I limiti ai privilegi per i reati ministeriali

 

Sembra opportuno spiegare l’importanza oggettiva delle sentenze con cui la Corte Costituzionale l’altro ieri ha respinto i conflitti di attribuzione sollevati dalle Camere contro gli organi della magistratura che avevano iniziato azioni penali a carico di due notissimi ex componenti di governi precedentemente in carica (Berlusconi e Mastella).

Come è noto, la nostra Costituzione non ha mai previsto uno speciale trattamento per le eventuali responsabilità penali dei ministri o del presidente del Consiglio, salvo il solo settore dei cosiddetti reati ministeriali: essi quindi rispondono degli eventuali reati commessi esattamente come tutti i cittadini, salvo che per i reati che possano essere stati da loro commessi nella qualità di componenti di un governo ed avvalendosi degli speciali poteri di cui dispongono i presidenti del Consiglio o i ministri nello svolgimento delle loro funzioni.

Ciò che è cambiato nel 1989 è solo la speciale procedura da seguire per giudicare i reati ministeriali, nonché l’organo giudicante: il testo originario della nostra Costituzione attribuiva alle Camere il potere di mettere in stato di accusa presidente del Consiglio e ministri ed individuava come organo giudicante la Corte costituzionale in una speciale composizione integrata. Peraltro, dopo l’unico caso giunto al faticoso giudizio della Corte (il famoso «caso Lockheed») e l’abrogazione referendaria dell’apposita Commissione parlamentare (che si era guadagnata il soprannome di «porto delle nebbie»), il Parlamento ha evidentemente preso atto della necessità di cambiare il sistema di giudizio sui reati ministeriali.

Da ciò una modifica profonda, tramite alcune norme costituzionali ed ordinarie, del precedente sistema per sanzionare questi reati: adesso provvede la magistratura ordinaria, salvo che la funzione giudicante è stata affidata a suoi speciali collegi giudicanti, previa autorizzazione delle Camere competenti, che a maggioranza assoluta possono però negare l’autorizzazione a procedere, ove ritengano «con valutazione insindacabile che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo». Tutto ciò peraltro solo per i reati ministeriali, perché per gli altri si continua a seguire l’ordinaria disciplina vigente per tutti i cittadini.

Ben presto, purtroppo a livello parlamentare si sono evidenziate forti e discutibili spinte ad allargare non poco i casi di applicazione del diniego di autorizzazione a procedere e si è resa addirittura più facile l’espressione del voto dei parlamentari in questa materia. Ma in tal modo si sono evidentemente molto ridotti i casi in cui i collegi giudiziari possono operare. A questa evidente e discutibile prassi (coerente con la forte tendenza della classe politica a crearsi tutta una serie di privilegi), negli anni più recenti si è venuta sommando la tendenza in cui si inseriscono le vicende giudicate e cioè il tentativo di estendere anche ai reati comuni che vengano attribuiti a ministri la procedura speciale prevista per i reati ministeriali: ma appare evidente che estendere a tutti i reati il cui compimento possa essere attribuito ad un ministro o ad un presidente del Consiglio la possibilità di applicare le speciali ed insindacabili scriminanti prima citate contraddice in modo palese la sicura ed antica scelta costituzionale di prevedere un trattamento speciale solo per i reati ministeriali.

Il rispetto delle disposizioni vigenti non impedisce che il Parlamento possa eventualmente reagire contro un ipotetico abuso della magistratura che processi un ministro per un reato ministeriale asserendo che si tratta, invece, di un reato non ministeriale; per sollevare un conflitto di attribuzione basterà attendere un atto processuale dal quale possa risultare che si procede, in realtà, per un reato di natura ministeriale. Tutt’altra cosa è, invece, pretendere di impedire lo stesso iniziale svolgimento dell’azione penale in ogni vicenda nella quale si indaghi su un presidente del Consiglio od un ministro, utilizzando un eccezionale potere impeditivo che al Parlamento è stato dato solo ed esclusivamente per cercare di tutelare i componenti dei governi in vicende del tutto eccezionali.

Al di là, quindi, dei penosi risvolti di fatto che hanno accompagnato queste vicende, era ancora una volta in gioco la delimitazione degli speciali istituti di privilegio che sono stati attribuiti dal sistema costituzionale ad alcuni organi pubblici in uno Stato democratico, che resta in generale fondato sul principio di eguaglianza.

 

Ugo De Siervo, La Stampa, 16 febbraio 2012

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