Giungla contratti tra tutele e paletti

 

IL FOCUS L’Italia ha registrato il tasso di precariato più alto nei paesi Ocse Chi ha meno di 30 anni è più penalizzato il posto fisso è una chimera 

Sono 46 le tipologie previste, record assoluto in Europa Si allarga sempre di più la forbice tra tutelati e non Un eccesso di interventi ha ingolfato il sistema
ROMA -La flessibilità? Nessun Paese in Europa è più flessibile dell’Italia. Almeno a giudicare dal numero dei contratti di lavoro.

Sono 46 le tipologie che regolano i rapporti tra imprenditori e prestatori d’opera: 26 per i rapporti di lavoro subordinato, 4 per i parasubordinati, 5 per i rapporti di lavoro autonomo e 11 rapporti speciali. Tra i quali si contano ben 6 forme di part-time. Una vera giungla frutto di riforme e controriforme che nel tempo, anziché semplificare, hanno ingarbugliato il mercato. Allargando la forbice tra garantiti e non.

Scrive l’Ocse nell’ultimo rapporto sulla situazione del lavoro in Europa che «nessun Paese ha un tasso di precariato più preoccupante rispetto all’ Italia». Nel vortice dell’incertezza soprattutto i giovani sotto i 30 anni. Uno su tre ha un contratto che sul piano delle tutele, secondo l’organismo parigino, è «carta straccia».

Bankitalia, nei documenti ufficiali sul tema, fissa a quota 1,6 milioni l’esercito dei precari col bollino blu. In prevalenza co.co.pro e finte partite Iva. Ma a questa area vanno aggiunti anche i 2,2 milioni di lavoratori assunti con contratto a termine. Per loro c’è la liquidazione e l’estensione di alcuni dei diritti garantiti agli assunti a tempo indeterminato, è vero. Però non godono, se non in casi limitati, di forme di assistenza post-lavoro. E la loro situazione contributiva, visto che la previdenza integrativa non è mai decollata, è piena di buchi. Con conseguenze potenzialmente disastrose sulle pensioni future.

Alla testa del corte dei meno tutelati ci sono 900mila co.co.pro. Da contratto, i lavoratori a progetto non dovrebbero avere vincoli di subordinazione.
Nella pratica il 50% di loro risponde a un unico committente e chi accetta, firmando un contratto che non supera quasi mai un anno, finisce per stare al chiodo tutti i giorni in ufficio e, come un dipendente, è tenuto a comunicare ferie, malattie e assenze. Il rapporto di lavoro può essere risolto senza alcuna giustificazione, con 30 giorni di preavviso. E di liquidazione non c’è ombra.

Ma sono le partite Iva il vero sintomo di un fenomeno inarrestabile. Secondo i dati del ministero dell’Economia, nei primi 8 mesi del 2011, sono aumentate del 57%.
E la metà sono state aperte da giovani sotto i 35 anni. Persone col pallino di mettersi in proprio? Non esattamente. I dati indicano soprattutto ragazzi impiegati in uffici come segretari, operatori di call center e camerieri. Con il passare del tempo, la partita Iva è diventata la formula perfetta per mascherare l’esistenza di un rapporto lavoro subordinato. Si parla di circa 237 mila lavoratori in questa situazione, in Italia.

C’è poi il fenomeno del lavoro a cottimo. A cominciare da quello dei cosiddetti «panchinari». Lavoratori che attendono per sms o per email la chiamata dall’agenzia di lavoro interinale. Sono 450mila in questo limbo.
E spesso finiscono per accettare contratti settimanali o mensili. Non si può certo dire, tra l’altro, che i meno garantiti trovino una qualche forma di compensazione in fatto di retribuzioni.

Una ricerca scritta a quattro mani da Federico Lucidi della Fondazione Brodolini e da Michele Raitano della Sapienza («Molto flessibili, poco sicuri: lavoro atipico e disuguaglianze nel mercato del lavoro italiano») osserva, infatti, che c’è una differenza salariale che oscilla tra il 7 e il 20 per cento a svantaggio dei lavoratori flessibili. Una forbice destinata a scaricarsi drammaticamente sulle pensioni future.

Secondo le proiezioni condotte dagli economisti della Voce.info, un parasubordinato medio che oggi ha 36 anni, nel 2041 andrà a riposo con un assegno di 15mila euro lordi. Molto più della collega donna. In pensione con 6.080 euro. Vale a dire 470 euro al mese.

 

Michele Branco, Il Messaggero, 24 febbraio 2012

 

 

 

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