I “saggi ” hanno comunque ritenuto all’unanimità che “qualora dovesse essere confermata la forma di governo parlamentare razionalizzata”, che personalmente preferisco definire come modello “neoparlamentare”, occorra una serie di innovazioni nei rapporti tra parlamento e governo. Sono tutte proposte mature e condivisibili, nel segno del testo già approvato unitariamente dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato prima dell’ormai famoso “blitz semipresidenzialista” con l’emendamento PdL nella seduta del 7 giugno 2012 (dal rafforzamento del ruolo del premier, all’introduzione della sfiducia costruttiva).
Netta è la posizione del Gruppo di lavoro in favore dell’istituzione di una sola Camera politica, eletta a suffragio universale, titolare dell’indirizzo politico e del rapporto fiduciario con il governo, e della trasformazione della seconda Camera nel “Senato delle Regioni”, costituita da tutti i Presidenti di Regione e da rappresentanti delle Regioni/sindaci compresi), eletti da ciascun consiglio regionale in proporzione al numero degli abitanti.
In tal modo, il Senato assumerebbe anche le funzioni della Conferenza Stato-Regioni, avvicinandosi al modello Bundesrat (non solo legislazione ma anche amministrazione), mentre viene assai ridotta l’area del bicameralismo paritario limitata, in sostanza, alle leggi di revisione costituzionale, leggi elettorali e in materia di organi di governo e funzioni fondamentali di comuni ed enti locali e all’ordinamento della finanza regionale e locale.
I deputati da 630 divengono 480 (uno ogni 125.000 ab.), i senatori 120 in proporzione alle Regioni. Una riduzione giustamente funzionale più che “punitiva”.
Del tutto condivisibili sono anche le utili proposte, da tempo allo studio, di modifiche ai Regolamenti delle Camere per migliorarne l’efficienza . Dovrebbe essere proprio questo il primo banco di prova di una seria volontà riformatrice delle forze politiche. Fa bene il ministro Quagliariello ad insistere sul punto, vanno realizzate nei primi 100 giorni di governo.
E’ chiaro che il superamento del bicameralismo perfetto semplifica anche il tema della riforma elettorale.
I “saggi” condividono che “se il Parlamento dovesse optare per un regime semipresidenziale sarebbe preferibile propendere per una legge elettorale incentrata sul doppio turno di collegio, secondo il modello francese, al fine di rafforzare il Parlamento rispetto ad un Presidente che ha la stessa fonte di legittimazione”.
In linea teorica, la tesi non fa una piega ma …. grava quel “se”, relativo al nodo del modello semipresidenziale, e con esso anche la semplice constatazione che nel quadro politico attuale un tale sistema elettorale potrebbe favorire l’alleanza al secondo turno del polo massimalista con quello sconfitto al primo turno (esaltando il ruolo del movimento di Grillo). Parma docet.
Diverse sarebbero le prospettive in un “regime parlamentare razionalizzato”, con l’indirizzo politico ad una sola Camera. I modelli elettorali possibili sono diversi: il proporzionale su base nazionale proprio del sistema tedesco; il proporzionale di collegio con perdita dei resti, proprio del sistema spagnolo; il sistema misto, in parte preponderante maggioritario e in parte minore proporzionale, come la cosiddetta Legge Mattarella, “per la quale si suggerisce comunque, in caso di accettazione del modello, l’abolizione dello scorporo”. Il Gruppo di lavoro segnala che, in ogni caso, “va superata la legge elettorale vigente. La nuova legge potrebbe prevedere un sistema misto (in parte proporzionale e in parte maggioritario), un alto sbarramento, implicito o esplicito, ed eventualmente un ragionevole premio di governabilità. Si propone, inoltre, di eliminare le circoscrizioni estero, prevedendo il voto per corrispondenza, e assicurandone la personalità e la segretezza”.
E’ un’impostazione assolutamente condivisibile anche se non risolutiva e comprensibilmente Mario Mauro ha apposto una riserva specifica, in direzione di un modello tedesco con circoscrizioni di “taglia medio-piccola” e ragionevole premio di governabilità a valere sulla quota proporzionale, per tentare di precisare meglio la proposta.
Mentre vi è piena (e non scontata) intesa sulla necessità della “riforma della riforma del Titolo Quinto”, riportando alla competenza legislativa dello Stato energia, grandi infrastrutture, telecomunicazioni e sicurezza sul lavoro e ripristinando la supremazia “dell’interesse nazionale”, qualche diversità tra i saggi persiste sulla Commissione redigente ossia sul metodo delle riforme costituzionali. Convenzione sì o Convenzione no?
La proposta a maggioranza, con la riserva contraria di Valerio Onida che non ritiene utile derogare dal modello dell’art. 138 Cost., è quella di una Commissione redigente mista costituita, su base proporzionale, da parlamentari e non parlamentari. La Commissione “può avviare immediatamente il proprio lavoro (che dovrebbe durare pochi mesi) sulla base di documenti parlamentari che indichino i punti oggetto di revisione (la Commissione Bozzi fu istituita con una risoluzione alla Camera dei Deputati e un ordine del giorno al Senato).