Il Governo punta a tagliare 42 province

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Il colpo di spugna potrebbe arrivare per decreto, anche se il condizionale – mai come in questo caso – è d’obbligo. Quaratadue E province delle 86 delle regioni a statuto ordinario verrebbero soppresse per la mancanza di due dei tre criteri fissati dai tecnici del Governo, vale a dire una popolazione residente superiore ai 350mila abitanti, un’estensione territoriale di almeno 3mila chilometri quadrati e un numero di almeno 50 amministrazioni comunali sul territorio.

Dal taglio, che solo il pre-consiglio di oggi confermerà se inserito nel decreto sulla spending review o in un altro provvedimento, resterebbero escluse le province capoluogo e quelle delle regioni a statuto speciale.

Le scelta delle due caratteristiche su tre per garantire il salvataggio alle amministrazioni provinciali che, a quel punto, si troverebbero ad esercitare le loro funzioni anche sull’area delle vicine cancellate, sembra rappresentare l’ultima mediazione proposta, all’interno dell’Esecutivo, tra chi come il ministro per la Pa e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, opta per una soluzione normativa selettiva di riordino generale e chi, invece, vorrebbe l’attuazione integrale (comunque da fare con una legge) dell’articolo 23 del decreto legge salva-Italia, che porterebbe alla trasformazione di tutte le province in enti di secondo livello rispetto ai comuni del loro territorio, peraltro prive di funzioni core.

L’opzione Patroni Griffi si integra con un intervento attuativo della norma del 2010 (inapplicata) sulle unioni comunali sollecitato dall’Anci, con il varo delle dieci città metropolitane (Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggio Calabria) accompagnato dalla contestuale soppressione delle province interessate e con il ridisegno delle amministrazioni periferiche dello Stato (prefetture, questure, eccetera). Questa proposta avrebbe il vantaggio di offrire una soluzione preventiva agli effetti dell’articolo 23 del primo decreto Monti, sulla cui costituzionalità la Corte è stata chiamata a pronunciarsi.
Il suo limite è più che altro politico. Oltre ai dubbi sull’inserimento di una materia ordinamentale così delicata in un decreto legge, bisogna, infatti, fare i conti con le opposizioni scontate che la riforma incontrerebbe in Parlamento, dove tutti i partiti (tranne Idv e Udc) hanno presentato disegni di legge assai più soft. Senza dimenticare la “freddezza” più volte manifestata dal ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, sull’idea di razionalizzare tutti gli uffici periferici dello Stato.

Lo schema di articolato che verrà esaminato oggi in pre-consiglio, se confermato nella sua interezza, avrebbe più di un punto di contatto con la proposta di autoriforma avanzata dall’Upi nel febbraio scorso. E capace, a detta dei suoi proponenti, di generare risparmi per 5 miliardi. Così suddivisi: 500 milioni dall’introduzione delle città metropolitane e dalla riduzione delle province da 107 a 60; altri 500 milioni dal miglioramento dell’efficienza delle amministrazioni provinciali; 2,5 miliardi dal riordino degli uffici periferici statali; 1,5 miliardi dall’abolizione di enti e agenzie strumentali.
Pre-consiglio a parte, un’idea più precisa sullo stato dell’arte e sulla presenza di eventuali divergenze all’interno dell’Esecutivo si potrà avere domani durante il primo dei due giorni dell’assemblea convocata dall’Upi a Roma. E che vedrà gli interventi dei due ministri più interessati alla “contesa” sulle province: Patroni Griffi e Cancellieri.

 

 

Eugenio Bruno e Davide Colombo, Il Sole 24 Ore

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