Francesco Clementi, dalle pagine de Il Sole 24 Ore del 7 marzo 2012, propone delle soluzioni trasparenti per il finanziamento dei partiti politici: incentivi ai fondi privati; erogazione di risorse pubbliche vincolate alla democrazia interna; statuto giuridico per le fondazioni.
Il modo in cui sono disciplinati i partiti negli ordinamenti democratici è ipso facto indice qualitativo, oltre che quantitativo, di come viene, concepita la democrazia inunPaese. Nel tempo, i maggiori ordinamenti di democrazia pluralista hanno seguito, sostanzialmente, due strade:
disciplinare i partiti con una legge ad hoc, come in Germania o più di recente in Spagna, che definiscanatura, caratteristiche, funzioni dei partiti e delle fondazioni politiche loro collegate, riconoscendogli un fmanziamento diretto e trasparente; oppure, in alternativa, come in Francia, disciplinare la sola funzione che i partiti svolgono nel momento elettorale, senza ulteriori riconoscimenti.
Di certo, non esiste ordinamento democratico che non preveda un accettabile finanziamento pubblico del momento elettorale come garanzia minima di uguaglianza delle chances dipartecipazione di tutti alla vita politica.
L`ordinamento italiano ha avuto da sempre un atteggiamento ambiguo, nonostante il dibattito risalga fino alla Costituente. Se da un lato, infatti, i partiti politici sono le uniche associazioni costituzionalmente abilitate «a concorrere con metodo democratico a determinare lapoliticana7ionale» (ex art. 49 Cost.), dall`altro essi sono regolati come mere associazioni non riconosciute (ex art.18 Cost.). Si licet, come un qualunque circolo delle bocce. Eppure, perfino lo stesso diritto comunitario, dal 2003, prevede finanziamenti pubblici ai soli partiti a livello europeo dotati di «personalità giuridica nello Stato membro in cui ha sede».
Libero da ogni controllo sul finanziamento fino al 1974, in quell`anno il sistema politicopartitico decide di approvare una legge sul finanziamento pubblico ai partiti, preservando però la loro natura di associazione privata.
Tale scelta, nella più pesante “repubblica deipartiti” dell`occidente, tuttavia, non poteva non portare a degenerazioni, abusi, corruzione. Così, già nel 1978, vi è un referendum (fallito) contro il finanziamento pubblico, mentre non fallisce quello del 1993, sull`onda di Tangentopoli.
Crollato il sistema dei partiti della prima Repubblica, neanche i nuovi partiti che nascono hanno la forza di approvare una legge che li disciplini e che dimostri, oltre il momento elettorale, la loro natura di strumenti per consentire la partecipazione dei cittadini alla vita politica. Anzi, attraverso la soluzione dei rimborsi elettorali, si continua ad aggirare il problema, fino ad arrivare a fmanziare tanto i partiti attivi quanto quelli estinti.
Oggi, nel bisogno urgente ed essenziale dei partiti di autolegittimarsi, qualcosa sembra muoversi, come dimostratanto ilprogetto di legge presentato da Casini (A.C. 4956) quanto quello appenapresentato da Bersani. D`altronde, essendoci una logica complessiva nella forma di governo, ponendo mano alla legge elettorale diviene necessario disciplinare anche il finanziamento della politica. Stando attenti, peraltro, a non rendere le due discipline, tra loro, strabiche e asimmetriche.
Tuttavia questo non basta. La modernità della vita politica di una società complessa impone anche di incentivare la ricerca di un finanziamento privato prima di quello pubblico, attraverso strumenti di defiscalità; di vincolare il finanziamento pubblico alla democratizzazione interna dei partiti e al rispetto dell`art. 51 Costituzione, come già alcuni testi fanno proprio (per es., A.C. 4194, Veltroni et altri); infine, di riconoscere uno statuto giuridico ad hoc anche alle fondazioni politiche create da politici in carica: soggetti politici tout court che, fuori e dentro i partiti, operano appieno, senza però alcun penetrante controllo sui loro fmanziamenti.
Se davvero gli sregolati vorranno regolarsi, queste scelte non sono eludibili.