Attilio Befera ha ufficialmente comunicato il bilancio finale della lotta all`evasione fiscale nel 2011. Un ulteriore cospicuo successo rispetto al 2010, visto che dagli 11 miliardi di euro riscossi da evasione si è passati l`anno scorso a 12,7 miliardi. Solo cinque anni prima erano meno di 5 miliardi. La crescita di queste cifre testimonia della serietà e della dedizione con le quali s`impegnano Befera e i suoi collaboratori.
A loro si deve l`impianto e il miglioramento costante delle diverse agenzie in cui da un decennio a questa parte è stata riarticolata la precedente struttura dell`amministrazione tributaria.
E il rientro poi della riscossione all`interno del perimetro pubblico, invece che affidata con vantaggioso lucro a privati che si dimostravano inefficienti nel riscosso, e discrezionali nel chi far pagare. Una volta pronunciate le giuste parole di riconoscimento a chi, insieme alla Guardia di Finanza, per lo Stato combatte l`evasione, è il caso però di svolgere qualche riflessione un po` fuori dal coro. Su tre punti precisi.
Primo: da dove vengono i miliardi riscossi in più? Come ha giustamente osservato il professor Raffaello Lupi, uno dei migliori studiosi del sistema tributario italiano, del miliardo e settecento milioni incassati in più nel 2011 sul 2010 ben 1,1 miliardi vengono da liquidazioni aggiuntive di imposte su imponibili regolarmente dichiarati, cioè da regolazioni di compensazioni magari indebite o da oneri considerati indeducibili. In altre parole, qui di imponibile nuovo emerso non ce n`è. Da autonomi e commercianti e partite Iva, cioè coloro che vengono additati da una martellante campagna sociale come gli evasori per antonomasia. i maggiori incassi di reddito non dichiarato sono limitati a soli 30 milioni su 1,8 miliardi.
Si è passati da 329 milioni nel 2010 a 361 nel 2011. La media impresa presenta aumento di riscosso da evasione per soli 10 milioni. La grande, per 250 milioni. Da un`analisi spassionata e disaggregata di queste cifre, la politica – ripeto la politica, non i vertici amministrativi e operativi di Agenzia delle Entrate ed Equitalía dovrebbero dedurre che i blitz e le campagne martellanti ottengono al momento effetti concreti di gran lunga inferiori all`eco mediatica e alla polemica sociale che invece generano.
Secondo: che cosa avviene dei successi anti evasione? Sino a questo momento, ai cittadini e alle imprese che assolvono per intero il proprio dovere tributario e contributivo nei confronti dello Stato e delle Autonomie. non un solo euro riscosso in più dalle pubbliche amministrazioni ha mai configurato un solo centesimo di vantaggio, di premio e di incentivo.
La politica l`ha promesso per anni. Sotto sinistra, destra e tecnici. Per poi regolarmente rimangiarsi ogni impegno. E riaccaduto poche settimane fa, quando la promessa di destinare almeno un parte dei proventi del 2011 a chi è in regola col fisco è puntualmente sparita in parlamento, perché il Tesoro ha preferito la linea di salvaguardare i saldi pubblici.
Ora per l`ennesima volta il governo fa trapelare alla stampa che un fondo di restituzione di almeno parte del riscosso da evasione sarà previsto nella delega fiscale, che avrà bisogno poi di decreti attuativi: ma intanto la legislatura sarà finita, e saremo alle solite. Si dirà che è prudenza e saggezza, visto che abbiamo contratto con l`Europa il difficile impegno di azzerare il deficit pubblico nel 2013, malgrado la recessione restringa nel frattempo l`économia e dunque le basi imponibili.
Non io da solo, ma insieme a tanti economisti ed esperti di diritto tributario pensiamo invece che sia profondamente sbagliato credere che il successo della strategia antievasione debba prioritariamente passa- re per la via della sanzione e della paura, invece che del premio e dell`incentivo.
Terzo: che cosa avviene a chi le tasse le paga? Purtroppo, la loro situazione peggiora costantemente.
Possiamo sinceramente rallegrarci che blitz e accertamenti lentamente stiano facendo cambiare l`atmosfera e la sensibilità media del Paese intorno al dovere di pagare ciò che lo Stato pretende.
Ma da metà degli anni Duemila siamo passati dal settimo al quinto posto in Europa per pressione fiscale, visto che ci avviamo verso il 45% tra il Pil in diminuzione e la stretta fiscale delle tre manovre della seconda metà del 2011, con il 70% degli 81 miliardi di miglioramento dei saldi pubblici entro il 2014 composto da soli aggravi di entrate. E siamo al primo posto quanto a tax rate reale: se cioè dal Pil depuriamo il 17% che l`Istat vi ingloba di economia «nera», ecco che il 45% diventa oltre il 54%.
L`effetto di questo progressivo aggravamento degli oneri gravanti sull`Italia legale ottiene l`effetto opposto a quello a cui si mira: avvantaggia infatti l`Italia che sui doveri fiscali è «grigia»e quella completamente in «nero». Al contrario è su lavoro e impresa che il fisco dovrebbe gravare meno. Subito, non domani. Ed è ovvio che a questo fine non bastino i proventi antievasione dell`Agenzia delle Entrate. Occorre una energica spending re- view – quella affidata a Piero Giarda – che metta nel mirino 6-7 punti di spesa pubblica da tagliare in 3-4 anni. contestualmente abbassando le imposte anche grazie alla delega fiscale affidata a Vieri Ceriani e a Grilli. Mentre lo Stato abbatte il debito cedendo asset propri, a cominciare dai 400 miliardi di mattoni pubblici.
Senza una svolta di questo tipo, la lotta all`evasione da sola sarà pura sacrosanta. Ma nel frattempo il peso sull`Italia legale finirà per schiantarla e l`economia non potrà riprendersi.
E il caso di riflettere su gesti di disperazione estrema come quelli degli italiani – imprenditori e lavoratori – che in questi giorni iniziano a darsi fuoco. Non voglio fare facile demagogia. Ma oltre alla solidarietà ai familiari, bisognerebbe che le classi dirigenti italiane – politici e tecnici – si mettessero una mano sulla coscienza.
E capissero che con meno spesa impropria e con un fisco meno pesante si aiuta lavoro e legalità più con la minaccia del tintinnio delle manette a chi rischia di restare a tasche vuote.
Oscar Giannino, Il Messaggero