Il Novecento di Fanny Kaufmann, di Fania Cavaliere – Presentazione del Prof. Asor Rosa

Fania cavaliere Tratto dalla Presentazione alla Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” del Prof. Alberto Asor Rosa, Roma 12 luglio 2012

«…parlando da professore io credo che non ci siano dubbi che siamo di fronte ad una cronaca familiare. Anche se la pluralità delle definizioni, che in pochi minuti si sono succedute dietro a questo tavolo, romanzo, memoriale, fanno giustamente pensare ad un libro complesso ed appunto perciò difficilmente definibile.

Spiego perché “cronaca familiare”: l’oggetto del racconto è la storia di una famiglia di tre generazioni vista in tutte le sue molteplici articolazioni psicologiche, politiche, sessuali e così via. Naturalmente la latitudine e i significati di una “cronaca familiare” dipendono dalle circostanze che la stessa rappresenta.

Per restare in ambito fiorentino, un libro famoso di Vasco Pratolini si intitola “Cronaca familiare” ed i luoghi del suo svolgimento non distano in nessun caso, per nessun personaggio e per nessun accadimento più di 500 metri da Piazza della Signoria. Ora il punto che distingue la “cronaca familiare”di Fania Cavaliere dalle altre cronache familiari possibili, non sarei tanto d’accordo con l’Editore che restringendo si perde poiché si può restringere anche acquistando, è che in questo caso la famiglia Kaufmann ha ampliato oltre i limiti estremi della solita storia familiare, alla quale tutti noi possiamo fare riferimento, modalità avvenimenti e accidenti. Insomma, questa famiglia, felice, ricca, insediata in un luogo celebre per la sua piacevolezza e il suo benessere, Yalta, viene proiettata dalla storia del Novecento in una molteplicità di direzioni diverse, la maggior parte delle quali contraddistinte più dalla tragedia che dalla commedia. 

La “cronaca familiare”, dei Kaufmann e dell’Autrice del testo, si allarga quindi ad una specie di ricostruzione storica complessiva del Novecento, lo ha detto Stefano Passigli, lo ha ricordato Irene Bignardi, fino a diventare una specie di apologo gigantesco e drammatico sulla natura non breve anzi pesantemente lunga di questo secolo.

Ad un certo punto, credo che sia giusto ricordarlo, la storia della famiglia ebrea, russa emigrata si intreccia anche con la storia calabrese. Sarebbe, come dire, sbagliato non ricordare questo apporto italico, molto particolare, descritto con grande abbondanza di particolari che oscillano tra la simpatia, la negazione e il rimprovero.

La “cronaca familiare” diventa un “affresco storico”. Il riferimento è del tutto improprio ma devo dire che in certi momenti, per esempio nei viaggi ferroviari attraverso la Russia sconvolta dalla guerra civile, ho trovato un’eco del “Dott. Zivago”: perché il mondo è stato quello e i personaggi si sono mossi in quella precarietà e in quella dolorosità che Zivago ci ha descritto e che qui ritorna, come dire, in maniera estremamente profonda.

Ecco, se le due cose, la “cronaca familiare” e l’ “affresco storico”, si fermassero qui ci troveremmo di fronte ad un libro molto interessante ma oserei dire non più di questo. Invece l’Autrice va la di là di questo e, per dire in che senso, mi riferisco ad una delle ultime pagine del libro laddove l’Autrice pone al suo stesso lavoro quella che lei chiama “una domanda di senso”. Questo vuol dire, secondo me, che in conclusione ma anche retrospettivamente, a partire dal punto finale per tornare al punto di partenza, dietro il lavoro di Fania c’è stata una domanda: quella di capire perché e come tutto ciò sia accaduto.

La risposta potrebbe anche essere che non c’è senso e che la cosa è andata così, fuori di ogni regola e di ogni controllo, senza ricavarne nulla. Invece, la risposta, secondo me, c’è ed è quella che trama il racconto e lo riporta continuamente ad una sua unicità, anche quando potrebbe sembrare in certi casi che vi siano delle eccessive libertà narrative, la “domanda di senso” non ha risposta, secondo me, in questioni di ordine generale. Non c’è il tentativo di ricondurre ad una spiegazione i molteplici dolorosi e tragici avvenimenti da cui la famiglia Kaufmann è stata investita nel corso della sua storia.

A mio giudizio, la risposta alla “domanda di senso” è nel modo di essere di ognuno dei personaggi, cioè nella diversità profonda dei modi in cui i componenti di questa famiglia reagiscono al mistero della vita. Mistero che si manifesta nelle persecuzioni, nella perdita della casa, nella necessità del trasferimento obbligato. Per cui a me pare che le pagine più belle del libro siano quelle dedicate alla costruzione dei personaggi. innanzitutto i sei fratelli Kaufmann, poi tutti coloro che in qualche modo hanno rapporti con loro, mariti, mogli, figli. Ognuno diverso da tutti gli altri e, insomma, il fermento che costituisce e costruisce, per così dire, il vero tessuto narrativo del racconto è il mondo degli affetti che sopravvive alle prove più terribili, anche ai conflitti più sanguinosi ed anche alle differenze caratteriali che oppongono una sorella all’altra, un fratello all’altro.

Il libro, secondo me, è un libro di quelli importanti perché fa perno su di una caratteristica umana alla quale io personalmente attribuisco un’enorme importanza che è la memoria. Questo libro è un grande omaggio alla memoria, attraverso la quale il racconto si costruisce, ma anche attraverso la quale si trovano le risposte, appunto, alla diversità delle vicende e alla loro possibile perdita.

Sicché, io credo che a Fania Cavaliere non si possano che fare i complimenti per aver creato una cosa così bella e così ricca di suggestioni».

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