamo aspettare oltre.
E’ indispensabile che il Paese si dia un piano strategico di rigenerazione urbana che ponga gli obiettivi di qualità urbana e architettonica, di risparmio delle risorse naturali ed energetiche, di efficienza e razionalizzazione della vita urbana. Va perciò attivato un Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile – sul modello del Piano Energetico nazionale – che fissi gli obiettivi e ne deduca gli strumenti politici, normativi e finanziari.
Gli obiettivi sono:
La messa in sicurezza, manutenzione e rigenerazione del patrimonio edilizio pubblico e privato, vista la condizione degli edifici e ricordando che nelle zone a rischio sismico sismico vivono oltre 24 milioni di persone e altri 6 milioni in zone a rischio idrogeologico. Bisogna anche consapevolizzare i cittadini, dotando le case di un “libretto” che certifica le prestazioni, le condizioni e la scadenza delle medesime.
La drastica riduzione dei consumi degli edifici, energetici e idrici così come del consumo del suolo, promuovendo “distretti energetici ed ecologici” , se è vero che il consumo energetico negli edifici ad uso civile, per il riscaldamento, raffrescamento e l’acqua calda sanitaria, è stato pari a 29,0 Mtep (milioni di tonnellate di petrolio equivalente) ovvero oltre il 20% del consumo totale.
La valorizzazione degli spazi pubblici, la salvaguardia dei centri storici, del verde urbano, dei servizi di quartiere per ricondurre la vita quotidiana ad un benessere normale oltre ad investire sulla risorsa fondamentale del Paese, la cultura.
La razionalizzazione della mobilità urbana e del ciclo dei rifiuti per non spercare inutilmente tempo, denaro e risorse ambientali.
L’implementazione delle infrastrutture digitali innovative con la messa in rete delle città italiane, favorendo l’home working, riducendo così spostamenti e sprechi
Le risorse disponibili per fare ciò provengono da:
- la messa a sistema delle risorse dei programmi comunitari sui quali il Paese continua a procedere in modo irrazionale, senza la guida di un Piano complessivo e una adeguata organizzazione;
- il riequilibrio degli investimenti pubblici tra grandi infrastrutture e città, dove gli investimenti sono scesi a meno di 7 mld di euro, a fronte dei 50 del programma francese: gli stessi investimenti in infrastrutture devono essere integrati con le politiche urbane, o diventano mero strumento di “occupazione” di breve respiro, incapaci di aumentare la competitività del Paese e la qualità dell’habitat;
- il risparmio derivante dalla messa in sicurezza degli edificati da terremoti e eventi calamitosi derivanti dalla condizione idrogeologica, stimabile in 3 miliardi all’anno (dal 1944 al 2009 oltre 200 miliardi);
- la razionalizzazione dei contributi o incentivazioni pubbliche sull’energia già in essere, ora destinati a politiche settoriali fuori da un progetto sintetico e generale: dal 2006 al 2011 sono stati investiti 69 miliardi sul fotovoltaico, di cui 8,5 sono andati ai produttori esteri (Germania, Cina, Giappone). All’interno di un Piano di rigenerazione gli investimenti dovrebbero essere più razionalmente tra risparmio e produzione energetica, tenendo conto che gli obiettivi 2020 comporterebbero per sistemare il “colabrodo” del patrimonio edilizio italiano una spesa di 56 miliardi;
- la messa a sistema degli investimenti privati pubblici per le manutenzioni ordinarie e straordinarie, oggi condotte sulla scorta dell’emergenza e senza finalità né di ordine energetico, né coordinate in un disegno generale, per un valore complessivo nel 2011 di 133 mld;
- mettere a frutto le dismissioni del patrimonio pubblico per raggiungere gli scopi del Piano, facendone il volano delle trasformazioni urbane sostenibili;
- la creazione di strumenti finanziari ad hoc che mettano a reddito il risparmio energetico, idrico, sulla manutenzione e bonus volumetrici a fronte di un impatto ambientale vicino allo zero e di innovazioni tecnologiche utili all’efficienza delle città.
L’esito sarebbe:
- porre le condizioni per un risparmio complessivo a lungo termine delle risorse energetiche, naturali (acqua, terra) ed economiche degli abitanti delle città, creando così le premesse di sostenibilità del welfare abitativo;
- il rilancio dell’occupazione, aumentando la capacità di spesa dei cittadini, rianimando le casse dei Comuni e aumentando l’efficienza delle città, favorendo lo sviluppo anche di altri settori;
- il miglioramento dell’habitat urbano, migliorando la sicurezza dei cittadini, riducendo le malattie connesse all’inquinamento e allo stress, favorendo la socialità e perciò riducendo i fenomeni di delinquenza;
- la salvaguardia del patrimonio edilizio degli italiani e del patrimonio monumentale delle città, favorendo il turismo colto e l’educazione dei cittadini.
A fronte di obiettivi condivisi, formalizzati nel Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile, a livello centrale e periferico vanno create le condizioni e il contesto normativo per realizzarlo, per esempio con:
- nuovi programmi di riqualificazione urbana basati su “distretti energetici urbani”, aree urbane all’interno delle quali cercare di integrare e valorizzare la domanda pubblica, gli incentivi energetici, la domanda privata di riqualificazione micro e interventi di riqualificazione di maggiore dimensione. In sostanza una sfida di progettazione e integrazione e che potrebbe delineare un nuova stagione di trasformazione urbana;
- i distretti fanno agio sulla riattivazione dei contratti di quartiere, utilizzabili ora come “contratti di eco-quartiere”, a fronte di progetti avanzati e partecipati di sostenibilità ambientale e sociale, parametrati sulla base di standard ecologici elevati riguardanti gli edifici, gli spazi pubblici, la mobilità, il ciclo dei rifiuti, l’infrastrutturazione digitale;
- la Cooperazione progettuale, economica ed urbanistica tra pubblico e privato, connessa ad una semplificazione responsabile ed una maggiore efficacia dell’azione amministrativa; la promozione dei concorsi di architettura, anche nel privato, per incentivare l’innovazione progettuale, favorendoli con incentivi fiscali o volumetrici;
- l’attivazione, tramite legislazione statale e regionale dei principi di Compensazione e Perequazione urbanistica, sulla fiscalità e gli incentivi;Nell’ambito della legge complessiva sul RI.U.SO., introdurre l’obbligo per le regioni di legiferare (entro un massimo di 12 mesi) affinché i Comuni ridefiniscano le destinazioni urbanistiche delle aree attualmente occupate da proprietà dello stato passate agli enti territoriali quali caserme ed altri immobili demaniali comunque inseriti entro le perimetrazioni urbane. La norma dovrebbe anche dettare i tempi massimi concessi ai Comuni per individuare urbanisticamente le aree (residenziali e non) soggette al nuovo regime di sostituzione edilizia/urbanistica;
- occorre stabilire norme incentivanti la maggiorazione sostanziale della fiscalità a carico della nuova edificazione occupante nuove aree di espansione e comunque totalmente nuova e non preesistente e invece defiscalizzare sostanzialmente il nuovo derivante da precise politiche e specifiche norme basate sulla sostituzione edilizia. Tale norma ovviamente é intesa ai fini del contenimento di consumo di nuovo suolo edificabile;
- la nuova norma potrebbe prevedere che i Comuni entrino in possesso di una quota percentuale dell’incentivo urbanistico (volumetrico o di superficie) derivante dalla norma perequativa sulla trattazione di mercato dei diritti edificatori. Congruentemente con la soluzione dell’invenduto tale quota diventa realisticamente valutabile sia in termini di bilancio che in termini di eventuale intervento edilizio di iniziativa comunale; inoltre conferisce capacità economiche ai Comuni anche ai fini delle procedure progettuali urbanistiche finalizzate alla attuazione delle nuove politiche di sostituzione edilizia ed urbanistica;
- le incentivazioni sia volumetriche che di superficie e quelle fiscali dovrebbero essere previste in misura diversificata a livello territoriale in base a criteri di compatibilità ambientale, risparmio energetico e idrico massivo, di emergenze sismiche o idrogeologiche, soluzioni in house del ciclo dei rifiuti, ecc.;
- ricorso al prevalente utilizzo di fondi da reperirsi nel privato o con istituzione di specifici eco-bond, con sinergia pubblico-privata, mediante l’introduzione di normative sulla trasferibilità dei diritti edificatori e la valorizzazione, ove esistente, del patrimonio demaniale dismesso, in grado di garantire il necessario volano alle singole iniziative. Gli strumenti finanziari innovativi devono essere in grado di mettere a reddito i risparmi derivanti dal RIUSO, in termini di risparmio energetico, idrico e dei costi di manutenzione, anche tenendo conto del trend di aumenti di costo previsti nei prossimi 20 anni;
- auspicabili incentivi, quale una sostanziale de-fiscalizzazione con norma transitoria gli alloggi nuovi invenduti negli ultimi 5 anni, al fine di incentivare la soluzione dell’invenduto che al momento blocca il mercato assieme ad azioni utili a rimettere in circolazione le centinaia di migliaia di locali sfitti, per rispondere al fabbisogno abitativo immediato.
L’innovazione non è solo nei contenuti del piano ma anche nell’approccio che ha visto protagonisti, in prima battuta, architetti costruttori e ambientalisti, assieme. Ma è solo il primo passo di un lavoro sinergico tra la società civile, le istituzioni e il Governo.
Su RIUSO si sta cercando di fare sistema tra tutti coloro che possono rendere realizzabile il progetto: non solo CNAPPC e Ance, non solo Legambiente ma anche tutta la filiera delle costruzioni e chi da anni fa ricerca sul tema (ENEA, AUDIS, Le Università, ecc); ma soprattutto chi diventerà protagonista del progetto perché lo attiva come le Regioni o l’ANCI, chi può fare da playmaker dell’iniziativa come Cassa Depositi e Prestiti, l’Agenzia del Demanio, le Fondazioni Bancarie, la Banca Europea di Investimenti.
Al Governo e al Parlamento non vengono chieste norme “epocali” o rivoluzionarie, bensì la messa a punto, insieme, di un Piano strategico che utilizzi per lo più le norme esistenti, adattandole all’innovazione, creando il contesto politico ed economico per puntare dritti verso gli obiettivi e mettendo a disposizione le risorse finanziarie disponibili, fiscali e normative su un progetto ambizioso ma realizzabile. Per fare tutto ciò non basta la sinergia tra politica, tecnici, impresa e finanza: serve la consapevolezza dei cittadini italiani sulle condizioni del loro habitat.
Da una ricerca Cresme risulta che metà dei cittadini italiani ritiene di abitare in edifici sismicamente sicuri, mentre forse non più del 6% del campione vive in case progettate con criteri adeguati. Ovvero: su 24 milioni di italiani che vivono in zona sismica, 10 milioni credono di essere al sicuro in caso di terremoto. Altrettanto dicasi dell’inquinamento indoor, dove l’83,3% degli intervistati crede che la sua abitazione sia scevra da materiali nocivi, quando quasi tutti vivono in edifici ante 1991, ovvero precedenti alle principali norme in materia per non dire dell’ignoranza delle condizioni statiche, sulla certificazione energetica o alle ancora alte percentuali di mancata certificazione degli impianti elettrici.
Poiché primo destinatario della Rigenerazione Urbana Sostenibile è e deve essere il cittadino, è un dovere di tutti noi renderlo consapevole dello stato della sicurezza dell’abitare e delle condizioni, anche patrimoniale, dell’immobile su cui ha investito e acceso lunghi mutui. Tanto più nel momento in cui si aumentano le tasse sul patrimonio immobiliare.
Il cittadino consapevole deve perciò sapere che gli edifici non sono eterni, che la manutenzione deve essere finalizzata in primis alla sicurezza e al risparmio di risorse, che la qualità e la sicurezza degli spazi pubblici sono un diritto.
Il Piano Nazionale della Rigenerazione Urbana Sostenibile non è solo strumento di sviluppo, di occupazione, di PIL, deve riconnettere il progetto della città alla vita quotidiana degli italiani, rendendoli consapevoli delle condizioni abitative ma anche rispondendo alla loro richiesta di bellezza: un quarto degli italiani (Cresme- Federcostruzioni, 2012) ritiene che la qualità delle costruzioni sia riconducibile al concetto di bello.
L’Italia, messa sotto controllo i conti pubblici e l’evasione fiscale, ha bisogno di politiche per lo sviluppo per tornare a crescere garantendo un habitat migliore alle nuove generazioni.
L’obiettivo principale per dare competitività al paese attrarre gli investimenti è ridare efficienza, sicurezza e vivibilità alle 100 città italiane che ospitano il 67% della popolazione italiana , che sono il principale patrimonio non solo culturale ma anche produttivo del Paese producendo l’80% del PIL, oltreché – con i suoi milioni di case frutto del risparmio degli italiani – la vera garanzia a fronte del debito pubblico.
E’ del tutto evidente la sinergia tra questa azione e i programmi di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico che può trovare, nell’Agenzia del Demanio, un attore di primo piano.
On. Prof. Pierluigi Mantini